Anne Rice - Scelti dalle tenebre

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Il libro racconta la storia del vampiro Lestat, da aristocratico raffinato nella Francia prerivoluzionaria allo stile rock di New Orleans degli anni ’80, scavando attraverso le sue molte differenti esistenze e indagando il mistero della sua persona unica e infinita

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Non ricordo che cosa accadde. Forse cercai di spiegare il mio errore. Forse ammisi che non c’era giustificazione per quanto avevo fatto. Forse tornai allo scopo della mia visita, a ciò di cui avevo bisogno. Ricordo che mi sentivo estremamente umiliato mentre mi conduceva fuori dalla casa, nella carrozza, e mi diceva che dovevo andare con lui al Teatro dei Vampiri.

«Non capisci», dissi. «Non posso andare là. Non voglio che gli altri mi vedano in questo stato. Devi fermare la carrozza. Devi fare ciò che chiedo.»

«No, hai capito male», disse con la voce più tenera. Eravamo già nelle affollate vie parigine. Non vedevo la città che ricordavo. Questa era un incubo, una metropoli di ruggenti treni a vapore e di giganteschi boulevard di cemento. Il fumo e il sudiciume dell’epoca industriale non mi erano apparsi mai tanto disgustosi come lì, nella Ville Lumière.

Ricordo vagamente che Armand mi fece scendere dalla carrozza e mi sospinse verso l’ingresso del teatro. Che cos’era, quell’enorme edificio? Ed era il Boulevard du Temple? E poi la discesa nell’orrenda cantina piena di bruttissime copie dei quadri più sanguinosi di Goya e Bruegel e Bosch.

E infine l’inedia, mentre giacevo sul pavimento di una cella di mattoni, incapace persino di lanciare maledizioni, e l’oscurità piena delle vibrazioni degli omnibus e dei tram di passaggio, spezzate spesso dallo stridore lontano delle ruote di ferro.

A volte, nel buio, scoprivo una vittima mortale. Ma la vittima era morta. Sangue freddo, nauseante. Il modo peggiore di nutrirsi, steso su un cadavere viscido per succhiare ciò che restava.

E poi Armand apparve, immobile nell’ombra, immacolato nella camicia bianca e nell’abito di lana nera. Parlò sottovoce di Louis e Claudia, e disse che vi sarebbe stato una specie di processo. S’inginocchiò vicino a me, dimenticando per un momento di essere umano… il giovane gentiluomo in quel posto umido e lurido. «Dichiarerai davanti agli altri che è stata lei», disse. E gli altri, i nuovi, vennero alla porta per guardarmi a uno a uno.

«Procurategli i vestiti», disse Armand. Mi teneva una mano sulla spalla. «Dev’essere presentabile, il nostro signore perduto», continuò. «È sempre stata sua abitudine.»

Risero quando chiesi di parlare con Eleni o Félix o Laurent. Non conoscevano i nomi. Gabrielle… non significava nulla.

E dov’era Marius? Quanti paesi e fiumi e montagne stavano tra noi? Poteva udire e vedere tutto ciò che accadeva?

Di sopra, nel teatro, gli spettatori mortali, come pecore sospinte in un recinto, si muovevano rumorosamente sulle scale e sui pavimenti di legno.

Sognai di andarmene, di tornare nella Louisiana e di lasciare che il tempo compisse la sua opera inevitabile. Sognai di nuovo la terra, le sue fresche profondità che avevo conosciuto per breve tempo al Cairo. Sognai Louis e Claudia, ed eravamo insieme. Miracolosamente, Claudia era diventata una donna bellissima e diceva ridendo: «Vedi, sono venuta in Europa per scoprire come divenire così!»

E temevo che non mi sarebbe mai stato permesso di uscire, che sarei rimasto imprigionato come gli affamati sotto il Cimitero degli Innocenti, temevo di aver commesso un errore fatale. Balbettavo e piangevo e cercavo di parlare ad Armand. Poi mi accorsi che Armand non c’era. Se era venuto, se n’era andato in fretta. Ero preda delle illusioni.

E la vittima, la vittima calda… «Dammela, ti prego…» E Armand rispondeva:

«Dirai ciò che ti ho detto di dire».

Era un tribunale di mostri, demoni dalla faccia bianca che gridavano accuse, Louis che implorava disperatamente, Claudia che mi fissava muta; e io dicevo sì, è stata lei, sì, e poi maledicevo Armand che mi spingeva di nuovo nell’ombra e il suo volto innocente era radioso come sempre.

«Hai fatto bene, Lestat. Hai fatto bene.»

Ma che cosa avevo fatto? Avevo testimoniato contro di loro perché avevano violato le vecchie leggi? S’erano ribellati al signore della congrega. Che cosa sapevano, loro, delle vecchie leggi? Urlavo per chiamare Louis. E poi bevevo sangue nell’oscurità, sangue caldo di una vittima viva, e non era il sangue risanatore, era soltanto sangue.

Eravamo di nuovo in carrozza e pioveva. Stavamo viaggiando in campagna. Poi salimmo sul tetto della vecchia torre. Avevo tra le mani l’abito giallo di Claudia. L’avevo vista in un luogo stretto e umido dov’era stata bruciata dal sole. «Disperdete le ceneri!» avevo detto. Ma nessuno s’era mosso per farlo. L’abito giallo, strappato e insanguinato, era sul pavimento della cantina. Ora l’avevo tra le mani. «Disperderanno le ceneri, no?» domandai.

«Non volevi giustizia?» chiese Armand. Si stringeva nel mantello di lana nera per proteggersi dal vento e la sua faccia era scurita dalla potenza dell’uccisione recente.

Che cosa aveva a che fare con la giustizia? Perché tenevo fra le mani quell’abitino?

Guardai dagli spalti della torre di Magnus e vidi che la città mi era venuta incontro. Aveva proteso le lunghe braccia per cingere la torre e l’aria era ammorbata dal fumo delle fabbriche.

Armand era immobile alla balaustrata di pietra e mi osservava. All’improvviso mi sembrava giovane come lo era stata Claudia. E assicurati che abbiano vissuto un po’ prima di crearli, e non creare mai uno giovane come Armand. Morendo, Claudia non aveva detto nulla. Aveva guardato quelli intorno a lei come se fossero giganti che farneticavano in una lingua sconosciuta.

Armand aveva gli occhi rossi.

«Louis… dov’è?» chiesi. «Non l’hanno ucciso. L’ho visto. È uscito sotto la pioggia…»

«L’hanno inseguito», rispose Armand. «È già stato annientato.»

Un bugiardo dalla faccia di chierichetto.

«Fermali, devi fermarli! C’è ancora tempo…»

Scosse la testa.

«Perché non puoi fermarli? Perché hai voluto tutto questo, il processo, il resto; che cosa t’importa di ciò che mi avevano fatto?»

«È finita.»

Tra il ruggito dei venti giunse l’urlio di una sirena a vapore. Stavo perdendo la concatenazione dei pensieri. La perdevo… Non volevo tornare indietro. Louis, torna.

«E non hai intenzione di aiutarmi, vero?» Disperazione.

Armand si tese e il suo viso si trasformò com’era avvenuto molti, molti anni prima, come se la collera lo mutasse dall’interno.

«Tu che ci hai annientati tutti, tu che hai preso tutto. Cosa ti ha fatto pensare che ti avrei aiutato?» Si avvicinò. La faccia era contratta. «Tu che ci hai messi sui manifesti chiassosi nel Boulevard du Temple e ci hai fatto diventare i protagonisti di racconti mediocri e di chiacchiere da salotto!»

«Ma non sono stato io. Lo sai… Lo giuro… Non sono stato io!»

«Tu che hai trascinato i nostri segreti alla luce della ribalta… il marchese dai guanti bianchi, il demonio dal mantello di velluto!»

«Sei pazzo se attribuisci tutta la colpa a me. Non ne hai il diritto», insistetti. Ma la voce mi mancava al punto che stentavo io stesso a comprendere le mie parole.

E la sua voce dardeggiò come la lingua di un serpente.

«Avevamo il nostro Eden sotto quell’antico cimitero», sibilò. «Avevamo una fede e uno scopo. E fosti tu a scacciarci con una spada fiammeggiante. Che cosa abbiamo, adesso? Rispondi. Niente altro che l’amore dell’uno per l’altro e ciò che questo può significare per esseri come noi!»

«No, non è vero. Stava già accadendo. Non capisci nulla. Non hai mai capito nulla.»

Ma Armand non mi ascoltava. E non aveva importanza che mi ascoltasse o no. Si avvicinò. In un lampo scuro la sua mano scattò, la mia testa si piegò all’indietro, e vidi capovolti il cielo e la città di Parigi.

Precipitai nel vuoto.

Precipitai e precipitai, davanti alle finestre della torre, fino a che il marciapiede di pietra salì per catturarmi, e ogni osso del mio corpo si fratturò entro l’involucro sottile di pelle preternaturale.

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