«Forse però è stato indebolito. Lei ha detto che lui poca fa l’ha preso in trappola nella cappella. Ebbene, se non fosse stato indebolito, perché avrebbe dovuto attirarla là, anziché sbarazzarsi di lei in un altro posto qualsiasi?»
Fischer, poco convinto, si mise a camminare su e giù. «Sì, questo potrebbe spiegare perché mi abbia attirato nella cappella. Cioè, ammettendo che il Reversore l’abbia indebolito e che, poi, lui abbia dovuto consumare la maggior parte delle restanti energie per distruggere Barrett e…» S’interruppe, stizzito. «No, il conto non torna. Se il Reversore avesse funzionato, avrebbe dovuto dissipare tutta la sua energia, non soltanto una parte di essa.»
«Ma forse la carica non era forte abbastanza. Oppure, il potere di Belasco era troppo forte perché un Reversore potesse distruggerlo interamente.»
«Ne dubito» disse Fischer. «Eppoi questo lo stesso non spiega come mai egli avrebbe permesso che il Reversore venisse usato, pur avendo avuto il modo di distruggerlo prima. »
«Ma Lionel credeva nel Reversore» ella insistette. «Se Belasco l’avesse distrutto prima che fosse usato, non sarebbe equivalso, questo atto, ad ammettere che Lionel aveva ragione?»
Fischer la scrutò in volto. Qualcosa stava prendendo forma dentro di lui, qualcosa che possedeva lo stesso sconvolgente senso di verità da lui sperimentato quando Florence gli aveva rivelato la propria teoria intorno a Belasco.
Notando quella sua espressione, Edith si affrettò a soggiungere, disperatamente, per cercare di convincerlo che Lionel era nel vero, sia pure in parte. «Non sarebbe stata una ben maggiore soddisfazione per Belasco lasciare che Lionel usasse il Reversore contro di lui e poi dopo distruggerlo? Perché Lionel dev’esser morto convinto di aver sbagliato tutto. Non è quel che Belasco avrebbe dovuto desiderare?»
Quella sensazione prendeva sempre più corpo, in Fischer. E la sua mente lavorava in modo febbrile per mettere insieme tutti i pezzetti. Belasco sarebbe stato, dunque, tanto determinato a distruggere Barrett proprio in quella maniera, al punto di consentire, deliberatamente, di venir indebolito? Solo un egotismo spinto alle estreme conseguenze…
Un brivido lo percorse, e fu tale l’intensità che gli sfuggì un gemito.
«Che c’è?» ella chiese, allarmata.
«Egotista» egli disse.
Puntò il dito e ripeté: «Il suo ego» .
«Cosa intende dire?»
«Ecco perché ha agito così. Lei ha ragione: non sarebbe rimasto del tutto soddisfatto in alcun’altra maniera! Bisognava che suo marito usasse effettivamente il Reversore, bisognava che credesse di aver davvero dissipato l’energia occulta… bisognava insomma dargli la mazzata quando lui era all’apice della gioia per il presunto successo.» Annuì. «Sì! solo questo avrebbe soddisfatto il suo ego, la sua megalomania.»
Fischer proseguì dopo una pausa: «Forse che non fece sapere a Florence, prima di finirla, che era lui, e lui solo, la causa di tutto? E così si sarà comportato anche con Barrett. Egotismo. Senso sfrenato dell’io. E la stessa cosa fece sapere a lei, là, nel teatro. Egotismo. E anche a me volle farlo sapere. Egotismo. Non gli bastava portarci alla distruzione di noi stessi. Aveva anche bisogno di farci sapere, nel momento in cui ci aveva in sua balia, ch’era lui solo la causa di tutto. Tranne che, vede, quando arrivò a me, la maggior parte della sua energia era stata già consumata, e non era in grado di distruggermi. Poteva solo indirizzarmi e far sì che io mi distruggessi da solo».
Fischer aveva l’aria d’un tratto eccitata. «E se adesso non fosse capace di uscire dalla cappella?»
«Ma lei mi ha detto ch’è stato Belasco stesso a condurlo là, nella cappella.»
«E se non fosse stato lui? Se fosse stata invece Florence? Mettiamo che Florence sapeva che Belasco era in trappola nella cappella…»
«Ma, allora, perché Florence l’avrebbe condotto là, dove la morte l’attendeva?»
Fischer restò perplesso. «No, non poteva volere la mia morte. E allora perché mi avrebbe guidato nella cappella? Doveva esserci un motivo!»
Trattenne il fiato. «La Bibbia.» Avvertì qualcosa che non provava più da quando era un ragazzo, pulsare per tutto il suo essere, un senso di forza, una forza che voleva esser sprigionata. «Se il tuo occhio destro ti offende, tu cavatelo.» Si mise a camminare senza posa, e gli pareva di trovarsi sull’orlo di un precipizio, che la nebbia innanzi a lui stesse per fendersi, che la verità stesse per apparire. «Se il tuo occhio…»
Non riusciva a capire. Ma che altro era accaduto nella cappella? La carta da parati lacerata. Che significato aveva? Il medaglione… Rotto! E un frammento a forma di freccia che pareva indicare verso l’altare. E, sull’altare, la Bibbia aperta. «Dio mio.» La voce gli tremava. Era così vicino… così vicino. «Se il tuo occhio destro t’offende, tu cavatelo.» Egotismo, culto dell’io, pensò. «Se il tuo occhio destro ti offende, tu cavatelo.» Ego. Ego. Si fermò di colpo. Sentì farsi luce dentro di sé. C’era quasi arrivato. Qualcosa. Qualcosa… «Se il tuo occhio destro…»
Gridò: «Il nastro!».
Compì una giravolta e si precipitò verso la porta. Edith gli corse appresso. Discesero lo scalone. Lui la precedeva di mezza rampa. Compiva balzi. Edith discese i gradini più in fretta che poteva, attraversò di corsa il vestibolo.
Entrò nel salone e Fischer era già arrivato al tavolo e aveva acceso il registratore. Edith si morse il labbro, udendo la voce di Lionel. «… ha determinato un trauma nervoso in lei.»
Fischer spinse il pulsante della retromarcia, fece scorrere all’inverso la bobina. Poi schiacciò il pulsante dell’ascolto. «Il dinamometro segna…» Con un moto d’impazienza, Fischer fece girare ancora la bobina all’inverso. Poi riattaccò. E si udì la voce di Florence: «Uscite da questa casa prima che vi ammazzi tutti» . Fischer emise una specie di ringhio e fece scorrere ancor di più la bobina all’inverso. Poi schiacciò il bottone dell’ascolto. E la voce di Florence disse: «Qui da troppo tempo» . La sua voce era cavernosa, imitando la voce della sua guida pellerossa. «Non ascolta. Non capisce. Troppo malato qui dentro.» Una pausa. Fischer si sporse in avanti, era tutto teso. La voce disse: «Limiti. Nazioni. Confini. Non capisco cosa questo vuol dire. Estremi e confini. Termini ed estremità».
Fischer emise un grido di gioia selvaggia, che fece sussultare Edith. Fece scorrere il nastro all’inverso e poi lo ripassò. «Estremi e confini. Termini ed estremità.» Fischer afferrò il registratore e lo sollevò in alto sopra la testa come un trofeo. «Florence lo sapeva!» gridò. «Lo sapeva! Lo sapeva!» Scagliò lontano il registratore. Prima ancora che l’apparecchio si schiantasse sul pavimento, lui già correva verso il vestibolo. «A noi due!» gridò.
Fischer sfrecciò per il vestibolo e infilò il corridoio. Edith lo seguì. Gettando un’esclamazione che sembrava il grido di guerra di un indiano, Fischer varcò la porta della cappella. «Belasco!» gridò. «Sono tornato! Distruggimi, se ce la fai!»
Edith entrò a sua volta nella cappella.
«Avanti!» gridava Fischer. «Siamo qui tutti e due adesso. Ammazzaci! Non lasciare il lavoro a metà!»
Silenzio. Fischer respirava in modo strano. «Avanti» Edith lo udì mormorare fra sé.
Poi gridò a squarciagola: «Fatti sotto, lurido bastardo!» .
Edith guardò verso l’altare. Per un momento non riuscì a credere alle proprie orecchie. Poi il rumore si fece più distinto, non si poteva sbagliare.
Un rumore di passi che si avvicinavano.
Edith si trasse indietro, d’instinto, tenendo gli occhi fissi sull’altare. I passi si fecero più distinti. Fischer le prese una mano. Ella guardava a bocca aperta. Il rumore si faceva via via più forte. Il pavimento cominciò a traballare. Era come se un gigante invisibile si stesse avvicinando.
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