— Non si preoccupi — disse Underhill, sul lato cieco di Rachner. — Di quelli se ne sono già occupati gli alieni nostri amici. Quelle testate nucleari sono soltanto carcasse, relitti radioattivi. Non molto divertenti se gliene cade uno sulla testa, ma ormai non rappresentano più una minaccia.
Rachner si girò a guardare ancora il cielo. Gli alieni nostri amici. — Questi mostri cosa sono in realtà, professor Underhill? Possiamo fidarci di loro?
— Uh, fidarci di loro? Che domanda, da parte di un funzionario del Servizio Informazioni. Mia moglie, il generale, non si è mai fidata di loro. Io studio questi alieni, questi umani, da quasi vent’anni, colonnello. Loro viaggiano fra le stelle da migliaia di anni. Hanno visto e fatto molte cose… ma mi creda, la loro immaginazione è chiusa in una gabbia che non possono vedere.
Le scie luminose erano passate via verso nord; alcune s’erano già spente. Due scesero in picchiata verso un punto lontano, probabilmente una base missilistica di Alta Equatoria. Rachner trattenne il respiro e attese.
Dietro di lui Underhill disse qualcosa come: — Ah, cara Victreia. — E poi tacque.
Rachner teneva lo sguardo sull’orizzonte, pronto a distoglierlo per non restare accecato. Trascorsero dieci secondi, poi trenta. Tutto restava silenzio e buio. — Lei ha ragione, signore. Quei missili non erano altro che rottami. Mi chiedo come… — Si voltò di scatto, accorgendosi all’improvviso di quanto fosse fredda la cabina dell’elicottero.
Sherkaner Underhill non c’era più.
Rachner aprì lo sportello e guardò fuori. — Signore!
Professor Underhill! Fece per scendere, ma si fermò. L’aria era così fredda che gli congelava le mani. A un tratto li vide, due ombre in movimento fra i macigni a una cinquantina di metri da lì. Underhill zoppicava alle spalle di Mobiy. L’insetto-guida se lo tirava dietro per il guinzaglio e tastava ansiosamente le rocce con le mani, nel comportamento istintivo di un animale che cerca una profondità di qualche genere dove ricoverarsi durante la Tenebra. Fra quei massi incrostati di ghiaccio non aveva speranza di trovarne una. Entro meno di un’ora lui e il suo padrone sarebbero stati morti, rigidi come pezzi di granito.
All’improvviso il pilota automatico decise che la pausa gli era bastata, e le pale cominciarono a girare. Rachner tornò dentro, chiuse il portello e cercò di rimettere i comandi sul pilotaggio manuale, ma non aveva più forza nelle braccia. Poté soltanto lasciarsi cadere su una poltroncina, paralizzato dal freddo.
La turbina ritrovò la piena efficienza e l’elicottero si alzò dal suolo. Rachner vide un’ultima volta Sherkaner Underhill e il suo Mobiy che si allontanavano in quella desolazione. Poi il velivolo prese quota e le loro ombre scomparvero nel buio.
La decompressione esplosiva in un ambiente piccolo era solitamente fatale. Fu una delle guardie a salvare Tomas Nau, senza volerlo. Proprio mentre appariva la falla, Tung si stava slacciando la cintura e il risucchio lo attirò da quella parte. Lo stesso stava accadendo agli altri, ma Tung era il più vicino. Lo sventurato entrò nel foro rovente a testa in avanti e ci restò incastrato.
Qiwi era riuscita a restare aggrappata al portello dell’arsenale di L1 e mentre il taxi pompava aria per sostituire quella perduta, lo aprì del tutto. Si girò, prese suo padre e lo scaraventò dentro, con un solo movimento rapido ed efficiente. Nau cominciò a reagire solo mentre lei si voltava una seconda volta; era sfinito e gli girava la testa, ma con l’aiuto della ragazza poté passare in salvo anche lui.
Ce l’ho fatta. E appena cinque secondi fa mi vedevo morto. La corrente d’aria che usciva era forte. Il collare di collegamento del taxi stava per cedere del tutto.
Qiwi mise la testa nel corridoio ma non fluttuò dentro. — Devo prendere Marli e Ciret.
–Ti aiuto io! — Nau imprecò contro quell’impulso generoso, ma s’era accorto di aver perduto la pistola a raggi e tanto valeva cercarla. Rientrò a mezzo nel taxi e si guardò attorno. Tung era sicuramente morto, e meglio per lui. Marli doveva essere più di là che di qua, e Ciret sembrava svenuto. In assenza di peso la ragazza era singolarmente svelta e abile nel manovrarli come aveva fatto con suo padre. Nau decise che adesso era pericolosa, e che quella era la sua ultima opportunità di toglierla di mezzo. Non poteva permetterle di uscire dal taxi. Rinunciò a cercare la pistola; retrocesse in fretta nell’arsenale, e mentre chiudeva il portello gli dispiacque di non poter assistere agli ultimi momenti di vita della ragazza.
Addio, Qiwi. Dopo aver chiuso il portello con un solido tonfo bloccò la serratura, e dall’esterno gli giunse il rumore di metallo che cedeva. Evidentemente il taxi s’era staccato del tutto dalle flange danneggiate. Appena in tempo. Oggi è il mio giorno fortunato. La pressione nel corridoio stava tornando normale. Nau spinse davanti a sé Ali Lin, che parve rinvenire un momento e mugolò qualcosa. Almeno aveva smesso di sanguinare. Non morire fra le mie mani, Dio ti maledica. Non gli sarebbe dispiaciuto disfarsene. D’altra parte doveva riconoscere che le sue capacità lo rendevano prezioso.
Spinse Ali fino al termine del lungo corridoio. Le pareti erano in ceramica verde. Quella era stata la paratia di sicurezza della Tesoro Lontano. Il suo valore stava negli strati sovrapposti di materiale schermante, con un altissimo punto di fusione. Tutta la potenza di fuoco che Pham Nuwen poteva essersi procurato non gli avrebbe permesso di entrare lì.
Fino a pochi giorni prima nel deposito c’era quanto restava delle armi che avevano portato alla stella OnOff. Adesso, coi rifornimenti trasferiti sulla Mano Invisibile, era quasi vuoto. Non importava. Lui aveva tenuto prudentemente lì alcune testate nucleari. Se necessario avrebbe giocato il solito gioco del ricatto.
Spero di non esserci costretto. Nau non aveva idea di quali carte Nuwen avesse in mano, e per un momento quel pensiero gli diede un vuoto allo stomaco. Per tutta la vita aveva studiato gli uomini forti del passato, e adesso si ritrovava contro uno di loro. Ma quando lo avrò tolto di mezzo, sarò più forte e più famoso di lui.
C’erano decine di cose a cui pensare, e una manciata di secondi per farle. Lasciò fluttuare via Ali Lin e prese un visore da una consolle. Quando se lo fu messo davanti agli occhi e lo ebbe acceso annuì soddisfatto. Ora poteva vedere anche fuori dall’arsenale. Il provvisorio Qeng Ho era dietro l’orizzonte dell’asteroide, e in giro non si vedevano navette né figure in tuta a pressione. Il taxi era già scomparso chissà dove. Nau attraversò il vasto locale e tirò fuori dal contenitore una piccola torpedine. Gli indicatori su un lato del visore gli dissero che la sua chiamata ad Hammerfest era in linea. L’anello palpitò e nel suo auricolare ci fu la voce di Nuwen.
— Caponave Nau?
In persona, signore. — Nau spinse la torpedine nucleare nel tubo di lancio che Kal Omo aveva installato una trentina di giorni prima. Allora era parsa una precauzione eccessiva. Adesso era la sua ultima possibilità.
— Le consiglio di arrendersi subito, caponave. Io controllo tutto lo spazio intorno a L1, e non le resta altra scelta. Ne conviene?
Nella voce di Nuwen c’era una pacata certezza, ben diversa dai modi superficiali del vecchio Trinli. Nau poteva immaginare che la gente comune potesse sentirsi sconfitta da una voce del genere, ma anche lui era un professionista. Gli fu facile replicare nello stesso tono. — Al contrario, signore. L’unico potere che oggi conta è qui, in mano mia. — Accese il tubo di lancio e sentì l’aria uscire dallo sbocco esterno. — Ho un’arma nucleare tattica già programmata. Il bersaglio è il provvisorio Qeng Ho. Vogliamo collaudarla?
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