Dean Koontz - Sussurri

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A ventinove anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, la bella e intelligente Hilary Thomas è arrivata al successo. Ma quando viene aggredita nella sua lussuosa villa di Beverly Hills da un maniaco omicida, i peggiori incubi del passato sembrano rimaterializzarsi nei bagliori della lama acuminata del suo aggressore. Non basterà fuggire, non basterà lottare, non basterà nemmeno ucciderlo: lui tornerà, più forte della morte, a ossessionarla, costringendola a scavare disperatamente nei segreti sepolti per scoprire una realtà allucinante. Da Hollywood a Napa Valley, dalle piscine soleggiate delle dimore dei divi alla penombra umida di morte dell’obitorio, il ritmo tranquillo della vita quotidiana in California viene sconvolto da eventi ben più spaventosi e dirompenti dei terremoti ai quali la gente è ormai abituata. Esistono forze, nella mente umana, al confronto delle quali le scosse telluriche sono carezze e le urla di morte soltanto sussurri.

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Frank rifiutò di farsi trascinare in un’altra discussione. Continuò a tenere gli occhi fissi sulla strada, mugugnando e trincerandosi dietro il solito silenzio.

Tony sospirò e si mise a osservare il paesaggio circostante con l’occhio dell’artista, pronto a cogliere un dettaglio inaspettato o mai notato prima di allora.

Impressioni.

Ogni scena, ogni paesaggio, ogni strada, ogni edificio, ogni stanza all’interno di una casa, ogni persona, ogni cosa suggerivano una particolare impressione. Se si riusciva a cogliere l’impressione dettata da una scena era possibile spingersi oltre, fino alla struttura che stava alla base. Se si riusciva a fermare il meccanismo che dava forma all’armonia di fondo, era possibile comprendere il significato intrinseco delle cose e quindi dipingerle in modo adeguato. Se ci si limitava ad afferrare i pennelli e ad avvicinarsi alla tela senza aver compiuto una tale analisi, il risultato poteva essere un quadro accettabile, ma non certo un’opera d’arte.

Impressioni.

Mentre Frank Howard svoltava sul Wilshire, dirigendosi verso il bar di Hollywood chiamato The Big Quake, Tony si mise alla ricerca di nuove impressioni legate alla città e alla notte. Arrivando da Santa Monica, vide dapprima la lunga fila di casette affacciate sul mare e i contorni indefiniti delle palme alte e ben ordinate: suggerivano immagini di serenità, cortesia e discreta agiatezza. Entrando a Westwood, il paesaggio sembrava dominato da una forma rettilinea: ammassi di grattacieli e macchie oblunghe di luce provenienti dalle finestre che si aprivano sui lati più scuri degli edifici. Quelle forme precise e perfettamente rettangolari erano la rappresentazione visiva del pensiero moderno e del potere e suggerivano una ricchezza ancora maggiore di quella che traspariva dalle case sul lungomare di Santa Monica. Proseguirono verso Beverly Hills, un angolino isolato all’interno dell’enorme metropoli, un luogo in cui la polizia di Los Angeles poteva passare senza esercitare tuttavia alcuna autorità. A Beverly Hills tutto era morbido, lussureggiante e scintillante in un grazioso susseguirsi di ville enormi, parchi, giardini, negozi esclusivi e automobili costose concentrati in pochi isolati come non avveniva in alcun altro paese della terra. Dal Wilshire Boulevard al Santa Monica Boulevard fino a Doheny, si aveva l’impressione di vivere in un lusso sempre crescente.

Svoltarono a nord, verso Doheny, si arrampicarono sulle colline ripide e si ritrovarono sul Sunset Boulevard, verso il cuore di Hollywood. In un paio di isolati, quella strada sembrava concentrare tutto ciò che l’aveva resa celebre. Sulla destra c’era Scandia, uno dei ristoranti più eleganti della città e uno dei migliori dell’intero paese. Discoteche scintillanti. Un night club specializzato in giochi di prestigio. Un altro locale gestito da un ipnotizzatore. Luoghi di ritrovo. Club del rock and roll. Enormi cartelloni luminosi che pubblicizzavano i film in prima visione e gli attori più famosi del momento. Luci, luci e ancora luci. All’inizio, il boulevard sembrava confermare la tesi sostenuta dalle università e dal governo, secondo cui Los Angeles e i suoi sobborghi costituivano l’area metropolitana più ricca del paese e forse del mondo intero. Ma poco più avanti, proseguendo in direzione est, la patina dorata svaniva. Persino Los Angeles soffriva di senescenza. L’immagine si faceva marginalmente ma inconfondibilmente cancerosa. Nel corpo florido della città si sviluppavano qua e là escrescenze maligne. Bar da quattro soldi, un locale di striptease, una stazione di servizio ormai in rovina, istituti di bellezza dall’aria equivoca, un negozio con libri per adulti e alcuni edifici che avevano urgente bisogno di essere ristrutturati. La malattia non era allo stadio avanzato, come in molti altri quartieri, ma giorno dopo giorno rosicchiava parte del tessuto vitale. Frank e Tony non dovettero comunque giungere sino al focolaio dell’orribile tumore, dal momento che The Big Quake si trovava al limite della zona maligna. Il locale apparve improvvisamente sul lato destro della strada in un baluginare di luci rosse e azzurre.

All’interno ricordava molto il Paradise, anche se l’arredamento puntava decisamente più sulle luci colorate, sull’acciaio e sugli specchi rispetto al bar di Santa Monica. I clienti avevano un’aria più elegante, più au courant, e, in generale, si presentavano decisamente meglio della folla che gremiva il Paradise. Ma Tony ebbe la stessa impressione avvertita a Santa Monica. Immagini di desiderio, bramosia e solitudine. Immagini di disperazione.

Il barista non era in grado di aiutarli e l’unica cliente che fornì qualche informazione utile fu una brunetta alta con gli occhi viola. Era sicura che avrebbero trovato Bobby alla Janus, una discoteca di Westwood. L’aveva incrociato nelle ultime due sere.

Nel posteggio investito dai fasci di luce intermittente rossa e azzurra, Frank borbottò: «Da cosa nasce cosa.»

«Come al solito.»

«Si sta facendo tardi.»

«Già.»

«Vuoi andare subito al Janus o preferisci rimandare tutto a domani?»

«È meglio adesso,» rispose Tony.

«Bene.»

Fecero dietrofront e proseguirono lungo il Sunset, uscendo dalla zona che mostrava segni di tumore urbano, per immettersi sul luccicante Strip e poi di nuovo in mezzo alla ricchezza e ai giardini ben curati, oltre il Beverly Hills Hotel, oltre le ville e le interminabili file di palme gigantesche.

Come faceva spesso quando temeva che Tony intavolasse una conversazione, Frank sintonizzò la radio sulla frequenza della polizia e rimase in ascolto delle comunicazioni diramate alle autopattuglie che controllavano la zona di Westwood. Su quella banda di frequenza non c’era niente di interessante. Una lite in famiglia. Una zuffa all’angolo del Westwood Boulevard e Wilshire. Un individuo sospetto all’interno di una macchina posteggiata nella zona residenziale di Hilgarde aveva attirato l’attenzione ed era quindi meglio controllare.

Nella maggior parte degli altri sedici distretti di polizia della città, le notti non erano altrettanto tranquille, ma Westwood era una zona decisamente privilegiata. Nei distretti Settantasette, Newton e Sudovest, che includevano i quartieri della comunità di colore a sud dell’autostrada di Santa Monica, i poliziotti in servizio non avevano certo il tempo di annoiarsi: nelle loro zone la notte era sempre movimentata. Nella parte orientale della città, nei quartieri abitati da messicani e americani, le bande continuavano a scorrazzare terrorizzando la maggior parte dei cittadini fedeli alla legge. Nel corso della notte si verifìcavano sempre incidenti fra bande rivali nella zona orientale, scontri violenti fra punk e sparatorie fra i macho che ogni notte cercavano di dimostrare la propria virilità con quelle stupide, assurde e sanguinose cerimonie senza tempo che si ripetevano da generazioni, secondo un rituale ormai consolidato. Nella zona nordovest, sull’altro lato delle colline, i ragazzi provenienti dalle campagne bevevano decisamente troppo whisky, fumavano troppa marijuana e sniffavano troppa cocaina: era quindi logico che andassero a cozzare in macchina e in motocicletta, l’uno contro l’altro, a velocità inaudita e con sorprendente regolarità.

Mentre Frank passava davanti all’ingresso di Bel Air e si arrampicava sulla collina che conduceva al campus della UCLA, la scena di Westwood si animò improvvisamente. La radio segnalò la chiamata di una donna in difficoltà. Le informazioni erano sommarie. Apparentemente, si trattava di un tentativo di stupro e di aggressione a mano armata. Non si sapeva se l’assalitore era ancora nei paraggi. Erano stati sparati colpi di arma da fuoco, ma non era stato possibile accertare se la pistola apparteneva alla vittima o all’assalitore. Non si sapeva neppure se c’erano stati dei feriti.

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