Scendemmo sui macigni sdrucciolevoli fino a quando raggiungemmo la spiaggia bianca, e camminammo insieme in silenzio guardando la spuma nivea che balzava contro le rocce o correva verso di noi sulla compatta sabbia candida. Il vento mi ruggiva nelle orecchie, e sentivo la solitudine che sempre mi ispira: il vento che ruggisce e cancella ogni altra sensazione e ogni altro suono.
Diventavo sempre più calmo, e nel contempo più agitato e infelice.
Marius mi aveva passato un braccio intorno alle spalle, come faceva sempre Gabrielle, e io non badavo a dove stavamo andando. Rimasi sorpreso quando vidi che eravamo arrivati a una piccola cala, dov’era ancorata una barca con un solo paio di remi.
Quando ci fermammo, ripetei: «Mi dispiace. Lo giuro. Non credevo…»
«Non dirmi che sei pentito», disse con calma Marius. «Non ti dispiace affatto ciò che è accaduto, e non ti dispiace di esserne stato la causa, adesso che sei al sicuro e non sei finito schiacciato come un guscio d’uovo sul pavimento della cappella.»
«Oh, ma non si tratta di questo», replicai. Mi misi a piangere. Presi il fazzoletto, accessorio indispensabile per un gentiluomo del Settecento, e mi asciugai il sangue dal volto. Sentivo Akasha che mi stringeva, sentivo il suo sangue, sentivo le mani di Enkil. Stavo rivivendo quei momenti. Se Marius non fosse arrivato in tempo…
«Ma cos’è accaduto, Marius? Che cos’hai visto?»
«Vorrei che potessimo portarci al di fuori del suo udito», disse stancamente Marius. «È una follia dire o pensare qualcosa che potrebbe turbarlo ancora di più. Devo lasciare che si rimetta.»
Ora sembrava veramente furioso. Mi voltò le spalle.
Ma come potevo evitare di pensarci? Avrei voluto aprirmi la testa ed estrarne i pensieri. Sfrecciavano in me come il sangue di Akasha. Nel suo corpo era rinchiusa una mente, un appetito, un ardente nucleo spirituale il cui calore era scorso dentro di me come un fulmine liquido; e indiscutibilmente Enkil aveva su di lei un potere mortale. Lo odiavo. Volevo distruggerlo. La mia mente si aggrappava a ogni sorta di idea folle, la convinzione che fosse possibile distruggerlo senza danneggiare tutti noi, purché rimanesse Akasha!
Ma non aveva senso. I demoni non erano penetrati prima in lui? Ma se non fosse stato così…
«Fermati!» scattò Marius.
Ricominciai a piangere. Mi tastai il collo dove lei l’aveva toccato, mi leccai le labbra e sentii di nuovo il sapore del suo sangue. Guardai le stelle sparse nel cielo, e persino quegli astri benigni ed eterni mi parvero minacciosi e insensati, e sentii un urlo salirmi pericolosamente alla gola.
Gli effetti del sangue di Akasha svanivano già. La prima visione si annebbiò; le mie membra erano di nuovo mie. Forse erano più forti, ma la magia stava morendo. La magia aveva lasciato soltanto qualcosa di più forte della memoria, nel circuito di sangue che si era stabilito fra noi due.
«Marius, cos’è accaduto?» gridai nel vento. «Non essere in collera con me, non abbandonarmi. Non posso…»
«Taci, Lestat.» Tornò indietro e mi prese per il braccio. «Non preoccuparti per la mia collera. Non è importante, e non è rivolta verso di te. Lasciami un po’ di tempo per riprendermi.»
«Ma hai visto cos’è accaduto fra lei e me?»
Marius guardava il mare. L’acqua era assolutamente nera, la spuma assolutamente bianca.
«Sì, ho visto», disse.
«Ho preso il violino. Volevo suonare per loro. Pensavo…»
«Sì, lo so, certo…»
«… che la musica avrebbe avuto un effetto, soprattutto quella musica, quella strana musica dal suono innaturale. Sai che un violino,…»
«Sì…»
«Marius, lei mi ha dato… e ha preso…»
«Lo so.»
«E lui la tiene là. La tiene prigioniera!»
« Lestat, ti prego.» Marius sorrideva con aria stanca e triste,
Imprigionalo, Marius, come avevano fatto gli altri, e lascia libera lei!
«Tu vaneggi, figlio mio», disse Marius. «Tu vaneggi.»
Si voltò e mi lasciò, indicandomi con un gesto di non seguirlo. Proseguì lungo la battigia e l’acqua gli lambì i piedi.
Cercai di calmarmi. Mi sembrava impossibile che fossi stato in qualche altro luogo all’infuori di quell’isola, che il mondo dei mortali fosse là fuori, che la strana tragedia e la minaccia di Coloro-che-devono-essere-conservati fossero sconosciute al di là di quelle scogliere splendenti.
Finalmente Marius tornò indietro.
«Ascoltami», disse. «A occidente c’è un’isola che non si trova sotto la mia protezione. Sulla punta settentrionale c’è una vecchia città greca, dove le taverne dei marinai rimangono aperte tutta la notte. Vai subito là con la barca. Vai a caccia e dimentica ciò che è accaduto. Studia i nuovi poteri che potresti aver acquisito da Akasha. Ma cerca di non pensare a lei e a lui. E, soprattutto, non complottare contro Enkil. Prima dell’alba, torna alla casa. Non sarà difficile. Troverai una dozzina di porte e di finestre aperte. Fa’ ciò che ti dico, subito. Per me.»
Chinai la testa. Era l’unica cosa sotto il cielo che poteva distrarmi, che poteva cancellare ogni pensiero nobile o sconvolgente. Il sangue umano, la notte umana, la morte umana.
Senza protestare mi avviai nell’acqua poco profonda per raggiungere la barca.
Nelle prime ore del giorno guardavo la mia immagine riflessa nel frammento di uno specchio metallico inchiodato al muro di una lurida stanza d’una piccola locanda per marinai. Mi vidi con la giacca di broccato con le trine bianche, il viso riscaldato dal sangue bevuto, e il morto disteso dietro di me sul tavolo. Stringeva ancora il coltello con cui aveva cercato di tagliarmi la gola. E c’era la bottiglia di vino drogato che avevo continuato a rifiutare con proteste scherzose, fino a che lui aveva perso la calma e aveva giocato l’ultima carta. Il suo compagno giaceva morto sul letto.
Guardai il giovane libertino biondo riflesso nello specchio.
«To’, il vampiro Lestat», dissi.
Ma tutto il sangue del mondo non sarebbe bastato ad arrestare gli orrori che mi assalirono quando andai a riposare.
Non potevo fare a meno di pensare a lei, di chiedermi se era la sua risata quella che avevo udito nel sonno la notte precedente. E mi sorpresi perché non mi aveva detto nulla, per mezzo del sangue; poi chiusi gli occhi e all’improvviso molte cose mi tornarono alla memoria, cose meravigliose e incoerenti come se fossero magiche. Lei e io percorrevamo insieme una galleria… non lì, ma in un luogo che conoscevo. Credo che fosse un palazzo in Germania, dove Haydn scriveva le proprie musiche… e lei parlava con disinvoltura, come aveva fatto con me mille altre volte. Ma dimmi tutto, dimmi ciò che crede la gente, ciò che fa funzionare i suoi ingranaggi, che cosa sono queste invenzioni straordinarie… Aveva un elegante cappello nero con un fregio di piume bianche sulla tesa e un velo candido annodato sotto il mento, e il suo viso era giovane.
Quando aprii gli occhi, seppi che Marius mi attendeva. Uscii e lo vidi accanto alla custodia vuota del violino. Voltava le spalle alla finestra aperta sul mare.
«Ora devi andare, mio giovane amico», disse tristemente. «Avevo sperato di avere più tempo, ma è impossibile. La barca ti aspetta per condurti via.»
«A causa di ciò che ho fatto…» dissi, avvilito. Dunque venivo scacciato.
«Lui ha distrutto le cose nella cappella», disse Marius. Ma la sua voce era un appello alla calma. Mi passò il braccio intorno alle spalle e con l’altra mano prese la mia sacca. Ci avviammo verso la porta. «Voglio che tu vada, ora, perché è la sola cosa che lo quieterà, e io voglio che tu ricordi non la sua rabbia, ma tutto ciò che ti ho detto, e sia certo che ci incontreremo ancora come abbiamo deciso.»
«Ma hai paura di lui, Marius?»
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