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George Martin: La luce morente

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George Martin La luce morente

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La storia di un pianeta che vive la sua ultima stagione di luce prima del buio intergalattico «Un vagabondo, un viaggiatore senza meta, una scoria della creazione: il pianeta Worlorn era tutte queste cose. Per innumerevoli secoli aveva continuato a cadere, da solo, senza scopo, precipitando tra i freddi e solitari spazi che si aprono fra le stelle. Ma lui non apparteneva a nessuna di quelle stelle. In un certo senso non faceva nemmeno parte della galassia, anche se rotolava attraverso il piano della galassia come un chiodo che attraversa la tonda superficie di un tavolo. Non faceva parte di niente...» Poi Worlorn passa vicino alla Ruota di Fuoco, la supercostellazione che gli darà qualche anno di luce prima che esso piombi di nuovo nella notte senza fine cui sono destinati i mondi senza sole. E nel momento in cui il pianeta solitario si avvicina, forse per l’ultima volta, al fuoco della vita, gli uomini decidono di trasformarlo per i loro fini riposti. La luce morente è una storia di superscienza, ma anche di esseri umani posti di fronte a un ennesimo simbolo dell’esistenza precaria che conduciamo, sul Margine dell’universo. É il primo romanzo di George R.R.Martin, un grande affresco spaziale del lontano futuro, dove tutto è azione, poesia, meraviglia.

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Certe volte, su Braque, aveva pensato che l’invio della gemma mormorante significasse che lei lo voleva ancora accanto, che lei lo voleva ancora. L’unico problema che lo aveva preoccupato era se egli avesse dovuto andare , se avesse dovuto ritornare da lei, se ancora Dirk t’Larien fosse stato in grado di amare e di essere amato. Ma non si trattava di tutto ciò, adesso lui lo sapeva.

Manda questa memoria ed io verrò e non ci saranno domande. Questa era stata la promessa, l’unica promessa. Niente di più.

Si sentì irritato. Perché lei gli faceva questo? Anche lei aveva sentito i sentimenti racchiusi nel gioiello. Avrebbe dovuto capire. Quale strana voglia di Gwen poteva essere più importante di questo tenero ricordo?

Poi, finalmente, la quiete si stese ancora su Dirk t’Larien. Se teneva gli occhi stretti stretti riusciva ancora a vedere il canale su Braque e la solitaria e lunga barca che gli era allora parsa di così scarsa importanza. E si ricordò della sua decisione di riprovare, di essere quello che era stato, di venire da lei per darle tutto ciò che sarebbe stato in grado di darle, tutto ciò che le sarebbe occorso… l’avrebbe fatto per se stesso e per lei.

Si distese, con grande sforzo, allungò le braccia, aprì gli occhi e si risollevò nel vento pungente. Poi fissò deliberatamente Gwen e le dedicò il suo vecchio sorriso timido. «Ah, Jenny», le disse, «dispiace anche a me. Ma non importa. Non so, ma non importa. Sono contento di essere venuto ed anche tu dovresti essere contenta. Sette anni sono troppi, no?».

Lei lo fissò, poi riportò lo sguardo agli strumenti e si passò nervosamente la lingua sulle labbra. «Sì. Sette anni sono troppi, Dirk».

«Incontrerò Jaan?».

La donna annuì. «Ed anche Garse, il suo teyn » .

Dirk sentì da qualche parte al di sotto scorrere dell’acqua, un fiume perduto nell’oscurità. In breve tempo scomparve; si muovevano in fretta. Dirk guardò oltre il bordo dell’aerauto, al di là delle ali, nelle tenebre mobili, poi in alto. «Ci vorrebbero più stelle», disse cogitabondo. «Mi pare di essere cieco».

«Ti capisco», disse Gwen. Sorrise e quasi subito Dirk si sentì meglio di come si era sentito da parecchio tempo.

«Ti ricordi il cielo su Avalon?», disse lui.

«Sì. Naturalmente».

«C’erano un mucchio di stelle laggiù. Era un mondo affascinante».

«Anche Worlorn ha una sua bellezza», disse lei. «Tu che cosa sai di Worlorn?».

«Poco», rispose Dirk che continuava a guardarla. «So del festival e so che il pianeta è un vagabondo; non so molto altro. Una donna sulla nave mi ha detto che il posto è stato scoperto da Tomo e Warberg durante la loro escursione verso i limiti della galassia».

«Non è vero», disse Gwen. «Certo che la leggenda è affascinante. Comunque, tutto ciò che si vede qui attorno fa parte del festival. Ne fa parte tutto il pianeta. Hanno partecipato tutti i mondi del Margine ed ognuna delle culture si riflette qui in una delle città. Ci sono quattordici città che rappresentano quattordici mondi del Margine. Al centro c’è lo spazioporto e il Comune, che è una specie di parco. Ci stiamo volando sopra proprio adesso. Il Comune non è molto interessante, nemmeno di giorno. Durante il periodo del festival vi si facevano feste e giochi».

«Dove è il vostro progetto?».

«Nei boschi», disse Ruark. «Al di là delle città, oltre le montagne».

Gwen disse: «Guarda».

Dirk guardò. All’orizzonte riuscì a mala pena a distinguere una catena di montagne, una tenebrosa barriera dentellata che si alzava dal Comune coprendo le stelle più basse. Un bagliore di luce sanguigna era posto su di un monte e divenne Sempre più grande man mano che loro si avvicinavano. Si fece più lunga e più alta, anche se non diventava più brillante; il colore rimaneva di una tonalità rossocupa, quasi minacciosa, che a Dirk ricordò in qualche modo la tinta della gemma mormorante.

«Casa nostra», annunciò Gwen mentre la luce si faceva più evidente. «La città di Larteyn. In antico Kavalar lar significa cielo. Questa è la città costruita da Alto Kavalaan. La chiamano anche Fortezza di Luce».

Si capiva subito perché. Era costruita nel cuore della montagna, roccia davanti e roccia dietro alla città; la città Kavalar pareva proprio una fortezza… spessa e quadrata, con mura massicce su cui si aprivano strette feritoie. Perfino le torri che si alzavano sulle mura erano solide e pesanti. E basse: la montagna torreggiava sulle torri, con i picchi tenebrosi macchiati dalla rossa luce riflessa. Ma le luci della città non erano riflesse; le mura e le strade di Larteyn lucevano di un loro intrinseco fuoco.

«Pietraluce», gli disse Gwen come rispondendo a una sua domanda inespressa. «Assorbe luce durante il giorno e la restituisce di notte. Su Alto Kavalaan si usava soprattutto per lavori di oreficeria, ma la estrassero a tonnellate e la caricarono sulle navi per portarla a Worlorn per il festival».

«Barocco ed impressionante», disse Ruark. «Molto Kavalar ed impressionante». Dirk si limitò ad annuire.

«Avresti dovuto vederla nei vecchi giorni», disse Gwen. «Larteyn si nutriva della luce dei sette soli durante il giorno e di notte illuminava la catena di montagne. Pareva una spada di fuoco. Adesso le pietre sono scialbe… La Ruota si fa sempre più lontana di ora in ora. Tra dieci anni la città sarà buia come un tizzone esaurito».

«Non mi sembra molto grande», disse Dirk. «Quanta gente ci stava?».

«Un milione di persone, una volta. Tu vedi solo la punta dell’iceberg. La città è costruita dentro la montagna».

«Molto Kavalar», disse Ruark. «Una fortezza degli abissi, un forte fatto di pietra. Ma vuoto ormai. Venti persone, secondo l’ultimo censimento, noi compresi».

L’aerauto passò sopra le mura esterne, poste accanto al dirupo dalla parte in cui il declivio della montagna era più ampio, in modo da creare un alto abisso formato di roccia e pietraluce. Al di sotto Dirk vide ampi camminamenti, file di stendardi che si muovevano pigramente e grandi cariatidi scolpite con gli occhi di pietraluce fiammeggiante. Gli edifici erano fatti di pietra bianca e di ebano e strisce rosse delle rocce fiammeggianti si riflettevano sui loro fianchi, come ferite aperte di qualche buia bestia mostruosa. Volarono su torri, cupole e strade, viali tormentati ed ampi boulevards, cortili spalancati ed un immane teatro all’aperto con migliaia di posti.

Vuoto, tutti i posti erano vuoti. Nessuna figura umana si muoveva per le strade inzuppate di luce rossa a Larteyn.

Gwen scese giù a spirale sul tetto di una torre cupa e quadrata. Quando lei fece posare l’apparecchio rilasciando la griglia di gravità che li teneva sollevati, Dirk notò che c’erano due altre auto sull’eliparco sottostante: una era una specie di lacrima gialla, tutta lustra e l’altra era una vecchia volante militare che pareva aver fatto un secolo di guerre per di più. Era verde oliva, quadrata e rivestita con corazze, con cannoni a laser sulla parte anteriore e tubi ad impulso dietro.

Gwen fece atterrare la sua manta di metallo tra le altre due auto e tutti uscirono sulla parte superiore. Quando raggiunsero la zona degli ascensori, Gwen si voltò a guardare in faccia Dirk: aveva il viso che avvampava in maniera curiosa nella vibrante luce rossastra. «È tardi», disse, «è meglio che andiamo tutti a dormire».

Dirk non ebbe molto da dire per quel congedo. «Jaan?», disse.

«Lo vedrai domani», rispose lei. «Prima gli voglio parlare io».

«Perché?», chiese lui, ma Gwen si stava già allontanando verso le scale. Poi arrivò la cabina e Ruark gli mise una mano sulle spalle e lo spinse all’interno.

Si avviarono verso il basso, per dormire e per sognare.

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