Anne Rice - Scelti dalle tenebre

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Scelti dalle tenebre: краткое содержание, описание и аннотация

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Il libro racconta la storia del vampiro Lestat, da aristocratico raffinato nella Francia prerivoluzionaria allo stile rock di New Orleans degli anni ’80, scavando attraverso le sue molte differenti esistenze e indagando il mistero della sua persona unica e infinita

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E in una notte dell’anno 1860 decise di saldarmi il conto. Mi attirò in una trappola e mi piantò più volte un coltello in corpo, dopo avermi drogato e avvelenato, fino a quando il mio sangue vampiresco sgorgò sin quasi all’ultima goccia prima che le mie ferite potessero risanarsi.

Non gliene serbo rancore. Era quel genere di cosa che forse avrei fatto anch’io.

E, quei momenti di delirio, non li dimenticherò mai, non li rinchiuderò in uno scompartimento inesplorato della mente. Furono la sua astuzia e la sua volontà a devastarmi, con la stessa sicurezza della lama che mi squarciò la gola e mi straziò il cuore. Penserò a quei momenti ogni notte finché continuerò a esistere, e penserò all’abisso che si spalancò sotto di me e quasi mi trascinò alla morte umana. Questo fu Claudia a darmelo.

Ma mentre il sangue defluiva e si portava via la capacità di vedere e udire e muovermi, i miei pensieri tornarono al passato lontano, molto più indietro della famiglia di vampiri nel paradiso di carta da parati e di tende di pizzo, fino ai boschi bui delle terre mitiche dove l’antico dio dionisano delle foreste aveva sentito più volte dilaniare la propria carne e spargersi il proprio sangue.

Se non esisteva un significato, esisteva almeno il lustro della congruenza, la sorprendente ripetizione dello stesso vecchio tema.

Il dio muore. E risorge. Ma questa volta nessuno viene redento.

Con il sangue di Akasha, aveva detto Marius, potrai sopravvivere a disastri che annienterebbero altri della nostra specie.

Più tardi, abbandonato nel silenzio e nel buio della palude, sentii la sete delineare le mie proporzioni, sentii la sete sospingermi, sentii le mie mascelle aprirsi nell’acqua fetida, le mie zanne cercare gli esseri a sangue caldo che mi avviarono sulla lunga strada del ritorno.

E tre notti più tardi, quando ero stato sconfitto di nuovo e i miei figli mi avevano abbandonato per sempre nell’inferno fiammeggiante della nostra casa, fu il sangue degli antichi, Magnus e Marius e Akasha, che mi sostenne mentre mi trascinavo lontano dall’incendio.

Ma senz’altro sangue risanatore, senza un’infusione fresca, restavo in balia del tempo perché rimarginasse le ferite.

E quel che Louis non poteva descrivere nel suo racconto è ciò che accadde dopo a me: per anni cacciai al margine del branco umano, ridotto a un mostro menomato e orrendo che poteva colpire soltanto i giovanissimi e gli infermi. In continuo pericolo di fronte alle mie vittime, divenni l’antitesi del demone appassionato e portai terrore anziché estasi, simile soprattutto ai vecchi revenants del Cimitero degli Innocenti, così laceri e sporchi.

Le ferite influivano sul mio spirito, sulla mia capacità di ragionare. E ciò che vedevo nello specchio ogni volta che osavo guardare consumava ancor più la mia anima.

Eppure, in tutto quel tempo non chiamai Marius e non cercai di colmare la distanza che ci separava. Non potevo invocare il suo sangue risanatore: era meglio soffrire per un secolo le pene del purgatorio anziché sentire la riprovazione di Marius. Meglio soffrire la peggiore solitudine, l’angoscia peggiore, anziché scoprire che conosceva tutto ciò che avevo fatto e da molto tempo mi aveva voltato le spalle.

In quanto a Gabrielle, che mi avrebbe perdonato qualunque cosa, e il cui sangue era almeno abbastanza potente per accelerare le guarigioni, non sapevo neppure dove cercarla.

Quando mi fui ripreso quanto bastava per affrontare il lungo viaggio fino all’Europa, mi rivolsi all’unico cui potevo rivolgermi: Armand. Armand, che viveva ancora sulla terra che gli avevo donato, nella torre dov’ero stato creato da Magnus, Armand che comandava ancora la prospera congrega del Teatro dei Vampiri nel Boulevard du Temple, il teatro ancora di mia proprietà. Dopotutto, non dovevo spiegazioni ad Armand. E lui non mi doveva qualcosa?

Fu un trauma vederlo, quando venne ad aprire dopo che avevo bussato alla sua porta.

Sembrava un giovane uscito da un romanzo di Dickens, nella sobria marsina nera. S’era tagliato tutti i riccioli rinascimentali. Il viso eternamente giovane aveva l’innocenza di David Copperfield e l’orgoglio di uno Steerforth… rivelava tutto, tranne la vera natura del suo spirito.

Per un momento una luce fulgida arse in lui mentre mi guardava. Poi fissò le cicatrici che mi coprivano il viso e le mani e disse a voce bassa, quasi compassionevole:

«Entra, Lestat».

Mi prese la mano. Ci addentrammo nella casa che aveva costruito ai piedi della torre di Magnus, un luogo buio e tetro degno di tutti gli orrori byroniani di quella strana epoca.

«Sai, corre voce che tu abbia incontrato la fine in Egitto o in Estremo Oriente», disse in francese colloquiale, con un’animazione che non avevo mai visto in lui. Adesso era abile nel farsi passare per un essere vivente. «Sei scomparso con l’altro secolo, e da allora nessuno ha più sentito parlare di te.»

«E Gabrielle?» chiesi immediatamente. Mi meravigliavo dì non averlo domandato già sulla soglia.

«Nessuno l’ha più vista o ha saputo qualcosa di lei da quando lasciaste Parigi.»

Ancora una volta il suo sguardo mi accarezzò. C’era in lui un’eccitazione appena velata, una febbre che sentivo come il calore del fuoco vicino. Sapevo che stava cercando di leggere nei miei pensieri.

«Che cosa ti è accaduto?» chiese.

Le mie cicatrici lo sconcertavano. Erano troppo numerose e intricate, retaggio di un attacco che avrebbe dovuto segnare la mia morte. Mi sentii sopraffatto da un panico improvviso, dal timore che, nella confusione, gli rivelassi tutto, le cose che molto tempo prima Marius mi aveva proibito di confidare.

Ma fu la storia di Louis e Claudia quella che mi sgorgò dalle labbra, in mezze verità balbettate, con l’omissione di un fatto saliente: che Claudia era soltanto… una bambina.

Parlai brevemente degli anni trascorsi in Louisiana, e dei due che avevano finito per rivoltarsi contro di me come Armand aveva predetto che avrebbero fatto i miei figli. Confessai tutto, senza astuzie né orgoglio, e spiegai che ora avevo bisogno del suo sangue. Sofferenza e sofferenza e sofferenza, spiegargli tutto e sentire che lui rifletteva. Dirgli: sì, avevi ragione. Non è tutto ma, nel complesso, avevi ragione tu.

Era tristezza quella che vedevo sul suo volto? Non era certo trionfo. Senza darlo a vedere, guardava le mie mani tremanti mentre gesticolavo. Attendeva con pazienza quando m’impuntavo e non riuscivo a trovare le parole giuste.

Una piccola infusione del suo sangue avrebbe affrettato la mia guarigione, mormorai. Una piccola infusione mi avrebbe schiarito la mente. Mi sforzai di non essere altezzoso quando gli rammentai che gli avevo dato la torre, e l’oro che aveva usato per costruire la casa, e che ero tuttora proprietario del Teatro dei Vampiri e che sicuramente mi avrebbe fatto quel piccolo favore personale. C’era una sgradevole ingenuità nelle parole che gli dissi, stordito com’ero e debole, assetato e impaurito. Il bagliore del fuoco mi rendeva ansioso. La luce sulle venature dei pannelli di legno della stanza faceva apparire e scomparire facce immaginarie.

«Non voglio stare a Parigi», dissi. «Non voglio disturbare te o la congrega del teatro. Ti chiedo solo questo. Ti chiedo…» Mi sembrò che il coraggio e le parole mi venissero meno.

Trascorse un lungo momento.

«Parlami ancora di questo Louis», disse Armand.

Le lacrime mi salirono agli occhi. Ripetei alcune frasi sciocche sull’indistruttibile umanità di Louis, sulla sua comprensione di tante cose che gli altri immortali non sapevano afferrare. Imprudentemente, dissi ciò che mi veniva dal cuore. Non era stato Louis ad aggredirmi. Era stata la donna, Claudia…

Lo sentii animarsi. Un lieve rossore gli salì sulle guance. «Sono stati visti qui a Parigi», disse a voce bassa. «E lei non è una donna. È una bambina vampira.»

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