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Charles Grant: La carezza della paura

Здесь есть возможность читать онлайн «Charles Grant: La carezza della paura» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 1988, ISBN: 88-200-0762-2, издательство: Sperling & Kupfer, категория: Ужасы и Мистика / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Charles Grant La carezza della paura

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Quale sarà la prossima vittima dello squartatore, il mostro del New Jersey? Il timido Donald Boyd, capace di parlare solo con creature immaginarie di sua invenzione, assalito dal mostro, viene salvato da uno stallone nero che da allora lo difenderà sempre, apparendo dal nulla. Per Donald è la lotta contro una nuova inspiegabile ossessione.

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Il viale era vuoto, a eccezione dello stallone che galoppava sulla corsia diretta a est, con il collo allungato e fiammate verdi, le orecchie all’indietro e gli occhi verdi. Le ondate di fumo riempivano l’aria e il rumore degli zoccoli sovrastava quello della pioggia.

Da che parte vado? Oh, Gesù, da che parte vado?

Non c’era via di scampo, ma poteva resistere ancora un po’. Sperava che Don capisse e che andasse a cercarla. E l’unico posto che in quel momento le venne in mente…

Con un urlo di terrore alla vista dell’animale che la stava caricando, e di disperazione per dover lasciare Jeff, lasciò che il vento la sospingesse attraverso la corsia del viale e oltrepassò il muro. Entrò nel parco dove metà delle luci erano state spente. Doveva correre verso il laghetto, dove l’acqua stava sbattendo rumorosamente sulle rive.

Correva.

Asciugandosi l’acqua dal viso, ignorando le pozzanghere che stavano diventando dei laghi, Don correva verso il centro della città. Forse Jeff l’aveva riaccompagnata a casa, ma non poteva esserne sicuro. Ormai Tracey doveva essersi accorta che la stava inseguendo e sicuramente non avrebbe mai permesso che la sua famiglia rimanesse colpita. E non c’erano altri posti dove poteva essere sicura che lui l’avrebbe seguita — doveva essere nel parco, in attesa, se era ancora viva. Fece una smorfia e si batté un pugno sullo stomaco. Non doveva pensare in quel modo, altrimenti era finita; doveva mantenere la certezza che fosse viva e che fosse riuscita a evitare lo stallone. Forse proprio tra gli alberi, dove l’animale non poteva aggirarsi con tanta facilità; forse oltre il muro, che avrebbe potuto ripararla. Ma lei era ancora viva. Doveva essere viva. Che senso avrebbe avuto farla assalire dalla sua creatura?

A casa, pensò, c’era suo padre e suo padre aveva una pistola. Tracey forse aveva pensato che con un’arma avrebbe potuto difendersi e, chissà, forse era andata a prenderne una nel ripostiglio di suo padre.

Oh, Cristo, pensò; prendi una decisione.

Basta, urlò poi, senza però muovere le labbra; basta, fermati, lei è Tracey e non intendevo farle del male!

Se il cavallo poteva sentire il suo dolore, sicuramente aveva sentito anche la sua preghiera; se era sotto il suo controllo, non poteva non obbedire. A meno che non avesse deciso di proteggerlo in ogni caso, seguendo le Regole nuove.

Oh, Cristo, pensò; prendi una maledettissima decisione.

Non stava correndo abbastanza velocemente. Non ce l’avrebbe mai fatta a raggiungere la macchina di Jeff, o il cavallo. Doveva scattare, doveva farcela, doveva sconfiggere il vento, qualsiasi decisione decidesse di prendere.

Stava andando troppo veloce e sarebbe scivolato, si sarebbe rotto una gamba, se non avesse prestato più attenzione; gli sarebbe mancato il fiato e sarebbe arrivato troppo tardi, se non manteneva il suo ritmo di sempre.

È una corsa, pensò; è una gara di corsa; eccoli là, stanno guardando fuori dal finestrino, stanno salutandomi, stanno sventolando le bandiere e suonano il claxon, mentre io corro con il vento, e non contro di lui, mi tuffo nelle pozzanghere con le scarpe da tennis, muovo le braccia contro la pioggia per mantenere il ritmo.

Stavano salutandolo perché lui era Don Boyd e ce l’avrebbe fatta.

Cadde a terra.

Atterrò sulle mani e sulle ginocchia, i jeans si stracciarono e cominciò a sanguinare. Gemette, imprecò e si rimise in piedi.

Correva.

In silenzio.

I finestrini erano vuoti, non lo stava guardando nessuno, non c’erano bandiere e urla d’incitamento, niente fotografi che lo aspettavano lungo la strada per riprenderlo durante la corsa; si domandò dove fossero finiti tutti ed evitò uno striscione della Festa di Ashford che era caduto in strada, salutando la sua agonia, proprio sul punto dove l’indomani ci sarebbe stata la parata.

Correva.

In silenzio.

Fu tentato di svoltare verso il quartiere dei Quintero, nel caso si fosse sbagliato, e scoppiò a piangere quando si rese conto che non aveva più tempo di fare una scelta. Il parco o la casa di Tracey, e se avesse commesso un errore qualcuno sarebbe morto.

Tracey si precipitò verso il laghetto evitando di guardarsi alle spalle per vedere se aveva perso terreno. L’ovale d’acqua apparve per un istante e poi scomparve di nuovo. La pioggia era color argento. Tentò di correre attorno al lago, ma il cemento ricoperto di foglie si era fatto troppo scivoloso e cadde su una spalla. Urlò. Si contorse. E salutò quasi con sollievo la massa scura che si era fermata su di lei. Almeno avrebbe offuscato quel dolore; almeno non si sarebbe nemmeno accorta di morire.

Ma la massa si sollevò e la pioggia cominciò a battere su di lei. Allungò una mano e guardò verso il sentiero.

Era là.

All’entrata, indifferente al temporale, con la testa e i fianchi che luccicavano come se fossero stati ricoperti di ghiaccio.

Ansimando contro il vento che le rubava il respiro, si rimise in piedi, lasciando che il vento la spingesse indietro. Gli alberi la stavano aspettando, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dallo stallone che aveva cominciato a muoversi, sollevando lentamente le zampe, con la testa reclinata verso terra, mentre fiammate verdi si levavano dagli zoccoli.

Il parco.

Doveva essere nel parco, non sapeva perché. Passò davanti a Beacher, superò il teatro, e vide la macchina di Lichter contro un albero.

Rallentò, avvicinandosi al luogo dell’incidente, e scorse Jeff sul sedile anteriore, ma di Tracey non c’era traccia. Chiese perdono all’amico, toccando il finestrino come se stesse toccando la sua mano, poi svoltò di scatto attraversando la corsia e precipitandosi verso i cancelli.

Il laghetto era proprio di fronte a lui e cercò di chiamarla, ma non c’era rimasto niente nei polmoni, soltanto l’aria che carburava le sue gambe, le sue braccia, che aveva seccato la gola, e allora aprì la bocca alla ricerca di un altro respiro che gli avrebbe permesso di andare avanti.

Là non c’era nessuno.

Inciampò e rallentò quando si accorse che il tappeto di foglie avrebbe potuto farlo cadere, aprendo le braccia per ritrovare l’equilibrio.

Poi si fermò.

Si guardò alle spalle.

Urlò il nome di Tracey tenendo le mani a coppa attorno alla bocca, sbattendo gli occhi per liberarli dalla pioggia che cadeva dai rami e che gli bagnava la schiena, il petto, le scarpe da tennis, paralizzandolo dal freddo.

Poi cominciò a muoversi verso il prato, girandosi di tanto in tanto, nel caso l’avesse mancata. Urlava. La chiamava. Stava girando quando vide un guizzo di luce e la scorse distesa sul prato … vide lo stallone al suo fianco, che mostrava i denti e strusciava gli zoccoli sull’erba.

«No!» urlò. Tracey si voltò e lo vide.

«No!» urlò e lo stallone girò la testa dalla sua parte. Don inciampò e cominciò ad attraversare il prato fangoso, scuotendo la testa e allungando una mano verso la ragazza, senza però distogliere lo sguardo dal cavallo che stava retrocedendo.

fuoco verde e occhi verdi e la nebbia che si sollevava verso il temporale, mentre si avvicinava.

Tracey si rimise in piedi e cadde su di lui, ma Don la spinse da parte, perché lo stallone stava allungando il muso.

«No», disse, puntando un palmo in segno di arresto.

Il muso era sempre più in alto e le zampe posteriori erano leggermente piegate.

«No!» urlò, tendendo tutte e due le mani mentre il cavallo si sollevava da terra, con le zampe davanti che emanavano fiammate verdi attraverso la pioggia.

«No!» urlò. «No! Vattene via!»

Gli occhi verdi erano talmente socchiusi che quasi non si vedevano attraverso la nebbia.

«Non ho bisogno di te!» urlò Don, mentre lo stallone si faceva sempre più alto. «Non ho bisogno di te, maledizione! Lasciami, lasciami solo!»

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