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George Martin: La luce morente

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George Martin La luce morente

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La storia di un pianeta che vive la sua ultima stagione di luce prima del buio intergalattico «Un vagabondo, un viaggiatore senza meta, una scoria della creazione: il pianeta Worlorn era tutte queste cose. Per innumerevoli secoli aveva continuato a cadere, da solo, senza scopo, precipitando tra i freddi e solitari spazi che si aprono fra le stelle. Ma lui non apparteneva a nessuna di quelle stelle. In un certo senso non faceva nemmeno parte della galassia, anche se rotolava attraverso il piano della galassia come un chiodo che attraversa la tonda superficie di un tavolo. Non faceva parte di niente...» Poi Worlorn passa vicino alla Ruota di Fuoco, la supercostellazione che gli darà qualche anno di luce prima che esso piombi di nuovo nella notte senza fine cui sono destinati i mondi senza sole. E nel momento in cui il pianeta solitario si avvicina, forse per l’ultima volta, al fuoco della vita, gli uomini decidono di trasformarlo per i loro fini riposti. La luce morente è una storia di superscienza, ma anche di esseri umani posti di fronte a un ennesimo simbolo dell’esistenza precaria che conduciamo, sul Margine dell’universo. É il primo romanzo di George R.R.Martin, un grande affresco spaziale del lontano futuro, dove tutto è azione, poesia, meraviglia.

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«Per merito nostro», gli rispose Vikary con evidente orgoglio. «Per la verità non è merito di Alto Kavalaan, comunque è sempre merito dei cittadini dei mondi esterni. Tober ha conservato molta tecnologia sui campi di forza di quella già nota agli Imperialisti Terrestri durante il collasso ed anzi, i Toberiani hanno aggiunto delle nuove cognizioni da quell’epoca. Se non avessero alzato il loro campo, il festival non sarebbe stato possibile. Al perielio il calore della Coronadaverno e di Grasso Satana avrebbe incendiato l’intera atmosfera di Worlorn facendo ribollire gli oceani, ma lo scudo toberiano è servito ad arrestare quella furia, così abbiamo avuto una lunga e luminosa estate. Adesso, in modo analogo, lo scudo contribuisce a mantenere il calore. Comunque ha anche lui i suoi limiti come tutte le cose. Il freddo verrà».

«Non pensavo che ci saremmo incontrati in questo modo», disse Dirk. «Come mai sei venuto qui?».

«Ho tirato ad indovinare. Parecchi anni fa. Gwen mi aveva detto che ti piaceva osservare l’alba. Mi ha detto anche altre cose, Dirk t’Larien. So molto più io di te di quanto tu sappia di me».

Dirk rise. «Be’, è vero. Io non sapevo nemmeno che tu esistessi, fino all’altra sera».

Il viso di Jaan Vikary era duro e serio. «Ma io esisto. Ricordatelo, ed allora potremo essere amici. Speravo di trovarti da solo proprio per dirti questo prima che si svegliassero gli altri. Questo non è Avalon, t’Larien, ed oggi non è più ieri. Questo è un mondo da festival che muore, un mondo senza legge, per cui ognuno di noi deve avvinghiarsi ai suoi propri codici morali. Non cercare di mettere alla prova il mio. Fin dagli anni di Avalon ho sempre cercato di considerarmi semplicemente Jaan Vikary, ma sono pur sempre un kavalar. Non costringermi a diventare Jaantony Riv Lupo alto-Ferrogiada Vikary».

Dirk si alzò in piedi. «Non sono sicuro di capire ciò che dici», rispose. «Ma penso di poter essere sufficientemente amabile. Non ho niente contro di te, Jaan».

Queste parole parvero soddisfare Vikary. Annuì lentamente ed infilò una mano nella tasca dei pantaloni. «Un simbolo della mia amicizia e della mia stima», disse. Nella sua mano c’era una spilla da collare di metallo nero, una minuscola manta. «La porterai per il tempo che rimarrai qui?».

Dirk gliela prese di mano. «Se tu lo vuoi», disse, sorridendo della formalità dell’altro. Fissò la spilla al colletto.

«Qui l’alba è cupa», disse Vikary, «ed il giorno non è granché meglio. Scendi da noi. Io sveglierò gli altri, così potremo mangiare qualcosa».

L’appartamento che Gwen divideva con i due Kavalar era immenso. Il soggiorno con il soffitto alto era dominato da un focolare alto due metri e lungo due volte tanto con una cappa di lastre grige su cui si ergevano delle baluginanti cariatidi appollaiate per far la guardia alle ceneri. Vikary condusse Dirk dall’altra parte, facendogli superare uno spesso tappeto nero, in una stanza da pranzo che era quasi altrettanto grande. Dirk si sedette in una sedia di legno dallo schienale alto, una delle dodici che erano sistemate attorno al grande tavolo, mentre il suo ospite era andato a prendere il cibo ed a svegliare la compagnia.

Ritornò poco dopo, portando un piatto con della carne affettata a fette sottili ed un canestro di biscotti freddi. Mise il tutto di fronte a Dirk, poi si voltò e si allontanò di nuovo.

Se ne era appena andato che un’altra porta si aprì ed entro Gwen sorridendo ancora mezzo addormentata. Indossava una vecchia sciarpa sul capo, pantaloni stinti ed un informe giaccone verde con le maniche larghe. Dirk vide il luccichio del suo pesante braccialetto di argento e giada, attorno al. braccio destro. Un passo dietro di lei venne un altro uomo, alto quasi come Vikary ma di parecchi anni più giovane e molto più magro, vestito con una tuta intera dalle maniche corte fatta di tessuto camaleontino rosso-bruno. Fissò intensamente Dirk con i suoi occhi azzurrissimi, gli occhi più azzurri che Dirk avesse mai visto, posti in un viso affilato al di sopra di una barba completamente rossa.

Gwen si sedette. Quello con la barba rossa si piazzo davanti alla sedia in cui era seduto Dirk. «Io sono Garse Ferrogiada Janacek», disse. Gli offrì i palmi aperti. Dirk si alzò in piedi e glieli premette.

Dirk notò che Garse Ferrogiada Janacek portava una pistola laser alla cintola in un fodero di pelle posto su di una cintura d’argento a rete. Attorno all’avambraccio destro aveva un braccialetto nero, gemello con quello di Vikary… ferro e, pareva, pietraluce.

«Probabilmente sai chi sono», disse Dirk.

«Certo», rispose Janacek. Aveva un ghigno piuttosto malevolo. Entrambi si sedettero.

Gwen aveva già cominciato a masticare un biscotto. Quando Dirk si risedette, lei allungò una mano attraverso il tavolo e gli toccò la piccola spilla a forma di manta sul colletto e sorrise, come per uno scherzo segreto. «Vedo che tu e Jaan vi siete già trovati», disse lei.

«Più o meno», rispose Dirk e proprio in quel momento ritornò Vikary, con la mano destra avvolta goffamente attorno ai manici di quattro boccali di peltro, mentre con la sinistra teneva una brocca di birra scura. Depositò tutto al centro del tavolo, poi si avviò un’ultima volta verso la cucina per prendere piatti e posate, oltre ad una coppa di vetro piena di pasta dolce, gialla, che lui consigliò di spalmare sui biscotti.

Nel momento in cui si era allontanato, Janacek aveva spinto le caraffe attraverso il tavolo di fronte a Gwen. «Mesci», le disse, con un tono un po’ perentorio, poi rivolse ancora la sua attenzione a Dirk. «Mi si dice che lei è stato il primo uomo che la signora abbia mai conosciuto», disse mentre Gwen versava la birra. «Quando lei l’ha lasciata, la ragazza aveva un imponente numero di basse abitudini», disse, sorridendo freddamente. «Sarei quasi tentato di considerarmi insultato e di invitarla fuori per chiedere soddisfazione».

Dirk parve sconvolto.

Gwen aveva riempito tre delle caraffe con birra e con schiuma. Ne mise una di fronte al posto di Vikary, la seconda di fronte a Dirk e trasse un gran sorso dalla terza. Poi si passò il dorso della mano sulla bocca, sorrise a Janacek e gli diede la caraffa vuota. «Se hai deciso di spaventare il povero Dirk per via dei miei modi», lei disse, «allora io dovrei sfidare Jaan per tutti questi tremendi anni in cui ho dovuto sopportarti».

Janacek rivoltò il boccale vuoto tra le mani e guardò torvo. «Vacca- betheyn », disse con il più normale tono mondano. Poi si versò la birra da solo.

Vikary tornò un istante dopo. Si sedette, trasse un gran sorso dal suo boccale, poi cominciarono tutti a mangiare. Dirk scoprì presto che la birra a colazione gli piaceva. Anche i biscotti erano eccellenti, se spalmati con uno spesso strato di pasta dolce. La carne era un po’ asciutta.

Janacek e Vikary continuarono a fargli delle domande per tutto il tempo, mentre Gwen rimase seduta con l’aspetto un po’ stupito e non disse molto. I due Kavalar erano notevolmente diversi. Jaan Vikary parlava tutto piegato in avanti (era sempre a torso nudo ed ogni tanto sbadigliava e si grattava distrattamente) e manteneva un tono generale di gentile interessamento, sorridendo frequentemente e pareva molto più a suo agio di prima, sulla terrazza. Eppure a Dirk parve un atteggiamento studiato, come se fosse una persona tesa che cercasse di rilassarsi; anche la sua maniera di essere informale — i sorrisi, il grattarsi — pareva studiata e formale. Garse Janacek invece si sedeva in maniera più eretta di Vikary e non si grattava mai e parlava con tutte le formalità tipiche del manierismo Kavalar, però pareva più genuinamente rilassato, come se godesse delle restrizioni che la sua società gli imponeva e non avesse la minima intenzione di liberarsene. Parlava in un modo vivace ed abrasivo; sparpagliava insulti nello stesso modo in cui una mola sparpaglia scintille e la maggior parte erano diretti a Gwen. Anche lei gli rispondeva male, ma più debolmente; Janacek sapeva giocare meglio di lei. Il più delle volte pareva un casuale, simpatico dare ed avere, ma c’erano delle volte in cui a Dirk pareva di scorgere dell’ostilità autentica. Vikary era solito aggrottare la fronte ad ogni scambio.

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