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Lois Bujold: Il nemico dei Vor

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Lois Bujold Il nemico dei Vor

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Miles e i suoi Dendarii hanno appena portato a termine con successo una missione di salvataggio in un campo di prigionia, suscitando le ire dell’impero di Cetaganda (come raccontato in ); la flotta cerca allora rifugio sulla Terra, dove Miles dovrà barcamenarsi tra le sue due identità, quella di Tenete Lord Miles Vorkosigan di Barrayar e quella di Ammiraglio Naismith, comandante dei mercenari Dendarii. A complicare il tutto (come se ce ne fosse bisogno) ci si metterà un complotto Komarrano volto a prendere il comando di Barrayar sostituendo Miles con un clone.

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Il capitano di centuria era sul punto di perdere di nuovo conoscenza, ma resistette, respirando a fondo e chiudendo gli occhi. Doveva avere una leggera commozione, giudicò Miles.

In quel momento Elli spalancò gli occhi e lui le accarezzò i capelli. Grazie alla synergine, lei emise un rigurgito molto femminile e composto, invece della solita reazione di vomito come capitava sempre quando ci si riprendeva da una scarica di storditore. Si mise a sedere, si guardò intorno, vide Mark, i cetagandani, Ivan e chiuse la bocca di colpo, per nascondere la sua confusione.

Miles le strinse la mano: Ti spiegherò più tardi le promise con un sorriso; Sarà meglio risposero le sue sopracciglia alzate in segno di esasperazione. Poi sollevò il mento, dandosi un contegno alla presenza del nemico, pur confusa com’era.

Ivan voltò la testa e chiese a Galeni: «Dunque cosa ne facciamo di questi cetagandani, signore? Li scarichiamo da qualche parte? E da che altezza?»

«Credo che non sia il caso di scatenare un incidente interplanetario» rispose Galeni con un ghigno da lupo, copiando il tono di Miles. «Che ne dice, tenente Tabor? O preferisce che le autorità locali vengano a sapere cosa stava facendo in realtà il ghemcamerata all’interno del frangiflutti questa notte? No? Lo pensavo. Molto bene. Hanno entrambi bisogno di cure mediche, Ivan. Sfortunatamente il tenente Tabor si è rotto un braccio e credo che il suo, ehm, amico abbia una commozione. Tra le altre cose. La scelta spetta a lei, Tabor: dobbiamo lasciarvi ad un ospedale o preferite essere assistiti alla vostra ambasciata?»

«All’ambasciata» gracchiò Tabor, a cui non sfuggivano le possibili complicazioni legali. «A meno che non vogliate ritrovarvi costretti a spiegare un’accusa di tentato omicidio» minacciò a sua volta.

«Sarebbe solo un’accusa di aggressione» ribatté Galeni con gli occhi che brillavano.

Tabor sorrise a disagio, con l’aria di volersi scostare se solo ci fosse stato posto. «Comunque sia, entrambi i nostri ambasciatori non sarebbero compiaciuti.»

«Appunto.»

Si avvicinava l’alba e il traffico stava intensificandosi. Ivan girò un paio di strade, prima di trovare un parcheggio di autotaxi che non avesse una fila di clienti in attesa. Quel sobborgo era parecchio distante dal distretto delle ambasciate. Galeni fu molto sollecito: aiutò i loro passeggeri a scendere, ma non consegnò il codice delle manette al capitano di centuria, né quello dei legami che stringevano i piedi di Tabor fino a quando la vettura non si rimise in moto. «Vi farò restituire la macchina da uno dei miei uomini nel pomeriggio» gridò mentre acceleravano. Poi si riappoggiò al sedile con uno sbuffo mentre Ivan chiudeva il tettuccio e aggiunse a bassa voce: «Dopo che l’avremo perquisita ben bene.»

«Pensa che questa messinscena funzionerà?» chiese Ivan.

«A breve termine, per convincere i cetagandani che Barrayar non ha avuto nulla a che fare con la faccenda di Dagoola… forse sì, forse no» sospirò Miles. «Ma per quell’altra faccenda di sicurezza… ecco due fedeli ufficiali che potranno affermare anche sotto penta-rapido che l’ammiraglio Naismith e Lord Vorkosigan sono senza ombra di dubbio due persone distinte. E questo sarà per noi un grande guadagno.»

«Ma la penserà così anche Destang?» chiese Ivan.

«Non credo» disse Galeni in tono assorto, guardando fuori dal tettuccio, «che me ne importi un accidente di quello che penserà Destang.»

Miles la pensava esattamente nello stesso modo… però erano tutti molto stanchi. Ma erano tutti insieme. Si guardò intorno, assaporando il piacere di vedere quei visi, Elli e Ivan, Mark e Galeni, vivi, sopravvissuti a quella notte.

Quasi tutti.

«Dove vuoi che ti lasciamo, Mark?» chiese, guardando di sottecchi Galeni per vedere se aveva obiezioni, ma Galeni non ne aveva. Con l’uscita di scena dei cetagandani sembrava aver perso la carica di adrenalina che lo aveva sorretto fino a quel momento e appariva svuotato. Appariva vecchio. Miles non sollecitò una sua obiezione: Attento a quello che chiedi: potresti ottenerlo.

«Una stazione della metropolitana» rispose Mark. «Una stazione qualunque.»

«Molto bene» rispose Miles richiamando sul display la mappa della città. «Alla terza traversa, Ivan.»

Quando la macchina accostò nell’area di parcheggio, scese con Mark. «Torno tra un attimo.» E insieme si avviarono all’ingresso del tunnel di discesa. La zona era ancora tranquilla, solo poche persone erano già in giro, ma l’ora di punta si stava avvicinando.

Miles aprì la giacca e tirò fuori la carta di credito, e dall’espressione tesa che apparve sul volto di Mark, capì che questi invece si aspettava di vedere comparire un distruttore neuronico, come sarebbe stato nello stile di Ser Galen. Mark prese la nota e la osservò, sospettoso e incredulo.

«Ecco qua» disse Miles. «Se tu, con i tuoi precedenti e questo conto in banca, non sei in grado di sparire dalla faccia della Terra, non può farlo nessuno. Buona fortuna.»

«Ma… cosa vuoi da me?»

«Niente, assolutamente niente. Sei un uomo libero, finché saprai mantenerti tale. Non saremo certo noi a notificare la morte… ah… semiaccidentale di Galen.»

Mark infilò la nota di credito nella tasca dei pantaloni. «Tu volevi di più.»

«Quando non puoi ottenere quello che vuoi, prendi quello che ti viene. Come stai scoprendo anche tu» disse accennando con il capo verso la tasca di Mark, che istintivamente vi mise la mano sopra.

«Che cosa ti aspetti che faccia?» domandò Mark. «Per cosa stai cercando di incastrarmi? Hai davvero preso sul serio tutte quelle fregnacce sul Gruppo Jackson? Cosa ti aspetti da me?»

«Puoi prendere quei soldi e ritirarti nelle cupole di piacere di Marte, fino a quando durano. O puoi usarli per farti un’istruzione, o due o tre. O gettarlo nel primo inceneritore di rifiuti che incontri. Io non sono il tuo proprietario, non sono il tuo mentore, non sono i tuoi genitori. Io non mi aspetto nulla. Non desidero nulla.» Ribellati a questo… se riesci a trovare un modo… fratellino. Miles tese le mani a palmi in avanti e fece un passo indietro.

Mark saltò nel tunnel di discesa, senza voltargli le spalle. «PERCHÉ NO?» urlò all’improvviso, perplesso e furioso.

Miles gettò indietro la testa e rise. «Scoprilo da te!» gridò.

Il campo di discesa del tunnel afferrò Mark, che svanì, ingoiato dalla terra.

Miles tornò dagli amici che lo stavano aspettando.

«Credi che sia stata una cosa furba?» chiese Elli preoccupata, interrompendo il rapido resoconto di Ivan. «Lasciarlo andare in quel modo?»

«Non lo so» sospirò Miles. «Se non puoi aiutare, almeno non intralciare. Io non posso aiutarlo, Galen lo ha reso troppo poco stabile. Io sono la sua ossessione e temo che lo sarò sempre. Io so tutto delle ossessioni. La cosa migliore che posso fare è non restargli tra i piedi. Col tempo forse si calmerà, non essendo costretto a reagire alla mia presenza. Col tempo potrà… salvarsi.»

Lo sfinimento lo sommerse. Il corpo di Elli accanto al suo era caldo, e lui era contento, contento di averla lì. La presenza della ragazza gli rammentò un’altra cosa: accese il comunicatore e congedò Nim e la sua pattuglia, ordinando loro di tornare allo spazioporto.

«Bene» disse Ivan dopo un intero minuto di silenzio, «dove andiamo adesso? Voi due volete che vi porti allo spazioporto?»

«Sì» sospirò Miles, «per fuggire dal pianeta… la diserzione è poco pratica, temo, perché tanto, presto o tardi, Destang mi ritroverebbe. Tanto vale che torniamo all’ambasciata a fare rapporto. Un rapporto vero. Non c’è rimasto più nulla per cui mentire, no?» Chiuse gli occhi, cercando di pensare.

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