«Ma non ha raccontato niente di sé?»
«Si è limitato a bere e se n’è andato.»
«E non è più tornato?»
«Esatto.»
«Ne è sicuro?»
«Non è più tornato, almeno durante il mio turno.»
«Ha un’ottima memoria.»
«Solo per quelli che creano problemi e per le ragazze carine.»
«Vorremmo mostrare queste foto segnaletiche ad alcuni dei suoi clienti,» propose Frank.
«Certo, fate pure.»
La biondina seduta di fianco a Tony Clemenza chiese: «Posso vederle da vicino? Forse ero qui quando è venuto. Magari gli ho anche parlato.»
Tony prese le fotografie e ruotò sullo sgabello.
Nello stesso momento la ragazza oscillò verso di lui sfiorandogli le ginocchia. Quando prese le fotografie, le dita indugiarono per un attimo sulla mano di Tony. Era una fervente sostenitrice dell’approccio visivo. Sembrava volesse scandagliargli il cervello e trafiggerlo con lo sguardo.
«Io sono Judy. Come ti chiami?»
«Tony Clemenza.»
«Lo sapevo che eri italiano. Si capisce al volo, con quegli occhi scuri e pieni di sentimento.»
«Mi tradiscono sempre.»
«E poi i capelli scuri così folti. E ricci.»
«E che cosa ne dice della macchia di pomodoro sulla camicia?»
Lei lanciò un’occhiata alla camicia.
«In realtà non c’è alcuna macchia,» le spiegò.
La ragazza aggrottò la fronte.
«Stavo scherzando. Uno scherzetto innocuo,» le spiegò.
«Oh.»
«Riconosce Bobby Valdez?»
La ragazza si decise a osservare la foto. «No. Probabilmente non c’ero la sera in cui capitò qui. Ma non è male, vero? È piuttosto carino.»
«Ha la faccia da bambino.»
«Sarebbe come andare a letto con il mio fratellino,» disse. «Proprio buffo.» Fece una smorfia.
Tony riprese le foto.
«Sei molto elegante con quel vestito,» commentò lei.
«Grazie.»
«Ha un bel taglio.»
«Grazie.»
Non era semplicemente una donna emancipata che esercitava il proprio potere di aggredire sessualmente. Gli piacevano quelle emancipate. Ma quella biondina era un’altra cosa. Aveva qualcosa di strano. Apparteneva a quel genere di donne che amano le fruste e le catene. O forse peggio. Lo faceva sentire come un bocconcino prelibato, una gustosa tartina, l’ultimo pezzettino di pane tostato coperto di caviale appoggiato su un vassoio d’argento.
«Non si vedono molti vestiti del genere in un posto come questo,» proseguì.
«Immagino.»
«Magliette, jeans, giubbotti di pelle e stile hollywoodiano: ecco che cosa impazza da queste parti.»
Tony si schiarì la voce. «Be’,» bofonchiò a disagio, «vorrei ringraziarla per l’aiuto che ci ha dato.»
La ragazza sussurrò: «Mi piacciono gli uomini che hanno gusto nel vestire.»
I loro sguardi si incrociarono e Tony notò un guizzo di ingordigia e di bramosia animalesca. Aveva l’impressione che, se l’avesse seguita nel suo appartamento, la porta si sarebbe chiusa dietro di loro come due enormi fauci. Gli sarebbe saltata addosso immediatamente e lo avrebbe manipolato e rigirato come un fantoccio; lo avrebbe distrutto succhiandogli tutta la linfa vitale e lo avrebbe usato fino a farlo a pezzi, fino a quando avesse cessato di esistere se non come parte di lei.
«Devo tornare al lavoro,» disse, scendendo dallo sgabello. «Ci vediamo.»
«Lo spero proprio.»
Per circa un quarto d’ora, Tony e Frank mostrarono le fotografìe di Bobby Valdez ai clienti del Paradise. Mentre si spostavano da un tavolo all’altro, l’orchestra riprese a suonare brani dei Rolling Stones, di Elton John e dei Bee Gees a un volume tale che a Tony iniziarono a vibrare persino i denti. Si rivelò solo una perdita di tempo. Nessuno al Paradise ricordava l’assassino con il viso infantile.
Prima di uscire, Tony si fermò davanti al lungo bancone dove Otto stava preparando alcuni Margaritas. «Mi spieghi una cosa,» urlò cercando di farsi sentire.
«Dica pure,» strillò Otto.
«Ma la gente non viene in questi posti per incontrare i suoi simili?»
«Stabilire un contatto. Vengono per questo.»
«E allora perché diamine ci sono orchestre come questa nei bar per single?»
«Che cosa c’è che non va in questo gruppo?»
«Molte cose. Ma fondamentalmente la musica troppo alta.»
«E allora?»
«E allora come si fa a intavolare una conversazione interessante?»
«Una conversazione interessante?» si stupì Otto. «Ehi, amico. Non vengono qui per chiacchierare, vengono qui per incontrarsi, per vedere se l’altro fa al caso loro e per decidere con chi andare a letto.»
«E niente conversazione?»
«Ma li guardi. Si dia un’occhiata intorno. Di che cosa potrebbero parlare? Se la musica non è abbastanza alta o se si interrompe per un attimo, iniziano a diventare nervosi.»
«Perché dovrebbero sforzarsi di riempire quegli attimi di silenzio.»
«Esattamente. E se ne andrebbero da un’altra parte.»
«Dove la musica è assordante e dove possono comunicare con il linguaggio del corpo.»
Otto si strinse nelle spalle. «È una caratteristica della nostra epoca.»
«Forse avrei dovuto vivere in un’altra epoca,» commentò Tony.
La notte sembrava mite ma sapeva che sarebbe diventata più fredda. Dal mare proveniva una sottile foschia, una specie di soffio umido e appiccicoso che permeava l’aria e si concentrava in tanti aloni attorno alle luci.
Frank lo aspettava al volante della macchina della polizia. Tony si sedette al suo fianco e si allacciò la cintura di sicurezza.
Avevano un’altra pista da controllare prima di smontare per quel giorno. Un paio di persone al bar di Century City avevano affermato di aver visto Bobby Valdez in un locale chiamato The Big Quake sul Sunset Boulevard, a Hollywood.
Il traffico era piuttosto denso in direzione del centro. A volte Frank diventava impaziente e saltava da una corsia all’altra, aprendosi un varco in mezzo al traffico grazie al clacson e all’uso sapiente dei freni, nel tentativo di superare una macchina dopo l’altra, ma non quella sera. Quella sera aveva deciso di seguire il flusso.
Tony si chiese se Frank Howard non avesse per caso discusso di filosofia con Otto.
Dopo un po’, Frank ruppe il silenzio. «Avresti potuto fartela.»
«Chi?»
«Quella bionda. Quella Judy.»
«Ero in servizio, Frank.»
«Avresti potuto organizzare qualcosa per dopo. Ti moriva dietro.»
«Non è il mio tipo.»
«Era stupenda.»
«Era un’assassina.»
«Che cosa?»
«Mi avrebbe mangiato vivo.»
Frank riflette per un paio di secondi, poi proseguì: «Stronzate. Io ci farei un giretto se ne avessi la possibilità.»
«Sai dove trovarla.»
«Magari più tardi torno da quelle parti.»
«Accomodati pure,» disse Tony. «E quando avrà finito con te, dovrò venire a trovarti in ospedale.»
«Diamine, ma si può sapere che cos’hai? Non era così terribile. È facile trattare con gente del genere.»
«Forse è proprio per questo che non mi interessa.»
«Comunque mandala da me.»
Tony Clemenza era stanco. Si passò una mano sul volto, come se la stanchezza fosse una maschera che poteva togliersi. «Era troppo facile, troppo disponibile.»
«Da quando sei diventato un puritano?»
«Non è questo,» rispose Tony. «Oh… sì… è vero, forse lo sono. Solo un po’. Forse da qualche parte nascondo una traccia di puritanesimo. Santo cielo, ho avuto parecchie di quelle che vengono definite ‘relazioni importanti’. Non sono certo casto e puro. Ma non mi ci vedo in un posto come il Paradise, a cercare di accalappiare tutte le donne nel tentativo di soddisfare il mio desiderio di carne fresca. Innanzitutto, non potrei rimanere serio intavolando quel genere di conversazione che si usa per riempire i momenti di silenzio fra una canzone e l’altra. Ma mi ci vedi? ‘Salve, mi chiamo Tony. Tu come ti chiami? Di che segno sei? Ti interessi di numerologia? Ti interessi di filosofia orientale? Credi nell’incredibile totalità dell’energia cosmica? Credi nel destino come mezzo necessario per la presa di coscienza cosmica che racchiude il tutto? Credi sia il destino che ci ha fatto incontrare? Credi sia possibile sbarazzarsi di tutto il karma negativo che abbiamo generato individualmente per creare un’energia positiva insieme? Ti va di scopare?’»
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