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Lois Bujold: Il nemico dei Vor

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Lois Bujold Il nemico dei Vor

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Miles e i suoi Dendarii hanno appena portato a termine con successo una missione di salvataggio in un campo di prigionia, suscitando le ire dell’impero di Cetaganda (come raccontato in ); la flotta cerca allora rifugio sulla Terra, dove Miles dovrà barcamenarsi tra le sue due identità, quella di Tenete Lord Miles Vorkosigan di Barrayar e quella di Ammiraglio Naismith, comandante dei mercenari Dendarii. A complicare il tutto (come se ce ne fosse bisogno) ci si metterà un complotto Komarrano volto a prendere il comando di Barrayar sostituendo Miles con un clone.

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«Buona tattica, pessima strategia. Non farebbero altro che ricostruire. Ti serve più di un livello di attacco. Se riuscissi a trovare un sistema per rendere improduttivo quel commercio, morirebbe da solo.»

«E come?» chiese Mark?

«Vediamo… La base dei clienti: gente ricca, priva di etica, che non si può certo pensare di persuadere a scegliere la morte al posto della vita. Forse qualche scoperta medica che offrisse una forma diversa di estensione della vita potrebbe distoglierli dall’idea del clone.»

«Anche ucciderli li distoglierebbe» ringhiò Mark.

«Vera, ma poco pratico considerando il numero. La gente di quella classe ha la tendenza ad avere guardie del corpo. Prima o poi uno ti prenderebbe e addio sabotaggio. Guarda, possono esserci diversi punti di attacco, non voler a tutti i costi restare aggrappato al primo che ti viene in mente. Ad esempio, supponiamo che tu torni con me su Barrayar. Come Lord Mark Vorkosigan puoi aspettarti, col tempo, di mettere insieme un discreto potere sia personale che finanziario. Completa la tua istruzione… e applicati seriamente al problema, progettando una strategia, senza buttarti a capofitto giù dal primo muro, sfracellandoti.»

«Non andrò mai su Barrayar» ripeté Mark a denti stretti.

Già, e a quanto sembra tutte le donne di una certa intelligenza della galassia sono completamente d’accordo con te… forse sei più furbo di quanto credi. Miles sospirò. Quinn, dove sei?

Nel corridoio la polizia aveva finito di caricare l’ultimo corpo svenuto su una barella galleggiante. Tra non molto bisognava darsi da fare.

Miles si rese conto che Ivan lo stava fissando. «Ti ha dato completamente di volta il cervello» affermò convinto.

«Perché? Non credi che sia ora che qualcuno dia una bella lezione a quei Bastardi del Gruppo Jackson?»

«Certo, ma…»

«Io non posso essere dappertutto, ma potrei sostenere il progetto…» disse Miles lanciando un’occhiata a Mark. «… se hai finito di voler essere me, però. Hai finito?»

Mark osservò l’ultimo dei morti che veniva portato via. «Puoi tenerti la tua identità. Mi sorprende che tu non cerchi di scambiare identità con me. » E come colto da un nuovo e improvviso sospetto, girò di scatto la testa per fissare Miles.

Miles rise, ma fu un riso amaro. Che tentazione! Togliersi l’uniforme, entrare nella metropolitana e scomparire con una nota di credito di mezzo milione di marchi in tasca. Essere un uomo libero… Il suo sguardo si posò sulla sudicia uniforme imperiale verde di Ivan, simbolo del loro servizio. Tu sei quello che fai… scegli ancora…

No, ancora una volta, il figlio più brutto di Barrayar avrebbe scelto di essere il suo campione. Non poteva strisciare in un buco e scegliere di non essere nessuno.

E parlando di buchi, era arrivato il momento di strisciare fuori da quello in cui si trovavano. L’ultimo componente della polizia stava oltrepassando a passo di marcia la curva del corridoio, accompagnando la barella galleggiante e tra non molto sarebbero comparsi i tecnici della diga. Meglio sbrigarsi.

«È ora di andare» disse Miles, spegnendo il rilevatore e riprendendo la torcia elettrica.

Con un grugnito di sollievo, Ivan si allungò per aprire il portello, poi sollevò Miles per farlo uscire e una volta fuori, Miles gli lanciò la sua corda. Mark vide il volto di Miles incorniciato nel portello e un’espressione di panico si dipinse sul suo volto quando si rese conto del perché doveva essere l’ultimo. Poi Miles gli lanciò la corda e la sua espressione tornò impenetrabile. Miles scollegò il grand’angolare dal pannello, lo rimise nella valigetta e accese il comunicatore da polso. «Nim, rapporto sulla situazione» sussurrò.

«Entrambe le aeromobili sono di nuovo in volo, signore, a circa un chilometro nell’entroterra. La polizia ha transennato l’area in cui si trova lei e il posto brulica di poliziotti.»

«Va bene. Ancora niente da Quinn?»

«Nessuna novità.»

«Mi dia le sue esatte coordinate riferite all’interno di questa torre.»

Nim eseguì.

«Molto bene. Mi trovo all’interno del frangiflutti, vicino alla torre Sei con il tenente Vorpatril e il mio clone. Cercheremo di uscire dalla Torre Sette, fermandoci per prendere Quinn. O almeno» si interruppe, cercando di deglutire (chissà perché quella stupida della sua gola si era improvvisamente chiusa!), «di sapere che ne è stato di lei. Mantenete la posizione attuale. Naismith chiude.»

Si tolsero gli stivali e si avviarono in punta di piedi lungo il corridoio in direzione sud, tenendosi rasenti alla parete. Si udivano delle voci, ma provenivano dalle loro spalle. La biforcazione del corridoio ora era illuminata; mentre si avvicinavano, Miles sollevò una mano per farli fermare e schiacciandosi contro la parete, sbirciò oltre l’angolo. Un uomo con la tuta da tecnico dell’autorità portuale e un poliziotto stavano esaminando il portello, voltando loro le spalle. Miles fece cenno a Mark e a Ivan di avanzare e tutti e tre oltrepassarono senza fare rumore l’ingresso della galleria.

Nell’atrio alla base del pozzo di salita della Torre Sette c’era di guardia un agente di polizia. Miles, con gli stivali in una mano e lo storditore nell’altra, digrignò i denti frustrato: ecco dove andava a finire la sua ottimistica speranza di uscire senza lasciare tracce.

Ma non poteva fare diversamente. Forse quello che perdevano in finezza lo avrebbero guadagnato in velocità e poi, quell’uomo si trovava tra lui e Quinn e quindi se lo meritava. Prese la mira e fece fuoco con lo storditore: il poliziotto crollò a terra.

Salirono lungo il pozzo. Qui , indicò Miles con un gesto della mano. Il corridoio era illuminato a giorno, ma non si udivano mormorii che indicassero la presenza di persone. Contò la distanza che Nim gli aveva dato e si fermò davanti ad una porta chiusa su cui era scritto Servizio. Aveva lo stomaco in subbuglio. E se i cetagandani avessero deciso di darle una morte lenta… se i minuti che Miles aveva trascorso nascosto con tanta tranquillità, fossero stati determinanti per la salvezza di Elli…

La porta era chiusa a chiave e i controlli erano stati manomessi. Miles strappò il pannello, lo mandò in corto e aprì la porta manualmente, rischiando di spezzarsi qualche dito.

Elli era accasciata a terra, immobile e pallida. Miles si lasciò cadere in ginocchia accanto a lei e cercò il polso… il polso… eccolo! La pelle era calda e il petto si alzava e si abbassava regolarmente: era stordita, solo stordita. Sollevò lo sguardo e attraverso gli occhi velati di lacrime vide il volto di Ivan che si chinava ansioso su di loro. Cercò di calmare il respiro e riprese il controllo di sé: in fondo, non avrebbe potuto essere altrimenti, era la possibilità più logica.

CAPITOLO SEDICESIMO

Si fermarono all’ingresso laterale della Torre Sette per rimettersi gli stivali. Tra loro e la città si stendeva la striscia di parco, con i sentieri illuminati e le chiazze di prato scure e misteriose. Miles calcolò il tempo occorrente per raggiungere i cespugli più vicini e individuò la posizione delle macchine della polizia disseminate nelle aree di parcheggio.

«Immagino che tu non abbia portato la tua fiaschetta» sussurrò a Ivan.

«Se l’avessi avuta, l’avrei vuotata ore fa. Perché?»

«Mi stavo chiedendo come avremmo potuto spiegare la presenza di tre giovanotti che si trascinano una donna svenuta per il parco a quest’ora di notte. Se versassimo un po’ di brandy addosso a Quinn, potremmo almeno far finta di riportarla a casa da una festa o qualcosa di simile. I postumi della carica di uno storditore sono molto simili a quelli di una sbronza e potremmo farla franca anche se si svegliasse e cominciasse a farfugliare.»

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