Richard Matheson - La casa d'inferno

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La casa d'inferno: краткое содержание, описание и аннотация

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Per più di venti anni la casa appartenuta a Belasco è rimasta vuota. Indicata come la più inaccessibile delle case infestate, è un antico palazzo le cui mura hanno assistito a scene di orrore e depravazione inimmaginabili. Due tentativi di investigarne i misteri si sono conclusi terribilmente. Ora si prepara una nuova spedizione: quattro persone entrano in quel luogo misterioso, determinate a sondare gli ultimi segreti di vita e di morte che vi si celano. Ognuno di loro è spinto da una ragione personale per sfidare le mille tentazioni di quella dimora: ma potranno le loro anime sopravvivere di fronte a quanto si nasconde nella casa più infestata al mondo?

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Tossicchiò. «Fine della lezione» disse. E si chinò a baciarla su una guancia. «Il conferenziere ti ama» disse.

«Oh, Lionel.» Lo circondò con le braccia. «Anch’io ti amo. E sono così orgogliosa di te.»

Ella dormiva, adesso. Senza svegliarla, Barrett sciolse le dita da quelle di lei e si alzò in piedi. Le sorrise. Se l’è meritato questo sonnellino, pensò, è da quando siamo qui che non fa una buona dormita. Non si dorme alla Casa d’Inferno.

Il suo sorriso si allargò. Non merita più questo nome, adesso, pensò, allontanandosi dal letto: d’ora in poi sarà soltanto Casa Belasco.

Cominciò a vestirsi, lentamente. Che ne sarà, adesso, di questa casa? si domandò. Ne dovrebbero fare un santuario della scienza. Invece, Deutsch la metterà all’asta, la venderà al miglior offerente. Emise un grugnito, divertito. Ma non credo ci sia qualcuno ansioso di acquistarla!

Si pettinò, davanti allo specchio. L’occhio gli cadde sulla poltrona a dondolo. Sorrise di nuovo. Tutto era finito, adesso. Non più manifestazioni di energia cinetica. Non più spifferi, né odori, né colpi, né niente.

Uscì dalla stanza, si diresse verso lo scalone. Era lieto che Fischer avesse insistito per portare la salma di Florence Tanner in città senza indugio. Sì, perché non era il tipo, Fischer, da mettere quel cadavere nel portabagagli, e, allora, il viaggio sarebbe stato estremamente penoso per Edith: fino a Caribou Falls con la morta seduta sul sedile posteriore. Purché Fischer non tardasse troppo a tornare. Cominciava ad aver appetito sul serio. Per la prima volta quella settimana. Ci voleva un bel pranzetto, per festeggiare. Poi pensò al vecchio Deutsch buonanima. Poveretto, adesso non saprà mai la verità. Ma forse è meglio così, a voler essere gentili con lui. Non che Deutsch abbia mai preteso — né meritato — gentilezza…

Discese adagio lo scalone. E pensava: un museo ne dovrebbero fare. Sul serio, a quella casa bisognava pur dare una funzione, ora ch’era stata esorcizzata.

Attraversò il vestibolo, claudicando. Si era guardato poco fa allo specchio, nel bagno, dopo fatta la doccia: il suo corpo gli era sembrato quello di un lottatore dopo un incontro particolarmente duro, con lividi e ammaccature dappertutto. E la scottatura al polpaccio gli faceva ancora male, la pelle gli tirava tutt’intorno. E così pure gli doleva l’abrasione allo stinco. E quanto alla gamba e al pollice poi… Barrett sorrise. Non sono in condizioni di andare alle Olimpiadi, pensò.

Entrò nel salone e si diresse verso il suo Reversore. Di nuovo osservò il quadrante principale, con reverenza: segnava 14.780. Non avrebbe mai supposto che l’indice sarebbe salito così in alto. Ma del resto, non per nulla quella era considerata l’Everest di tutte le dimore infestate da spiriti. Scosse la testa, ammirato. Quella casa se l’era meritato, il suo nome.

Si volse e zoppicò fino al tavolo; si accigliò, al pensiero di tutte le cose da imballare. Osservò gli strumenti. Forse si poteva evitare di imballarli. Forse bastava avvolgerli in qualche asciugamano e metterli nel portabagagli con delle coperte che ammortizzassero gli urti. E, magari, avrebbero potuto portar via qualche oggetto d’arte, pensò, sorridendo. Deutsch non ne avrebbe mai sentito la mancanza.

Passò un dito sopra il registratore REM.

La lancetta si mosse.

Barrett sussultò. Osservò la lancetta. Era tornata immobile. Strano, pensò. Toccando il registratore doveva averla attivata mediante elettricità statica. Non sarebbe accaduto di nuovo.

Ma la lancetta diede un balzo, percorse tutto il quadrante, poi tornò sullo zero.

Barrett avvertì una contrazione nervosa sotto l’occhio. Cosa stava succedendo? Quel registratore non poteva funzionare da solo. Il REM poteva convertirsi in energia commensurabile solo in presenza di un medium psichico. Barrett diede una breve risata, sforzata. Sarebbe davvero buffo, se scoprissi di essere un medium io, dopo tanti anni, pensò. Ma era assurdo. Eppoi, non c’erano più radiazioni nella casa. Le aveva eliminate.

La lancetta cominciò a salire. Non oscillava né dava scatti. Saliva con lentezza e regolarità, come se indicasse un accumulo di radiazioni. «No» disse Barrett a mezza voce, irritato. Era solo ridicolo.

La lancetta seguitava a salire. Barrett la vide oltrepassare il 100, poi il 150. Scosse la testa. Era assurdo. Non poteva mica registrare da sé, quell’apparecchio. Eppoi non era rimasto niente, lì dentro, da registrare. «No» disse di nuovo. C’era più rabbia che sgomento nella sua voce. Questo era semplicemente inammissibile!

Sollevò la testa di scatto, da slogarsi quasi il collo. Anche la lancetta del dinamometro aveva cominciato a muoversi. Ma era impossibile! Spostò lo sguardo sul quadrante del termometro. Stava segnando un abbassamento di temperatura. « No » disse. Il suo volto era impallidito. Era un nonsenso! era una cosa del tutto illogica!

Trattenne il fiato. L’obiettivo della macchina fotografica era scattato. Restò a bocca aperta. Udì il fruscio della pellicola che veniva arrotolata, poi di nuovo lo scatto. Ansava. I suoi muscoli erano contratti da uno spasmo. Le luci multicolori si accesero. Si spensero. Si accesero di nuovo. « No! » Scosse la testa, non voleva arrendersi. Non poteva accettare la testimonianza dei propri sensi. Era un trucco. Era qualcosa di fraudolento!

Diede un violento sobbalzo, allorché una delle provette si spezzò a metà e cadde dalla sua mensola sul tavolo. Non può essere! udì la propria voce esclamare nel suo cranio. D’un tratto ricordò la domanda che gli aveva posto Fischer. «No!» rispose ad alta voce. Indietreggiò dal tavolo. Era proprio impossibile che, una volta dispersa, l’energia si potesse in alcun modo riformare.

Le luci cominciarono di nuovo a lampeggiare rapidamente. Egli gridò: «No!» con rabbia furibonda. Non poteva crederci! Le lancette dei suoi strumenti non erano tutte quante in movimento sui vari quadranti. Il termometro non registrava un costante abbassamento di calore. La stufa elettrica non si era accesa. I galvanometri non erano in azione. La macchina fotografica non stava scattando fotografie. Le provette e le fiale non si spezzavano l’una dietro l’altra. Il registratore REM non aveva superato i 700 gradi. Era tutto un’illusione. Egli era vittima di qualche aberrazione dei sensi. Una cosa così non poteva accadere! «Ho sbagliato!» gridò, con la faccia distorta dalla rabbia. «Sbagliato! sbagliato! sbagliato! »

Restò a bocca aperta. Il registratore REM aveva cominciato ad allargarsi. Inorridendo, lo vide gonfiarsi come se i suoi lati fossero stati di gomma. No. Scosse la testa, incredulo. Certo stava impazzendo. Tutto questo era impossibile. Lui non poteva accettarlo. Non poteva…

Gettò un urlo. Il registratore era esploso. Di nuovo gridò, quando delle schegge di metallo lo colpirono al viso, gli si conficcarono nella carne. Lasciò cadere il bastone e si coprì la faccia con le mani. Qualcosa volò radente al tavolo. Barrett si trasse indietro. La macchina fotografica lo colpì alle gambe. Perdette l’equilibrio, cadde. Udì gli apparecchi ruzzolare a terra, come scagliati da qualcuno. Non riusciva a veder niente. Si rialzò in piedi barcollando, accecato.

Allora fu investito da una forza impetuosa che lo sollevò da terra, quasi fosse stato un pupazzo. Gettò un grido di angoscia e sgomento. Quella forza, simile a un gelido tifone, lo scaraventò con estrema violenza contro il Reversore. Senti che un braccio gli si spezzava. Urlò di dolore, cadde sul pavimento.

Di nuovo l’invisibile forza lo afferrò, cominciò a trascinarlo per la stanza. Non riusciva a liberarsene. Invano tentò di gridare aiuto. Sbattendo da tutte le parti seguitava a venir trascinato attraverso il salone. Si accorse che stava per urtare contro un tavolo. Istintivamente sollevò il braccio destro. Cozzò con violenza il pollice ferito contro una gamba del tavolo. Spalancò la bocca emettendo un grido strozzato d’agonia. Dalla mano cominciò a uscirgli sangue. La forza che lo trascinava lo sbalestrò sul tavolo e poi di nuovo lo fece capitombolare in terra. Il pollice, quasi staccato di netto dalla mano gli penzolava come un brandello.

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