Carlos Zafón - Le luci di settembre

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Le luci di settembre: краткое содержание, описание и аннотация

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Durante l'estate del 1937 Simone Sauvelle, rimasta all'improvviso vedova, abbandona Parigi assieme ai figli, Irene e Dorian, e si trasferisce in un piccolo paese sulla costa per sfuggire agli ingenti debiti accumulati dal marito. Trova lavoro come governante per il facoltoso fabbricante di giocattoli Lazarus Jann in una gigantesca magione chiamata Cravenmoore, dove l'uomo vive con la moglie malata. Tutto sembra andare per il meglio. Lazarus si dimostra un uomo gradevole, tratta con riguardo Simone e i figli, a cui mostra gli strani esseri meccanici che ha creato - e che sembrano avere vita propria - mentre Irene si innamora di Ismael, il cugino di Hannah, la cuoca della casa. Ma eventi macabri e strane apparizioni sconvolgono l'armonia di Cravenmoore: Hannah, viene trovata morta e una misteriosa ombra si impossessa della tenuta. Spetterà a Irene e Ismael lottare contro un nemico invisibile per salvare Simone e svelare l'oscuro segreto che avvolge la fabbrica dei giocattoli, un enigma che li unirà per sempre e li trascinerà nella più emozionante delle avventure in un mondo labirintico di luci e ombre.

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Ismael annuì lentamente. Era ovvio che aveva pensato la stessa cosa molto prima di lei.

«O la notte precedente» suggerì Ismael.

Irene lo guardò stranita.

«Quella notte Hannah era a Cravenmoore. Il giorno dopo di lei non c'era più traccia. Almeno fino a quando non l'hanno trovata morta nel bosco» disse il ragazzo.

«Cosa vuoi dire?»

«Sono stato nel bosco. Ci sono impronte. Rami spezzati. C'è stata una lotta. Qualcuno ha seguito Hannah dalla casa.»

«Da Cravenmoore?»

Ismael annuì di nuovo.

«Dobbiamo sapere cosa è successo il giorno prima della sua scomparsa. Magari questo può spiegare chi o cosa l'ha inseguita nel bosco.»

«E come possiamo farlo? Voglio dire che la polizia. .» disse Irene.

«Mi viene in mente un solo modo.»

«Cravenmoore» mormorò lei.

«Esattamente. Stanotte. .»

Il tramonto apriva squarci ramati nel manto di nubi temporalesche in transito dall'orizzonte. Via via che le ombre si estendevano sulla baia, la notte lasciava scorgere uno spazio libero nella volta del cielo, attraverso il quale si poteva ammirare il cerchio di luce quasi perfetto che circondava la luna crescente.

La sua luce argentea disegnava un arazzo di riflessi nella stanza di Irene. La ragazza sollevò per un attimo gli occhi dal diario di Alma Maltisse e osservò la sfera che le sorrideva dal firmamento. Ancora ventiquattro ore e la circonferenza sarebbe stata completa. La terza luna piena dell'estate. La notte delle maschere a Baia Azzurra.

In quel momento, però, il contorno della luna acquistò per lei un altro significato. Entro pochi minuti sarebbe andata all'appuntamento segreto con Ismael, al limitare del bosco. L'idea di attraversare l'oscurità e inoltrarsi nelle insondabili profondità di Cravenmoore adesso le sembrava un'imprudenza. O

meglio, un'idiozia. D'altra parte, in quel momento si sentiva incapace di deludere il ragazzo, com'era già accaduto nel pomeriggio, quando Ismael le aveva annunciato l'intenzione di recarsi nella villa di Lazarus Jann in cerca di risposte sulla morte di Hannah. Non potendo chiarire i propri pensieri, la ragazza riprese il diario di Alma Maltisse e si rifugiò nelle sue pagine.

. .Da tre giorni non so niente di lui. È partito improvvisamente a mezzanotte, convinto che, se si al ontanava da me, l'ombra avrebbe seguito lui. Non ha voluto dirmi dov'era diretto, ma sospetto che abbia trovato rifugio sul 'isolotto del faro. È sempre andato in quel luogo solitario in cerca di pace, e ho l'impressione che questa volta sia tornato lì, come un bambino terrorizzato, ad affrontare il suo incubo. Tuttavia, la sua assenza mi ha fatto dubitare di quanto avevo creduto finora. In questi tre giorni l'ombra non è tornata. Sono rimasta chiusa nella mia stanza, circondata da luci, candele e lampade a olio. Neppure un angolo della camera è rimasto buio. Non sono quasi riuscita a dormire.

Mentre scrivo queste righe, in piena notte, dal a mia finestra posso vedere l'isolotto del faro tra la nebbia. Una luce bril a tra le rocce. So che è lui, solo, confinato nella prigione al a quale si è condannato. Non posso rimanere qui nemmeno un'ora di più. Se dobbiamo affrontare questo incubo, voglio che sia insieme. E se dobbiamo morire nel tentativo, al o stesso modo facciamolo uniti.

Ormai non m'importa vivere un giorno in più o in meno di questa fol ia. Sono certa che l'ombra non ci darà tregua.

Non posso sopportare un'altra settimana come questa. Ho la coscienza pulita e la mia anima è in pace con se stessa. La paura dei primi giorni è ora solo fatica e disperazione.

Domani, mentre la gente del paese festeggerà con il bal o in maschera nella piazza principale, prenderò una barca nel porto e andrò a cercarlo. Non mi interessano le conseguenze. Sono pronta ad accettarle. Mi basta stare accanto a lui ed essergli d'aiuto fino al a fine.

Qualcosa dentro mi dice che magari per noi resta ancora una possibilità di tornare a vivere una vita normale, felice, in pace. Non aspiro a nient'altro. .

L'impatto di un sassolino sulla finestra la distolse dalla lettura. Irene chiuse il diario e diede un'occhiata fuori. Ismael aspettava sulla soglia del bosco.

Lentamente, mentre si metteva un pesante giaccone di lana, la luna si nascose tra le nuvole.

Irene osservò con attenzione la madre dalla cima delle scale. Ancora una volta, Simone si era arresa al sonno nella sua poltrona preferita, davanti al finestrone da cui si vedeva la baia. Aveva un libro in grembo e gli occhiali da lettura ancora calati sul naso, come una slitta sul trampolino. In un angolo, una radio in legno, intagliata con capricciosi motivi art nouveau, sussurrava i tenebrosi accordi di uno sceneggiato poliziesco. Approfittando della situazione,

Irene passò in punta di piedi davanti alla madre e s'infilò nella cucina che dava sul cortile posteriore della Casa del Capo. Tutta l'operazione avvenne in non più di quindici secondi.

Ismael l'aspettava fuori, indossando un sobrio giubbotto di pelle, pantaloni da lavoro e un paio di stivali che parevano aver viaggiato avanti e indietro da Costantinopoli una mezza dozzina di volte. La brezza notturna trascinava fin lì dalla baia una fredda nebbiolina, stendendo sul bosco una ghirlanda di tenebre danzanti.

Irene si abbottonò la giacca fino al collo e annuì in silenzio allo sguardo attento del ragazzo. Senza dire una parola, si inoltrarono sul sentiero che attraversava la vegetazione. Una galleria di suoni invisibili popolava le ombre del bosco. Il fruscio delle foglie agitate dal vento copriva il rumore del mare che si infrangeva sugli scogli. Irene seguì i passi di Ismael. Il volto della luna si lasciava intravedere fugacemente nella trama di nubi che cavalcavano sulla baia, immergendo la foresta in una spettrale penombra tremolante. A metà tragitto, Irene prese la mano di Ismael e non la lasciò fino a quando la sagoma di Cravenmoore non si stagliò davanti a loro.

A un segnale del ragazzo, si fermarono dietro un tronco ferito a morte da un fulmine. Per pochi secondi la luna squarciò la cortina vellutata delle nuvole e un alone di chiarore illuminò la facciata di Cravenmoore, scolpendone i rilievi e i contorni e tracciando l'ipnotico ritratto di una cattedrale persa nelle profondità di un bosco maledetto. L'effimera visione si sciolse in una pozza di oscurità e un rettangolo di luce dorata si formò ai piedi della villa. La sagoma di Lazarus Jarm si disegnò sulla soglia dell'ingresso principale. L'inventore di giocattoli si chiuse la porta alle spalle e scese lentamente i gradini, diretto al sentiero che costeggiava gli alberi.

«È Lazarus. Tutte le notti fa una passeggiata nel bosco» mormorò Irene.

Ismael annuì in silenzio e trattenne la ragazza, gli occhi fissi sull'inventore di giocattoli che s'incamminava verso il limitare del bosco, nella loro direzione. Irene rivolse a Ismael uno sguardo interrogativo. Lui si lasciò sfuggire un sospiro e si guardò nervosamente intorno.

Sentirono i passi di Lazarus. Ismael prese Irene per un braccio e la spinse dentro il tronco morto dell'albero.

«Da questa parte. Presto» sussurrò.

L'interno dell'albero era impregnato di un forte odore di umidità e marciume. Il chiarore esterno filtrava attraverso piccoli orifizi lungo il legno e disegnava un'improbabile scala formata da gradini di luce che salivano nel tronco cavernoso. Irene sentì un formicolio allo stomaco. Due metri sopra di loro notò una fila di piccoli punti luminosi. Occhi. Un grido fu sul punto di sfuggirle dalla gola. La mano di Ismael lo anticipò. L'urlo le si strozzò in gola, mentre il ragazzo continuava a tenerla ferma.

«Sono solo pipistrelli, per l'amor di Dio. Stai calma» mormorò, mentre Lazarus passava intorno al tronco, in direzione del bosco.

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