Mio padre si sedette a tavola con un grugnito e sfogliò il giornale umido. Pochi secondi dopo schioccò la lingua in segno di disapprovazione.
«Dovresti smettere di leggere il giornale, papà. Ti innervosisce e basta». Ignorò le mie parole e continuò a mugugnare con il quotidiano tra le mani. «Ecco perché nelle città piccole si sta meglio! Ridicolo».
«Adesso che c’è che non va nelle città grandi?».
«Seattle si sta candidando a capitale nazionale degli assassini. Cinque casi irrisolti di omicidio nelle ultime due settimane. Vivresti mai in un posto del genere?».
«Credo che Phoenix si piazzi ancora meglio in classifica, papà. E io ci ho vissuto». E non avevo mai rischiato di restare vittima di un omicidio come dopo aver traslocato nella sua cittadina sicura. Anzi, comparivo nelle liste dei bersagli di parecchi killer... Tra le mie mani il cucchiaio ebbe un sussulto e fece tremare l’acqua.
«Be’, io nemmeno se mi pagassero», disse Charlie.
Rinunciai a salvare la cena e la servii così com’era: fui costretta a usare il coltello da carne per tagliare la porzione di spaghetti di Charlie e poi la mia, sotto il suo sguardo rassegnato. Charlie inondò il proprio piatto di sugo e ci si buttò. Io nascosi la mia poltiglia alla stessa maniera e lo imitai, con molto meno entusiasmo. Per qualche istante mangiammo in silenzio. Charlie era ancora impegnato a studiare la cronaca, perciò ripresi la mia copia malconcia di Cime tempestose da dove l’avevo lasciata quel mattino a colazione e cercai di perdermi nell’Inghilterra di fine diciannovesimo secolo in attesa che mio padre parlasse. Proprio mentre leggevo del ritorno di Heathcliff, Charlie si schiarì la voce e gettò a terra il giornale.
«È vero», disse. «C’è un motivo per cui ho deciso di fare questa cosa». Indicò con la forchetta la poltiglia collosa. «Volevo parlarti». Riposi il libro; la costa era talmente distrutta che si appiattì sul tavolo.
«Bastava chiedere».
Annuì aggrottando le sopracciglia. «Già. Cercherò di ricordarmelo. Pensavo che risparmiarti di cucinare ti avrebbe addolcito». Scoppiai a ridere. «Ma certo, le tue capacità culinarie mi hanno letteralmente trasformato in uno zuccherino. Cosa c’è, papà?».
«Be’, riguarda Jacob».
Sentii il mio volto irrigidirsi. «Cosa c’entra?», chiesi a fil di labbra.
«Tranquilla, Bells. So che ce l’hai ancora con lui perché ha fatto la spia, ma è stata la decisione migliore. Si è comportato in maniera responsabile».
«Responsabile», risposi aspra, alzando gli occhi al cielo. «Va bene. Cosa c’entra Jacob?».
La domanda spontanea, tutt’altro che futile, riecheggiò nella mia testa. Cosa c’entra Jacob? Come potevo essergli utile, io? Il mio ex migliore amico ormai era... cosa? Un nemico? Rabbrividii. Charlie si accigliò all’istante. «Non arrabbiarti con me, per favore».
«Arrabbiarmi?».
«Be’, la cosa ha a che fare anche con Edward».
Affilai lo sguardo.
Il tono di Charlie divenne più goffo. «Gli ho concesso di tornare a trovarti, no?».
«Certo che sì. Ma solo in orari prestabiliti. Ovviamente avresti anche potuto concedere a me di uscire in orari prestabiliti», aggiunsi scherzando, certa che la prigionia sarebbe durata fino al termine dell’anno scolastico.
«Di recente mi sono comportata piuttosto bene».
«Ecco, più o meno volevo arrivare proprio qui...». A quel punto l’espressione di Charlie si rilassò in un sorriso pieno e per un istante dimostrò vent’anni in meno.
Scorsi un barlume di possibilità in quel sorriso, ma restai guardinga.
«Non capisco, papà. Stiamo parlando di Jacob, di Edward o del mio castigo?». Riecco il sorriso. «Più o meno di tutti e tre».
«E come c’entrano?», chiesi cauta.
«Okay». Fece un sospiro e alzò le mani come per arrendersi. «Ecco, pensavo che forse meriti uno sconto per buona condotta. Per l’età che hai, è straordinario quanto poco ti lamenti».
La mia voce e i miei occhi esplosero. «Davvero? Sono libera?». Cos’era successo? Ero sicura che avrei subito gli arresti domiciliari finché non mi fossi trasferita altrove, ed Edward non aveva colto alcun tentennamento nei pensieri di Charlie... Mio padre alzò un dito. «A una condizione».
L’entusiasmo svanì. «Grandioso», borbottai.
«Bella, questo è un sollecito più che una richiesta, d’accordo? Sei libera. Ma spero che userai la tua libertà... con giudizio».
«Cosa vuol dire?».
Fece un altro sospiro. «So che il tuo unico desiderio è di passare tutto il tuo tempo con Edward...».
«Lo passo anche con Alice», ribattei. La sorella di Edward non aveva orari di visita da rispettare: andava e veniva a suo piacimento. Nelle sue mani Charlie era come creta.
«Vero», disse Charlie. «Ma hai altri amici a parte i Cullen, Bella. O meglio, ne avevi». I nostri sguardi s’incrociarono per un interminabile istante.
«Quand’è stata l’ultima volta che hai parlato con Angela Weber?», chiese sfidandomi.
«Venerdì a pranzo», ribattei pronta.
Prima del ritorno di Edward, i miei compagni di scuola si erano divisi in due gruppi. Per come la vedevo, le due fazioni rappresentavano il Bene e il Male. Ma anche Noi e Loro poteva andare. I buoni erano Angela, il suo ragazzo Ben Cheney e Mike Newton: i tre erano stati ben disposti a perdonarmi la pazzia a cui mi ero lasciata andare dopo la partenza di Edward. Lauren Mallory era il polo d’attrazione negativo del gruppo dei Loro: fra questi, anche la mia prima amica a Forks, Jessica Stanley, sembrava ben felice di mantenere un comportamento anti-Bella.
Ricomparso Edward, a scuola la linea di confine si era fatta ancora più netta. Il ritorno di Edward mi era costato l’amicizia di Mike, mentre la lealtà di Angela non aveva avuto tentennamenti, con Ben al suo seguito. Malgrado l’avversione spontanea che la maggior parte degli umani provava per i Cullen, ogni giorno a pranzo Angela restava seduta accanto ad Alice. Dopo qualche settimana aveva persino iniziato a sentirsi a proprio agio. Era difficile non restare affascinati dai Cullen, a patto di concedere loro la possibilità di affascinare.
«A parte la scuola?», chiese Charlie interrompendo i miei pensieri.
«Non ho visto nessuno fuori scuola, papà. Sono in castigo, ricordi? E poi, anche Angela ha un ragazzo. Sta sempre con Ben. Se fossi davvero libera», aggiunsi, sottolineando il mio scetticismo, «magari potremmo uscire tutti assieme».
«D’accordo. Però... Tu e Jacob eravate inseparabili, e adesso...». Lo interruppi. «Ti spiacerebbe arrivare al dunque, papà? Quali sono — precisamente — le tue condizioni?».
«Non mi va bene che sacrifichi tutte le altre amicizie per stare con il tuo ragazzo, Bella», disse con voce ferma. «Non è giusto, e penso che la tua vita sarebbe più equilibrata se comprendesse anche altre persone. Quel che è successo lo scorso settembre...».
Trasalii.
«Be’», precisò, «se nella tua vita ci fosse stato qualcun altro, oltre a Edward Cullen, magari sarebbe andata diversamente».
«Sarebbe andata esattamente allo stesso modo», mormorai.
«Forse sì, forse no».
«Andiamo al dunque?», insistetti.
«Usa la tua nuova libertà per stare anche con gli altri amici. Resta in equilibrio». Annuii lentamente. «Vada per l’equilibrio. Dovrò dividere il mio tempo in parti precise?».
Fece una smorfia e scosse il capo. «Non renderla più complicata di quanto sia. Mi basta che non dimentichi gli amici... in particolare Jacob». Faticai a trovare le parole giuste. «Con Jacob rischia di essere... difficile».
«I Black sono amici di famiglia, Bella», disse, di nuovo serio e paterno.
«E Jacob ti è stato molto, molto vicino come amico».
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