Due mani robuste l’afferrarono, la trattennero. Edith si volse, inorridita. Era Lionel che la sorreggeva. Ella lo fissò, rifiutandosi di credere. «Edith! sono io!» Il timbro familiare della voce la rassicurò. Si appoggiò a lui, singhiozzando. «Portami fuori di qui» l’implorò.
«Subito» lui rispose. Cingendole le spalle con un braccio la condusse verso la cima delle scale. Ella si accorse allora che non zoppicava più. «No» gemette. «Va tutto bene» le disse lui. E cominciò a discendere le scale, insieme a lei. Edith cercò di liberarsi. «Ma sono io» lui disse. Ella si mise a singhiozzare. Ma lui non la lasciava. Una risata cavernosa risuonò. Altre risate fecero eco. Edith vide della gente raccolta ai piedi dello scalone. Si volse verso Lionel, ma non era più lui. Era bensì una mostruosa caricatura di Lionel: ogni tratto del suo volto esageratamente accentuato. E anche la sua voce era caricaturale, e le ripeteva: «Ma sono io! Ma sono io!».
Ella gridò: «No!». Si divincolò, disperatamente. Ma lui non mollò la presa. Non guardava neppure innanzi a sé, teneva gli occhi fissi su di lei, con un ghigno, seguitando a trascinarla giù per le scale e poi per il vestibolo. Edith chiuse gli occhi.
Attraversato il vestibolo, si sentì trascinare pel corridoio. Era incapace di emettere un suono. Udì aprirsi le porte del teatro. Vi fu scaraventata dentro. Riaprì gli occhi. Vide che la platea era gremita di spettatori, tutti quanti nudi, che si divertivano alle sue tribolazioni. Edith venne sospinta verso il palcoscenico. L’oscena caricatura di Lionel la legò a un palo. Ella guardò la platea. Fremevano, eccitati, impazienti di godersi lo spettacolo. Edith venne denudata. Il pubblico applaudì. Ma i battimani e le grida giungevano attutiti, come da un altro mondo. Edith udì un ruggito e volse il capo. Vide un leopardo avanzare da dietro le quinte. Fece per gridare ma non le uscì alcun suono dalla gola. Il pubblico schiamazzava. Edith chiuse gli occhi. Il leopardo compì un balzo. Sentì i suoi denti aguzzi penetrarle nella testa, sentì il suo fiato ferino sul volto. Sentì gli artigli lacerarle il ventre. Il dolore l’ottenebrò e, con un grido, ricadde.
Si ritrovò raggomitolata sul palcoscenico. Il cuore le batteva con violenza. Si sollevò. Il teatro era vuoto. No. C’era qualcuno. Qualcuno seduto nell’ombra, all’ultima fila, vestito di nero. Le parve di udire una voce profonda che diceva: Benvenuta in casa mia.
Cercò di tirarsi in piedi. Le gambe non la sorressero e vacillò, si appoggiò alla parete. Si mosse, scese i gradini, barcollando, e si trovò davanti Lionel. «Sono io» le disse lui. Ella gridò, atterrita. Echeggiarono risate fragorose nel teatro. Edith arrancò fino alla porta, l’aprì. Vide Lionel nel corridoio. «Sono io» lui le disse.
Ella tentò di raggiungere il vestibolo, ma non ci riuscì. Fu costretta a piegare da un lato. Lionel attendeva sul pianerottolo delle scale che portavano negli scantinati. «Sono io!» le gridò. La tromba delle scale si spalancava sotto di lei. Lionel, adesso era in fondo, laggiù, e la guardava, ghignando. «Sono io!» ripeté. Edith gemette, si aggrappò alla balaustra, prese a scendere i gradini, un po’ di sua volontà, un po’ sospinta da una forza estranea. Lionel era accanto alla porta di metallo.
«Sono io!» le gridò. La porta a vento si aprì, sbattendo contro la parete interna. Ora Lionel era in piedi accanto alla piscina. «Sono io!» ripeteva. La forza estranea la spinse verso di lui. Edith vacillò. Si protese sull’orlo della vasca. Guardò l’acqua arrossata di sangue.
Lionel galleggiava appena sotto il pelo dell’acqua e la guardava fisso.
A questo punto si sentì impazzire. Indietreggiò, urlando, incespicando, scappò pel corridoio. Una figura stava scendendo le scale, a gran balzi. L’afferrò per le braccia. Ella si dibatté, furiosamente, gettando grida disperate, acute. La figura le urlava qualcosa ma essa udiva solo la propria voce. Qualcosa allora la colpì al viso ed ella cadde, si sentì cadere, gridando senza requie, cadde come un macigno in un abisso.
ore 15.31
Edith si riscosse. Apri gli occhi, battendo le palpebre. Vide che si trovava all’interno dell’auto. Si volse, tutta confusa, e sussultò vedendolo. Lo guardò con aria interrogativa.
«Ho dovuto colpirla, mi dispiace» egli disse.
«Era lei?»
Lui annuì.
Edith si guardò intorno d’un tratto. «Lionel!»
«Il suo corpo è nel portabagagli.»
Ella fece per discendere, ma Fischer la trattenne. «Non c’è bisogno che lei lo veda» disse.
Ella seguitò a divincolarsi.
«La smetta» egli disse.
Edith si arrese, distolse la faccia, si mise a piangere. Fischer, in silenzio, l’ascoltava singhiozzare.
Poi lei esclamò d’un tratto: «Andiamo via di qua».
Lui non si mosse.
«Ma che c’è?»
«Io non me ne vado.»
Edith non comprendeva.
«Io torno dentro.»
« Là dentro? » Ella era allibita. «Lei non lo sa quello che c’è là dentro!»
«Devo…»
«Lei non lo sa cosa vuol dire!» l’interruppe la donna. «Ha ucciso mio marito! Ha ucciso Florence Tanner! Avrebbe ucciso anche me se lei non fosse arrivato in tempo! Nessuno può farcela, là dentro!»
Fischer non stette a discutere.
«Non le bastano due morti? Deve crepare anche lei?»
«Io non intendo farmi accoppare.»
Essa gli prese una mano: «Non mi lasci, la prego».
«Devo.»
« No .»
«È necessario.»
«La prego, no.»
«Edith, io devo. Devo.»
«No! Non è vero! Non è così. Non c’è nessun motivo per tornare là dentro!»
«Edith.» Fischer le prese una mano fra le sue ed attese che i singhiozzi si calmassero. «Mi stia a sentire.»
Ella scosse il capo, con gli occhi chiusi.
«Io devo, capisce? Per Florence Tanner. Per suo marito.»
«Ma loro non vorrebbero che lei…»
«Io lo voglio, però» l’interruppe Fischer. «Ne ho bisogno. Se abbandonassi adesso la Casa d’Inferno, tanto varrebbe che mi rinchiudessi dentro una tomba, per seppellirmi vivo. Io non ho fatto nulla, nei giorni scorsi, da giovedì in poi. E invece suo marito e Florence si sono prodigati. Hanno fatto da soli, loro due, tutto il possibile per risolvere il mistero…»
«Ma non l’hanno risolto, però! Non c’è modo di risolverlo, ecco quanto!»
«Forse no.» Fece una pausa. «Ma io voglio tentare.»
Edith lo guardò. Non disse nulla. La sua espressione non ammetteva repliche.
Lui ripeté : «Intendo provarci».
Restarono zitti per un po’. Alla fine Fischer domandò: «Lei sa guidare, no?» .
Negli occhi di lei brillò un barlume di speranza. «No» gli rispose.
Egli sorrise, gentilmente. «Sì, che sa guidare.»
Edith abbassò il capo. «Lei morirà» gli disse. «Come Lionel. Come Florence.»
Fischer emise un sospiro.
«Sarà quel che sarà» disse.
Fischer attraversò il ponticello, si inoltrò per il sentiero ghiaiato che costeggiava lo stagno. Era solo adesso. A questo pensiero, si sentì mancare il coraggio, al punto che fu lì lì per scappar via nell’opposta direzione.
Edith piangeva, al momento della partenza. Aveva tentato di trattenere le lacrime, ma invano. Con il viso inondato, aveva messo in moto la Cadillac, aveva fatto manovra e si era allontanata nella nebbia.
Fischer ormai non aveva scelta, comunque. Mica poteva andare a piedi fino a Caribou Falls, con quel freddo.
La ghiaia scricchiolava sotto le sue scarpe di gomma. E adesso cosa farò? si chiese. Non ne aveva idea. Era approdata a qualcosa, Florence? E Barrett, cosa aveva ottenuto? Lui non poteva saperlo. Gli sarebbe toccato ricominciare tutto dal principio.
Sentì un po’ di tremarella. Si raddrizzò sulla schiena, si fece forza. Era in ballo, e, in qualche modo, avrebbe ballato. E ce l’avrebbe fatta.
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