Edith emise un gemito, diede uno strattone, ma Fischer la tratteneva. I passi si erano fatti quasi assordanti adesso. Fece per portare le mani alle orecchie, ma una era trattenuta da Fischer. La cappella pareva rabbrividire a quel rumore tonante che si appressava, che si faceva sempre più vicino. Edith si ritrasse e il suo grido di terrore si perse sopraffatto dall’eco di quei passi titanici. E si facevano più vicini, sempre più vicini. Stiamo per morire, ella pensò.
Stiamo per morire!
Gettò un grido. Una violenta esplosione scosse la cappella. Edith chiuse gli occhi, istintivamente.
Seguì un silenzio di tomba. Riaprì gli occhi.
Fece un balzo all’indietro, ansando. Fischer la trattenne. «Non abbia paura.» La sua voce era tesa per l’eccitazione. «Questo è un grande momento, Edith. Nessuno l’ha mai visto, se non in punto di morte, prima d’ora. Guardi bene, Edith. Le presento Emeric Belasco. Il Gigante Ruggente. »
Edith guardò, a bocca aperta, la figura.
Belasco era enorme, nerovestito, i tratti del volto marcati, pallido, con una barba nerissima. I denti, che un ghigno selvaggio scopriva, erano quelli di un carnivoro. Gli occhi verdi brillavano di una luce interiore. Edith non aveva mai visto una faccia tanto maligna, in vita sua. Nel freddo terrore che serpeggiava per tutte le sue membra, ella si chiese come mai non li ammazzava, cosa aspettava.
«Dimmi una cosa, Belasco» intimò Fischer.
Ed Edith non sapeva se sentirsi rassicurata o vieppiù intimorita a quel tono sprezzante di voce.
«Perché,» seguitò Fischer «perché non sei mai uscito all’aperto? Perché hai sempre fuggito la luce del sole? Non t’interessava oppure… oppure preferivi nasconderti nell’ombra? »
La figura avanzò verso di loro. Edith si trasse indietro. Invece, Fischer si spinse avanti.
«Tu cammini a fatica, Belasco» disse. «Ti costa un certo sforzo muoverti, non è vero?»
Quindi gridò, con ferocia: «Vero, Belasco?».
Edith apri la bocca.
Belasco si era fermato. I suoi tratti erano alterati dalla rabbia. Ma aveva tutta l’aria di essere una rabbia impotente.
«Guarda le tue labbra, Belasco» disse Fischer, avanzando ancora. «Sono contratte da uno spasimo. Guardati le mani. Una tensione spasmodica ti fa stringere i pugni. Perché mai, Belasco? Forse perché tu sei un volgare impostore?»
La sua risatina di scherno echeggiò nella cappella. «Il Gigante Ruggente!» gridò. «Tu? Un cavolo! Simulatore di mezza tacca ch’altro non sei! Buffone! Buffone!»
Edith tratteneva il fiato. Belasco si stava ritirando. Ella si sfregò gli occhi, con la mano che le tremava. Era proprio così!
Stava rimpicciolendo!
«Maligno?» disse Fischer. Avanzava su Belasco, con un’espressione di spietato rancore sul volto. «Tu? tu, piccolo buffone bastardo?»
Un grido di rabbiosa angoscia uscì dalle labbra della figura che si rattrappiva, nerovestita. Per un attimo, Fischer non reagì. Poi quel ghignetto tornò sulle sue labbra. «Oh no» disse. Si mise a scuotere la testa. «Oh, no. Non potevi essere basso a quel punto!»
Si fece ancora avanti. «Bastardo.» La figura si ritrasse ancor più. «Bastardo. È questo che ti duole? Oh, Belasco! Che uomo meschino, che buffone da poco, che eri in realtà! Che razza di buffo piccolo fantasma da quattro soldi! No, no, non eri un genio. Eri un pazzo, un pervertito, un verme, un vinto! E un bastardo di mezza tacca per soprammercato! »
Quindi gridò: «BELASCO! Tua madre era una puttana, una troia! E tu eri un bastardo, Emeric! Un buffo piccolo bastardo di merda! M’hai sentito, Emeric? Un bastardo, un bastardo, UN BASTARDO, UN BASTARDO!».
Edith si tappò le orecchie con le mani per non udire i gemiti sinistri che riempivano l’aria. Fischer si arrestò, barcollando, e la rabbia scomparve dal suo volto udendo quei lamenti.
Guardò la nebulosa figura dietro l’altare — che si rannicchiava, spaurita, vinta — e gli parve di udire la voce di Florence sussurrargli: Il perfetto amore caccia via la paura. E d’un tratto, nonostante tutto, provò un senso di pietà per la figura che gli stava di fronte.
«Che Dio ti aiuti, Belasco» disse.
La figura svanì. A lungo udirono echeggiare un urlo, come di qualcuno che precipita in un pozzo senza fondo, poi la cappella tornò silenziosa.
Fischer andò dietro l’altare e osservò il tratto di muro messo a nudo dalla tappezzerìa lacerata.
Sorrise. Anche quello Florence gli aveva mostrato. Se solo lui l’avesse capito!
Sporgendosi, diede una spinta alla parete. Questa si aprì con un sordo stridore.
Apparve una breve scala che scendeva. Egli si volse e porse la mano a Edith. Ella non disse nulla. Girando intorno all’altare, gli andò accanto e gli prese la mano.
Discesero quei gradini. C’era una pesante porta, al termine di essi. Fischer l’aprì con una spallata.
Ristettero sulla soglia. Ai loro sguardi apparve una figura mummificata seduta su una poltrona di legno.
«Non l’hanno mai trovato perché era qui» disse Fischer.
Entrarono in quella stanza piccola e mal illuminata. Benché sapesse che ormai tutto era finito, Edith si sentì agghiacciare il sangue alla vista degli occhi neri di Emeric Belasco che la fissavano da oltre la morte.
«Guardi.» Fischer raccolse un boccale.
«Che cos’è?»
«Non ne sono sicuro ma…» Passò un dito lungo l’orlo di quel boccale. Le impressioni gli vennero, nitide, subito. «Questo boccale, Belasco lo posò accanto a sé pieno d’acqua poi si lasciò morire di sete. E fu l’ultima dimostrazione della sua forza di volontà, che diede a se stesso. Da vivo, voglio dire.»
Edith distolse lo sguardo da quegli occhi. Guardò giù… si chinò in avanti. La stanza era così buia che non se n’era accorta prima. «Le gambe» disse.
Fischer non disse nulla. Depose il boccale e si inginocchiò davanti al cadavere di Belasco. Edith vide le sue mani muoversi nella penombra. Poi emise un’esclamazione di raccapriccio, quando Fischcr si rialzò in piedi tenendo una gamba in mano.
« Se il tuo occhio destro ti offende » disse. «Estremità. Capisce? Essa ci stava dando le risposte…» Passò una mano su quella gamba artificiale. «A tal punto gli dispiaceva d’essere basso di statura che si fece amputare le gambe e metter queste al loro posto, per apparire più alto. Ecco perché ha deciso di morire quaggiù. Cosi nessuno l’avrebbe mai saputo. Lui doveva essere il Gigante Ruggente o niente. Non aveva la statura di un gigante, e cercò di procurarsela. Ma non poteva rimediare al fatto di essere un bastardo.»
Girò lo sguardo intorno. Gettò via la gamba. Andò alla parete e ci appoggiò le mani. «Mio Dio» disse.
«Che c’è?»
«Forse era un genio, dopotutto.» Compì il giro della stanza, tastando tutte le pareti, esaminando il soffitto e il pavimento. «Risolto l’ultimo enigma» disse. «Non è che il suo potere fosse tanto grande da resistere al Reversore.» Il tono di Fischer era quasi di reverenza. «Dev’essere che lui sapeva già, oltre quarant’anni or sono, della connessione esistente fra radiazioni elettromagnetiche e vita d’oltretomba.»
Indicò con la mano: «Qui, le pareti, la porta, il soffitto sono tutti rivestiti di piombo» .
ore 21.12
Scesero i gradini. Edith portava la sua valigia, Fischer quella di Barrett e la propria.
«Che effetto fa?» domandò lei.
«Che cosa?»
«Esser quello che ha vinto la Casa d’Inferno.»
«Non l’ho vinta io solo» lui rispose. «C’è voluta l’opera di tutti noi.»
Edith cercò di non sorridere. Lo sapeva che era così, ma voleva che fosse lui a dirlo.
«Gli sforzi di suo marito hanno indebolito l’energia di Belasco. Gli sforzi di Florence ci hanno condotti alla risposta definitiva. Io ho solo provveduto al tocco finale, ecco tutto. E questo non sarebbe stato possibile se lei non mi avesse salvato la vite, Edith.»
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