Da lì a poco, centinaia di nuovi indicatori si accesero a schermo. Ma non erano missili. Belga conosceva la simbologia abbastanza da sapere che si trattava di satelliti, anche se di un tipo mai visto. Mancavano molti dati e altri erano incomprensibili. Sull’angolo destro della mappa strategica era entrato un oggetto rettangolare che si muoveva lento. Il generale Dugvai sibilò: — Questo non può essere un velivolo reale. Se fosse vero sarebbe lungo trecento metri e più.
— Sì, signore — disse il tenente Laigtil. — Il programma di questa mappa non può simularne le dimensioni reali, infatti. Il velivolo è lungo circa settecento metri. — Non parve notare lo sguardo vacuo di Dugvai. Per un poco contemplò l’apparizione. — E credo che abbia già esaurito lo scopo della sua esistenza.
Ritser Brughel era compiaciuto di se stesso. — Abbiamo avuto un grosso risultato anche senza le testerapide della Reynolt — disse, fluttuando via dalla sua poltroncina di capitano per avvicinarsi ai direttore di pilotaggio. — Forse abbiamo lanciato più ordigni nucleari di quel che sarebbe stato necessario, ma questo ha posto rimedio al vostro pessimo lavoro con le postazioni antimissile, no? — E gli lasciò andare una pacca sulle spalle. Jau Xin ebbe la deprimente certezza che il suo precario atto di tradimento era stato scoperto.
— Sì, signore — fu tutto ciò che riuscì a dire. Davanti alla prua la curva del pianeta pullulava di luci: le città che gli umani conoscevano come Principalia, Valprofonda, Monte Reale. Nomi un po’ troppo antropomorfi… forse i Ragni non erano le persone che Rita immaginava, forse tutto l’equivoco nasceva da traduzioni manipolate eccessivamente. Ma qualunque fosse la verità, quelle città vivevano gli ultimi secondi della loro vita.
— Signore — disse da un intercom la voce di Bil Phuong. — Ricevo di nuovo le testerapide di Anne Reynolt. Fra pochi secondi L1 ci restituirà la piena automazione dei sistemi.
— Ah. Era tempo. — Ritser Brughel annuì, accigliato.
Vrrrm. Jau sentì una vibrazione nello scafo della Mano Invisibile. Un’altra e poi un’altra. Guardò un display. — Questi sembrano i nostri laser da battaglia, signore. Stiamo sparando. Ma…
Jau si volse a un altro schermo e non vide niente. — Non contro obiettivi al suolo. I miei piloti non confermano colpi al suolo.
Vrrrm. Vrrrm. Erano passati oltre le grandi città e si stavano dirigendo verso l’artico, un’immensa distesa di terre nere e gelide. Ma in superficie dietro di loro non si vedeva niente. Poi d’un tratto: vrrrm, vrrrm, vrrrm, tre pallidi raggi che divergevano verso l’orizzonte e sparivano, il tipico lucore dei grossi laser da battaglia nell’alta atmosfera.
— Phuong! — sbottò Brughel. — Cosa diavolo c’è da colpire laggiù?
— Niente, signore. Cioè… — Alcuni rumori, mentre Phuong si spostava fra le sue testerapide. — Uh, il mio reparto sta sparando sulla lista di bersagli inviata da L1.
— Be’, quella lista è del tutto diversa dalla mia. Guarda fuori dal finestrino, uomo! — Brughel seguì il suo stesso consiglio e andò a uno degli oblò a visione diretta. Quando tornò verso Jau era rosso in faccia per la rabbia. — Signor Phuong, se quelle testerapide non sparano ai miei bersagli io sparerò a loro! — Poi fulminò Jau con lo sguardo, come se la colpa fosse anche sua. — Allora, c’è qualche problema qui?
— Io… forse niente, comunque ci stanno inquadrando dei radar.
— Mmh. — Brughel controllò il display dei segnali. — Radar di superficie. E con questo? Siamo bersagliati da onde radar fin da quando… uh. Maledizione.
Jau annuì. — L’ultimo contatto è durato quindici secondi filati. Stavolta sembra che ci stiano vedendo coi radar.
— Questo è impossibile. La rete dei Ragni è in mano nostra. — Brughel si mordicchiò un labbro. — A meno che Phuong non abbia applicato al contrario i dati di L1.
Il display dei segnali si spense, ma subito dopo si riaccese e cominciarono a scorrere le cifre. L’ultima fu rossa. — Signore, questi che ci hanno inquadrato sono i radar dei loro missili antiaerei!
Brughel trasalì come se sul display fosse apparso un serpente velenoso. — Signor Xin, alla manovra. Ci porti fuori da questa rotta. Massima potenza al propulsore, se necessario.
— Sì, signore. — Non c’erano molti missili nelle terre nordiche dei Ragni, ma anche quelli avevano testate atomiche. Uno solo sarebbe bastato a danneggiare gravemente la Mano. Jau cominciò a dare istruzioni ai piloti, e d’un tratto…
Il rombo dei motori ausiliari riempì la plancia.
— Non siamo stati noi ad accenderli, signore!
Brughel s’era girato verso di lui nel sentire il rumore. Annuì.
— Metta i suoi piloti al lavoro. Prenda il controllo. — Si spinse via e fece un gesto alle guardie al portello di prua. — Signor Phuong, mi sente?
Jau batté freneticamente codici e gridò comandi a voce. Vide sfilare a schermo alcune diagnostiche di routine, ma non ebbe risposta dai piloti. Sugli schermi di rotta l’orizzonte s’era alzato; sembrava che la nave stesse abbassando la prua.
— Il motore principale si è acceso, signore! Non posso fermarlo…
Brughel e le guardie cercarono maniglie a cui aggrapparsi, mentre l’accelerazione improvvisa spingeva Jau contro la poltroncina. Poi il propulsore tacque. Brughel stava gridando qualcosa alle guardie, e aveva perso il visore. — La situazione, signor Xin!
— Signore, stiamo scendendo. Saremo nella zona più densa dell’atmosfera fra pochi secondi.
Per un momento sul volto di Brughel ci fu un’espressione d’orrore. — Ci riporti su. Immediatamente!
— Sì, signore. — Cos’altro poteva dirgli?
Brughel vide che il portello di prua non si apriva e attraversò la plancia tenendosi al corrimano del soffitto, seguito dalle guardie. Dall’altoparlante Phuong disse: — Signore, ho una trasmissione solo audio da L1.
— La metta in linea.
Era la voce di una donna, quella di Trixia Bonsol. — A tutti gli umani a bordo della Mano Invisibile, attenzione: qui parla il tenente Victreia Laigtil, del Servizio Informazioni dell’Alleanza. Ho preso il controllo della vostra astronave. Fra poco arriverete al suolo. Potrà occorrere qualche tempo prima che le forze dell’Alleanza giungano sul posto. Non opponete resistenza a tali forze. Ripeto: non opponete resistenza.
— Cosa diavolo sta dicendo? — Brughel era rimasto a bocca aperta. — Phuong!
Non ci fu risposta. Il vice caponave raggiunse il portello di poppa e cercò di azionare la serratura. Non ottenne nulla e cominciò a colpirla, ringhiando. Fu come se prendesse a pugni una roccia. Quando si girò, Jau vide che la sua faccia era mortalmente pallida; aveva i denti scoperti come un animale feroce. Estrasse la pistola a raggi dalla fondina e si guardò attorno nella plancia come se cercasse un bersaglio. I suoi occhi si fissarono su Jau. La pistola si alzò.
— Signore, sono in contatto coi piloti. La manovra è possibile — disse Jau. Era una menzogna completa, ma senza il visore Brughel non poteva saperlo.
— Ah. — La pistola si riabbassò. — Va bene. Faccia tutto il necessario, Xin. C’è in gioco anche la sua pelle.
E soprattutto quella di Rita, se l’uomo fosse riuscito a mettersi in contatto col suo capo su L1. Jau annuì volonterosamente e mosse le mani sulla consolle, premendo pulsanti inutili e morti.
Dietro di lui la ricerca dei comandi manuali del portello era frenetica, di un’incompetenza oscena, e terminò con alcuni colpi d’arma da fuoco sparati sulla serratura. Alcuni dardi rimbalzarono per la plancia. — All’interno. Questo schifo non funziona — ringhiò Brughel. Ci fu il rumore dello scomparto delle armi che veniva aperto, ma Jau tenne la testa china e si mostrò disperatamente affaccendato. — Ecco, questo dovrebbe servire. — Una pausa, poi una serie di detonazioni violentissime.
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