Dean Koontz - Sussurri

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A ventinove anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, la bella e intelligente Hilary Thomas è arrivata al successo. Ma quando viene aggredita nella sua lussuosa villa di Beverly Hills da un maniaco omicida, i peggiori incubi del passato sembrano rimaterializzarsi nei bagliori della lama acuminata del suo aggressore. Non basterà fuggire, non basterà lottare, non basterà nemmeno ucciderlo: lui tornerà, più forte della morte, a ossessionarla, costringendola a scavare disperatamente nei segreti sepolti per scoprire una realtà allucinante. Da Hollywood a Napa Valley, dalle piscine soleggiate delle dimore dei divi alla penombra umida di morte dell’obitorio, il ritmo tranquillo della vita quotidiana in California viene sconvolto da eventi ben più spaventosi e dirompenti dei terremoti ai quali la gente è ormai abituata. Esistono forze, nella mente umana, al confronto delle quali le scosse telluriche sono carezze e le urla di morte soltanto sussurri.

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«A parte quando parli di scopare,» commentò Frank, «non ho capito assolutamente niente.»

«Nemmeno io. È proprio questo che voglio dire. In un posto come il Paradise la conversazione è fasulla, giusto quattro stupidate spacciate per questioni serie per far scivolare qualcuno nel proprio letto senza tanti problemi. Al Paradise nessuno chiede a una donna qualcosa di veramente importante. Non le chiedi quali sono i suoi sentimenti, le sue emozioni, il suo talento, le sue paure, le sue speranze, i suoi bisogni, le sue necessità e i suoi sogni. Così finisce che ti ritrovi a letto con una sconosciuta. Oppure, ed è anche peggio, ti ritrovi a fare l’amore con una bomba del sesso, con una fotografia ritagliata da una rivista per soli uomini, un’immagine invece di una donna reale, un pezzo di carne invece di una persona, e questo significa che non stai facendo l’amore. Quell’atto serve solo a soddisfare un bisogno fisico, esattamente come quando ti gratti la schiena o vai di corpo senza fatica. Se un uomo riduce il sesso a questo, allora tanto vale che se ne stia a casa e usi la mano.»

Frank frenò davanti a un semaforo rosso ed esclamò: «Ma con la mano non puoi farti un pompino!»

«Cristo, Frank, a volte sei davvero volgare.»

«Sono solo pratico.»

«Quello che sto cercando di dire è che, almeno per me, non vale la pena ballare se non conosci il tuo partner. Non sono il tipo che va in discoteca e si mette a ballare per conto suo. Devo sapere come si muove la mia compagna, e perché, quello che pensa e quello che prova. Il sesso è dannatamente migliore se quella persona rappresenta qualcosa per te, se è un individuo, una persona autentica e non solo un bel corpicino con le curve al punto giusto. Deve avere una personalità propria, un carattere formato dall’esperienza.»

«Non credo alle mie orecchie,» sbottò Frank mentre ripartiva con il semaforo verde. «E la solita, vecchia lagna sul sesso: se in qualche modo non è implicato l’amore, allora è banale e insoddisfacente.»

«Non sto parlando dell’amore eterno,» proseguì Tony. «Non sto parlando delle promesse di fedeltà assoluta da rispettare fino alla morte. Puoi amare qualcuno per un breve periodo, in molti modi diversi. E puoi continuare ad amare una donna anche quando termina la relazione dal punto di vista fisico. Sono rimasto amico di donne con cui ho fatto l’amore perché non ci siamo mai considerati come un trofeo da aggiungere alla lista; avevamo qualcosa in comune e questo anche dopo aver smesso di andare a letto insieme. Insomma, prima di iniziare una scopatina o prima di mettermi con le chiappe al vento, voglio essere sicuro di potermi fidare di quella donna; voglio che sia speciale, almeno per me, voglio che valga la pena aprirmi nei suoi confronti ed essere parte di lei, anche se per poco tempo.»

«Stronzate,» ribattè Frank con aria di disprezzo.

«Io la penso così.»

«Lascia che ti dica una cosa.»

«Fai pure.»

«Il miglior consiglio che tu abbia mai ricevuto.»

«Ti sto ascoltando.»

«Se credi davvero che esista qualcosa chiamato amore, se in tutta onestà sei convinto che esista un sentimento forte come l’odio e la paura, allora devi essere pronto a soffrire, a soffrire le pene dell’inferno. È una menzogna, un’enorme menzogna. L’amore è qualcosa che hanno inventato gli scrittori per vendere i libri.»

«Non stai parlando sul serio.»

«Invece sì, cazzo.» Frank distolse per un attimo lo sguardo dalla strada e fissò Tony con aria di compatimento. «Quanti anni hai? Trentatré?»

«Quasi trentacinque,» rispose Tony mentre Frank tornava a fissare la strada e sorpassava un camion incredibilmente lento, carico di rottami.

«Be’, io ne ho dieci di più,» proseguì Frank. «Quindi ascolta un vecchio saggio. Prima o poi verrà il giorno in cui crederai di esserti innamorato sul serio di una graziosa signorina, ma quando ti piegherai per baciare i suoi bei piedini, lei ti ricompenserà sferrandoti un calcio sui denti. Puoi essere certo che ti spezzerà il cuore se le farai capire di averne uno. Affetto? Certo. Quello va bene. E lussuria. Lussuria è la parola giusta, amico. Tutto ruota attorno alla lussuria. Ma non parlare di amore. Devi dimenticare tutte queste stronzate sull’amore. Cerca di divertirti. Arraffa tutto quello che puoi intanto che sei giovane. Scopa e fuggi. In questo modo non rimarrai mai ferito. Se continui a fantasticare sull’amore, riuscirai solo a farti prendere per il culo, una volta, due volte, mille volte, fino a quando ti metteranno sotto terra.»

«Secondo me sei troppo cinico.»

Frank si strinse nelle spalle.

Sei mesi prima, il suo matrimonio si era concluso con un divorzio. Quell’esperienza l’aveva reso particolarmente acido.

«E non credo che tu sia davvero così cinico,» proseguì Tony. «Secondo me non sei davvero convinto di quello che dici.»

Frank non rispose.

«Sei molto sensibile,» aggiunse Tony.

Frank si limitò a scrollare le spalle.

Per un paio di minuti Tony cercò di proseguire nella conversazione, ma Frank aveva già espresso il proprio parere sull’argomento. Si trincerò nel suo classico silenzio da mummia. Era comunque sorprendente che Frank avesse parlato tanto, dal momento che non era un gran chiacchierone. Tony si rese conto addirittura che la breve discussione appena conclusa era stata la più lunga che avessero mai avuto.

Tony lavorava con Frank Howard da più di tre mesi. Ma non era ancora sicuro che l’accoppiamento potesse funzionare.

Erano incredibilmente diversi e sotto qualsiasi punto di vista. Tony era un gran parlatore. Frank di solito si limitava a grugnire in segno di risposta. Tony aveva una vasta gamma di interessi oltre al lavoro: film, libri, cibo, teatro, musica, arte, sci, corsa. Per quanto ne sapeva, a Frank non interessava praticamente nulla al di fuori del suo lavoro. Tony era convinto che un investigatore disponesse di molti sistemi per ottenere informazioni da un testimone, inclusi la gentilezza, l’astuzia, la comprensione, l’empatia, l’attenzione, il fascino, l’insistenza, l’intelligenza, oltre, naturalmente, all’intimidazione e, in qualche raro caso, anche la forza. Frank, al contrario, sosteneva che erano sufficienti l’insistenza, l’intelligenza, l’intimidazione e un pizzico di violenza in più rispetto ai canoni previsti dal dipartimento; secondo lui gli altri metodi elencati da Tony erano assolutamente inutili. Per questa ragione, Tony doveva frenarlo dolcemente, ma con aria decisa, almeno due volte la settimana. Frank era solito perdere la pazienza e dare in escandescenze quando troppe cose andavano storte nel corso della stessa giornata. Tony, da parte sua, era quasi sempre calmo. Frank era alto un metro e settantasette e di corporatura robusta. Tony era alto un metro e ottantatré, magro, slanciato e dall’aria muscolosa. Frank era biondo e aveva gli occhi azzurri. Tony era scuro. Frank era decisamente pessimista. Tony era un ottimista. Sembravano due tipi diametralmente opposti e a volte pareva impossibile che potessero lavorare insieme.

Eppure erano molto simili sotto certi aspetti. Innanzitutto, nessuno dei due staccava al termine delle otto ore. Molto spesso, facevano due ore di straordinario, a volte tre, senza essere pagati e nessuno dei due si era mai lamentato. Quando stavano per giungere alla conclusione di un caso, quando le tracce e le prove si facevano sempre più decisive, erano disposti a lavorare anche durante il proprio giorno libero, se era necessario. Nessuno chiedeva loro di sgobbare tanto. Nessuno glielo ordinava. Si trattava di una libera scelta.

Tony desiderava impegnarsi più del dovuto per il dipartimento perché era ambizioso. Non aveva alcuna intenzione di rimanere un agente investigativo per il resto della vita. Voleva diventare perlomeno capitano e magari anche qualcosa di più: forse sarebbe arrivato molto in alto, nell’ufficio del capo, e lo stipendio e la pensione sarebbero stati decisamente migliori di ciò a cui avrebbe potuto aspirare se fosse rimasto un semplice investigatore. Era cresciuto in una famiglia numerosa di origine italiana, nella quale l’arte del risparmio rappresentava una seconda religione, importante quanto il cattolicesimo. Suo padre, Carlo, era un immigrato e faceva il sarto. Il pover’uomo aveva sempre sgobbato duramente per riuscire a vestire e sfamare i figli e per garantire loro un tetto, ma spesso si era trovato sull’orlo del fallimento. La famiglia Clemenza era stata colpita da numerose malattie e i conti dell’ospedale e delle farmacie avevano prosciugato gran parte del denaro faticosamente accantonato. Quando Tony era ancora bambino, prima ancora che riuscisse a capire i problemi legati al denaro e al magro bilancio familiare, prima ancora che iniziasse a conoscere lo spettro della miseria con la quale suo padre viveva praticamente da sempre, aveva sentito ripetere centinaia, forse migliaia di brevi ma incisive lezioni sulla responsabilità economica. Carlo lo istruiva quasi quotidianamente sull’importanza del lavoro, sull’accortezza finanziaria, sull’ambizione e sulla sicurezza del posto di lavoro. Suo padre avrebbe dovuto lavorare per la cia nel dipartimento che si occupava del lavaggio del cervello. Tony era stato indottrinato completamente e aveva assorbito così bene le paure e i principi del padre, che persino all’età di trentacinque anni, con un eccellente conto in banca e un lavoro fìsso, si sentiva a disagio se si assentava dal lavoro per più di due o tre giorni. Molto spesso, quando decideva di prendersi una lunga vacanza, il periodo di riposo si trasformava in un’enorme sofferenza. Ogni settimana faceva molte ore di straordinario perché era il figlio di Carlo Clemenza e il figlio di Carlo Clemenza non avrebbe potuto comportarsi diversamente.

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