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George Martin: La luce morente

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George Martin La luce morente

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La storia di un pianeta che vive la sua ultima stagione di luce prima del buio intergalattico «Un vagabondo, un viaggiatore senza meta, una scoria della creazione: il pianeta Worlorn era tutte queste cose. Per innumerevoli secoli aveva continuato a cadere, da solo, senza scopo, precipitando tra i freddi e solitari spazi che si aprono fra le stelle. Ma lui non apparteneva a nessuna di quelle stelle. In un certo senso non faceva nemmeno parte della galassia, anche se rotolava attraverso il piano della galassia come un chiodo che attraversa la tonda superficie di un tavolo. Non faceva parte di niente...» Poi Worlorn passa vicino alla Ruota di Fuoco, la supercostellazione che gli darà qualche anno di luce prima che esso piombi di nuovo nella notte senza fine cui sono destinati i mondi senza sole. E nel momento in cui il pianeta solitario si avvicina, forse per l’ultima volta, al fuoco della vita, gli uomini decidono di trasformarlo per i loro fini riposti. La luce morente è una storia di superscienza, ma anche di esseri umani posti di fronte a un ennesimo simbolo dell’esistenza precaria che conduciamo, sul Margine dell’universo. É il primo romanzo di George R.R.Martin, un grande affresco spaziale del lontano futuro, dove tutto è azione, poesia, meraviglia.

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Dirk girò attorno all’auto e si issò accanto a Gwen ma aveva il viso cadaverico. «Che cosa?».

«Si tratta delle quattro coalizioni di granlega di Kavalar», lei gli spiegò. «Devi immaginarle come delle piccole nazioni, oppure delle grandi famiglie. Sono un po’ tutte e due le cose».

«Ma perché i laser?».

«Alto Kavalaan è un pianeta violento», rispose Gwen.

Ruark fece una risatina secca. «Ah, Gwen», disse. «Questo è essenzialmente falso, essenzialmente !».

«Falso?» scattò lei.

«Sì», disse Ruark. «Sì, essenzialmente, perché ciò che dici è quasi la verità, ma una mezza verità, non tutta ed è peggio di una bugia completa».

Dirk si voltò sul suo sedile per fissare il Kimdissi paffuto e biondo. «Che?».

«Alto Kavalaan era un pianeta violento, vero. Ma ora , per la verità, i violenti sono i Kavalari. Si tratta di gente ostile, tutti quanti, spesso sono xenofobi, razzisti. Orgogliosi e gelosi. Con tutte le loro storie di granguerre ed il loro codice duellesco, sì, è proprio per quella ragione che le auto dei Kavalari hanno i laser. Per combatterci, mentre volano! La metto in guardia t’Larien…».

«Arkin!», sibilò Gwen tra i denti e Dirk sobbalzò nel sentire la malevolenza del suo tono. Improvvisamente lei trasse la griglia gravitazionale, toccò la barra e l’apparecchio scattò in avanti e lasciò il suolo con un gemito di protesta, sollevandosi velocemente. Il porto sotto di loro era tutto illuminato nel punto in cui si ergeva il Tremito dei Nemici Dimenticati tra le altre navi più piccole, ma in tutti gli altri punti era tenebroso. Tutto attorno c’erano tenebre, fino all’invisibile orizzonte, dove la terra nera si mescolava con il cielo ancor più nero. La notte era illuminata soltanto da una sottilissima polvere stellare. Questo era il Margine, da una parte lo spazio intergalattico e dall’altra la polverosa cortina del Velo Tentatore. Quel mondo pareva immerso in una solitudine peggiore di quella che Dirk aveva immaginato.

Ruark se ne era stato zitto, borbottando appena ed un silenzio pesante si era posato sull’aerauto per un lungo momento.

«Arkin viene da Kimdiss», disse alla fine Gwen e fece una risatina stentata. Dirk si ricordava dei suoi modi troppo bene per lasciarsi trarre in inganno, però; la donna non era nemmeno un po’ meno tesa di quando aveva zittito Ruark un istante prima.

«Non capisco», disse Dirk, che si sentiva assai sciocco, poiché tutti pensavano che la spiegazione avrebbe dovuto essere sufficiente.

«Lei non è un abitante dei mondi esterni», disse Ruark. «Avalon, Baldur, qualsiasi sia il suo mondo non ha importanza. Voi che abitate dall’altra parte del Velo non potete conoscere i Kavalari».

«Oppure i Kimdissi», disse Gwen, un po’ più calma.

Ruark grugnì. «Un sarcasmo», disse a Dirk. «I Kimdissi ed i Kavalari, be’, non andiamo troppo d’accordo, capisce? Per cui Gwen le sta dicendo che i miei sono tutti pregiudizi e perciò lei non mi deve credere».

«Sì, Arkin», disse la donna. «Dirk non conosce Alto Kavalaan, non comprende la cultura del suo popolo. Come tutti i Kimdissi, lui ti farà vedere solo la parte peggiore, ma è tutto assai più complesso di ciò che lui ti vuol far credere. Per cui ricordati sempre di questo quando questo chiacchierone e brigante ti racconta le sue verità. Non dovrebbe essere difficile. Ai vecchi tempi tu mi dicevi sempre che ogni problema ha per lo meno trenta diverse angolazioni».

Dirk rise. «È abbastanza suggestivo», disse, «ed anche vero. Anche se in questi ultimi anni ho cominciato a pensare che trenta è un numero un po’ basso. Comunque, continuo a non capire che cosa significhi tutto ciò. Prendiamo ad esempio l’auto… Ti serve per il tuo lavoro? Oppure devi andare su di una trappola simile solo perché lavori con l’Unione Ferrogiada?».

«Ah», disse forte Ruark. «Non si lavora per l’Unione Ferrogiada, Dirk. No, ci si appartiene, capito… ci sono solo due possibilifà. Se non si è dei Ferrogiada, non si lavora per i Ferrogiada!».

«Sì», disse Gwen e la sua voce era di nuovo tagliente. «Ed io sono dei Ferrogiada. Vorrei che tu te ne ricordassi, Arkin. Ci sono delle volte in cui cominci ad annoiarmi».

«Gwen, Gwen», disse Ruark che pareva molto agitato. «Tu sei un’amica, una cara compagna, davvero. Abbiamo affrontato grandi problemi noi due. Non ti potrei mai offendere, mai. Comunque tu non sei una Kavalar, non lo sarai mai. Per prima cosa sei troppo donna, troppo donna, non sei una semplice eyn-kethi e nemmeno una betheyn » .

«No? Dici di no? Io porto il vincolo di giada-e-argento, però». Voltò gli occhi verso Dirk ed abbassò la voce. «Per Jaan», disse lei. «In verità quest’auto è sua ed è per questo che io la uso, tanto per rispondere alla tua precedente domanda. Per Jaan».

Silenzio. L’unico rumore era quello del vento che si muoveva attorno a loro mentre essi precipitavano nelle tenebre; il vento che lanciava in alto i lunghi capelli di Gwen ed i riccioli di Dirk. Le sue folate colpivano come lame i sottili abiti di foggia Braque. Dirk si chiese perché l’aerauto non avesse una cupola a bolla, ma soltanto un piccolo parabrezza che risultava quasi inutile. Poi si strinse strettamente le braccia contro il corpo e scivolò in basso sul sedile. «Jaan?» chiese piano. Era una domanda. La risposta sarebbe arrivata e lui ne aveva paura, solo a sentire il modo in cui Gwen ne aveva detto il nome, come se fosse una sfida.

«Lui non lo sa», disse Ruark.

Gwen sospirò e Dirk vide che era tutta tesa. «Mi dispiace, Dirk. Pensavo che avresti dovuto sapere. È passato tanto tempo. Pensavo, be’, era uno di quelli che abbiamo conosciuto su Avalon. A suo tempo te ne ho parlato di sicuro».

«Non ho mai più visto nessuno», disse Dirk con circospezione. «Di quelli che abbiamo visto insieme. Sai. Io viaggio parecchio. Braque, Prometeo, Mondo di Jamison». La sua voce aveva un suono vuoto ed inutile alle sue stesse orecchie. Fece una pausa ed inghiotti. «Chi è Jaan?».

«Jaantony Riv Lupo alto-Ferrogiada Vikary», disse Ruark.

«Jaan è mio…». Lei esitò. «Non è facile da spiegare. Io sono la betheyn di Jaan, cro-betheyn con il suo teyn Garse». Alzò gli occhi, un’occhiata breve al di là degli strumenti dell’aerauto, poi guardò di nuovo avanti. Non c’era cenno di comprensione sul volto di Dirk.

«Marito», lei disse allora, alzando le spalle. «Mi dispiace Dirk. Non è proprio così, ma è il modo più semplice per esprimere il concetto con una parola sola. Jaan è mio marito».

Dirk si raggomitolò sul suo sedile con le braccia incrociate e non disse niente. Aveva freddo e stava male e si chiedeva perché mai fosse lì. Gli venne in mente la gemma mormorante e se ne chiese ancora il motivo. Lei doveva avere avuto qualche ragione per mandargliela, certamente, e prima o poi glielo avrebbe detto. A dire il vero, lui non si doveva aspettare che Gwen fosse da sola. Al porto aveva addirittura pensato, per un breve momento, che forse Ruark… e la cosa non l’aveva preoccupato.

Dato che lui era rimasto zitto per troppo tempo, Gwen gli lanciò un’altra occhiata. «Mi dispiace», ripeté. «Dirk. Davvero. Non avresti mai dovuto venire».

E lui pensò, ha ragione.

Tutti e tre proseguirono senza parlare. Si erano detti delle parole, ma non erano le parole che Dirk avrebbe voluto sentire e le parole non avevano cambiato niente. Egli era qui su Worlorn e Gwen era di nuovo accanto a lui, eppure era divenuta improvvisamente un’estranea. Tutti e due erano estranei. Lui se ne stava rannicchiato sul suo sedile, solo con i propri pensieri, mentre il vento gelato gli flagellava il viso.

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