«Lo so».
«Non ne senti mai la mancanza?», chiese Charlie esasperato. All’istante sentii un nodo in gola e fui costretta a schiarirla due volte prima di parlare. «Sì, mi manca», ammisi senza staccare gli occhi da terra.
«Mi manca parecchio».
«E allora dov’è la difficoltà?».
Non mi era concesso dare spiegazioni. Le regole impedivano alle persone normali — gli esseri umani come me e Charlie — di venire a contatto con il mondo clandestino e segreto popolato da miti e mostri che esisteva attorno a noi. Sapevo tutto di quel mondo e la conseguenza era stata una serie di problemi non da poco. Non intendevo trascinare Charlie negli stessi guai.
«Con Jacob sono in... contrasto», scandii. «Un contrasto relativo all’amicizia, intendo. A volte sembra che Jacob non se ne possa accontentare». Ricavai la mia scusa da dettagli reali ma assolutamente insignificanti di fronte all’odio cieco che il branco di licantropi di Jacob provava nei confronti della famiglia di vampiri di Edward, e quindi nei miei, dal momento che di quella famiglia ero seriamente intenzionata a fare parte. Era un problema irrisolvibile con un semplice biglietto e le telefonate continuavano a cadere nel vuoto. Inoltre il mio piano di discuterne con il licantropo in persona era tutt’altro che gradito ai vampiri.
«Edward non accetterebbe un po’ di sana rivalità?». La voce di Charlie si era fatta sarcastica.
Gli lanciai uno sguardo torvo. «Non c’è nessuna rivalità».
«Se ti ostini a evitare Jake in questo modo lo ferisci e basta. Sono sicuro che preferirebbe restarti amico, piuttosto che niente». Ah, adesso ero io a evitarlo?
«A Jake l’amicizia non basterebbe affatto, ne sono sicura». Le parole mi bruciavano in bocca. «Come ti vengono certe idee?».
Charlie sembrava imbarazzato. «Potrei averne parlato oggi con Billy...».
«Tu e Billy spettegolate peggio di due comari», replicai stizzita, e infilai con violenza la forchetta negli spaghetti solidificati nel piatto.
«Billy è preoccupato per Jacob», disse Charlie. «Se la passa molto male... È depresso». Trasalii, senza staccare gli occhi dal grumo di pasta.
«E poi, eri sempre così felice dopo le giornate passate con Jake», sospirò Charlie.
«Anche adesso sono felice», ruggii decisa a denti stretti. Il contrasto tra le mie parole e il tono della voce spezzò la tensione. Charlie scoppiò a ridere e io non riuscii a trattenermi.
«Va bene, va bene», risposi. «Equilibrio».
«E Jacob», insistette.
«Ci proverò».
«Bene. Trova un equilibrio, Bella. Ah, tra l’altro, c’è posta per te», disse Charlie chiudendo il discorso senza andare troppo per il sottile. «È sul caminetto». Restai immobile, mentre i miei pensieri si intrecciavano attorno al nome di Jacob. Probabilmente era posta inutile: avevo ricevuto un pacco da mia madre il giorno prima e non aspettavo nient’altro.
Charlie spinse la sedia lontano dal tavolo e si alzò stiracchiandosi. Infilò il piatto nel lavandino, ma prima di aprire il rubinetto per sciacquarlo si fermò e mi gettò una spessa busta. Il plico scivolò sul tavolo e fece toc contro il mio gomito.
«Ehm, grazie», mormorai meravigliata da tanta insistenza. Poi notai l’indirizzo del mittente: la lettera veniva dall’Università dell’Alaska Southeast.
«Che velocità. Temevo di essere arrivata in ritardo anche con loro». Charlie ridacchiò.
Sollevai la linguetta e gli lanciai un’occhiataccia. «È già aperta».
«Ero curioso».
«Sono allibita, sceriffo. Secondo la legge federale è un crimine».
«Oh, l’ho appena letta».
Estrassi la lettera, assieme a un orario dei corsi ripiegato.
«Congratulazioni», disse senza nemmeno aspettare che leggessi. «Domanda accettata».
«Grazie, papà».
«Credo che dobbiamo parlare della retta. Ho risparmiato qualche soldo...».
«Alt, alt, fermo lì. La tua pensione non si tocca, papà. Ho anch’io dei risparmi per il college». O meglio, ciò che restava di una cifra che non era mai stata granché.
Charlie si rabbuiò. «Certi posti sono davvero costosi, Bells. Voglio aiutarti. Non sei costretta ad andare in Alaska soltanto perché costa meno». Non costava meno, proprio no. Però era lontano , nella città di Juneau, che vantava una media di trecentoventun giorni di cielo nuvoloso all’anno. Il primo requisito l’avevo fissato io, il secondo Edward.
«Le spese sono coperte. E poi, laggiù danno un sacco di incentivi. È facile ottenere un prestito». Speravo che il bluff non fosse troppo palese. In realtà non ero così documentata.
«Quindi...», esordì Charlie, che subito increspò le labbra e guardò altrove.
«Quindi cosa?».
«Niente. Mi chiedevo...». S’incupì. «Mi chiedevo soltanto quali fossero i... piani di Edward per l’anno prossimo».
«Ah».
«Quindi?».
Tre colpi secchi alla porta mi salvarono. Charlie alzò gli occhi al cielo e io scattai.
«Arrivo!», gridai, mentre Charlie mormorò qualcosa che somigliava a un «vattene». Lo ignorai e andai ad aprire a Edward.
Spalancai la porta con forza — e con impazienza assurda — ed eccolo, il mio miracolo personale.
Il tempo non mi aveva resa immune alla perfezione di quel viso ed ero certa che non avrei mai dato per scontato niente del suo aspetto. Con lo sguardo ripercorsi i suoi lineamenti pallidi: la mascella quadrata, la curva più morbida delle labbra piene, che in quel momento mostravano un sorriso, la linea diritta del naso, l’angolo netto delle guance, l’arco liscio e marmoreo della fronte, spezzato da un ciuffo di capelli bronzei che la pioggia aveva reso più scuri...
Gli occhi li conservai per ultimi, certa che fissarli mi avrebbe fatto perdere il filo del discorso. Erano grandi, caldi d’oro liquido, incorniciati da ciglia nere e fitte. Guardarlo negli occhi mi faceva sentire sempre straordinaria, tanto leggera che quasi non sentivo più le ossa. Mi girava anche un po’ la testa, forse perché mi ero dimenticata di respirare. Di nuovo. Qualsiasi modello al mondo avrebbe venduto l’anima per un viso come il suo. Sì, forse il prezzo era proprio quello: un’anima. No. Non ci credevo. Mi vergognai di averci pensato e mi sentii lieta — come sempre mi capitava — di essere l’unica persona i cui pensieri fossero un mistero per Edward.
Cercai la sua mano e sospirai quando le sue dita fredde trovarono le mie. Il contatto portò con sé una stranissima sensazione di sicurezza, come una sofferenza placata all’improvviso.
«Ciao». Sorrisi del mio saluto così poco enfatico.
Sollevò le nostre dita intrecciate per sfiorarmi la guancia con il dorso della mano. «Com’è stato il pomeriggio?».
«Lento».
«Anche il mio».
Avvicinò il mio polso al suo viso senza mollare la presa. Chiuse gli occhi, lo sfiorò con il naso e sorrise delicatamente senza riaprirli. Se resisteva al vino non significava che non ne potesse apprezzare il bouquet, così aveva detto. Sapevo che l’odore del mio sangue — per lui molto più dolce del sangue di chiunque altro, davvero una tentazione simile al vino per un alcolista — gli causava una vera sofferenza per la sete bruciante che scatenava. Ma non sembrava temerlo più come un tempo. Riuscivo a malapena a immaginare lo sforzo titanico dietro un gesto tanto semplice. Era triste pensare che dovesse impegnarsi in quel modo. Mi consolai con la certezza che un giorno avrei smesso per sempre di torturarlo. A quel punto sentii avvicinarsi Charlie, che sfoderava il passo pesante con cui esprimeva il consueto fastidio per l’ospite. Gli occhi di Edward si aprirono di scatto e abbassò le nostre mani, senza abbandonare le mie dita.
«Buonasera, Charlie». Edward era sempre educato e impeccabile, benché Charlie non meritasse tanto. Charlie brontolò qualcosa e poi restò fermo a braccia conserte. Da qualche tempo la sua idea di "controllo paterno" era un po’ estrema.
Читать дальше