Louis sonnecchiava. Sentì uno scampanellio negli orecchi, e si svegliò.
Era la ragazza che scendeva le scale. Aveva i campanelli sui mocassini, e si era cambiata d’abito; portava una veste accollatissima e lunga, con enormi tasche rigonfie. I lunghi capelli neri le ricadevano su una spalla.
La serena dignità del suo volto non era mutata. Si sedette appoggiando i piedi sul bordo della piattaforma e si mise a osservare Louis Wu. Rimase immobile, e Louis fece altrettanto. Si fissarono negli occhi.
Poi lei si mise a frugare nei tasconi e ne tirò fuori un oggetto della dimensione di un pugno, di un vivo color arancio. Lo lanciò verso di lui, mirando in modo che l’oggetto gli passasse a pochi centimetri di distanza e lui arrivasse ad afferrarlo.
Louis capì che cos’era. Il frutto andò a spiacciarsi sul tetto di una cella, mettendo a nudo una polpa rossa. Louis fu assalito da una sete furibonda.
La ragazza gliene gettò un altro. Avrebbe potuto afferrarlo, ma avrebbe anche rovesciato il volociclo. E lei lo sapeva bene.
Il terzo lancio gli sfiorò una spalla e lui strinse ancora di più i lembi del pallone. S’immerse in pensieri neri.
Poi arrivò in vista il volociclo di Nessus e lei sorrise.
Il burattinaio fluttuava dietro al relitto dell’autocarro volante. Di nuovo capovolto si lasciò trasportare di sghembo verso la piattaforma di osservazione, come se fosse sospinto da una dispersione di corrente indotta. Passando vicino a Louis gli domandò: — Sei capace di sedurla?
Louis sogghignò. Poi, quando si rese conto che il burattinaio non lo stava canzonando per niente, rispose: — Credo che mi consideri un animale. Lascia perdere.
— Allora ci vuole una tattica diversa.
Louis fregò la fronte contro il metallo freddo. Non si era mai sentito tanto miserabile. — Sei tu il capo — rispose. — Non comprerebbe me perché sono simile a lei. Ma te, può darsi di sì. Tu non sei un suo concorrente, sei troppo alien.
Il burattinaio lo aveva già superato, e pronunciò una frase nello stesso tono della lingua del prete rasato che guidava il coro: il linguaggio sacro degli Ingegneri.
La ragazza non rispose. Però… non fece un sorriso vero e proprio, ma incurvò leggermente gli angoli della bocca e dai suoi occhi sparì l’animosità.
Nessus usava il tasp, a bassa corrente.
Le rivolse di nuovo la parola e la ragazza rispose. Aveva una voce fredda e musicale, dal tono imperioso.
La voce del burattinaio imitò quella della ragazza. Ne saltò fuori una lezione di lingua.
Per Louis Wu la faccenda si prospettava noiosa da morire. Capiva qualche parola qua e là. A un certo punto lei lanciò a Nessus uno dei suoi frutti arancione, e stabilirono che si trattava di un thrumb. Nessus lo acchiappò.
Di colpo lei si alzò in piedi e se ne andò.
— Be’? — fece Louis.
— Cominciava ad annoiarsi — disse Nessus.
— Sto morendo di sete. Potrei avere il thrumb ?
— Thrumb è il colore della buccia, Louis. — Gli si accostò col volociclo e gli porse il frutto.
Ormai Louis era a un punto tale di disperazione che alzò una mano. Addentò la spessa buccia del frutto e la strappò via con i denti. Era la cosa più squisita che avesse mai assaggiato in duecento anni.
— Ritorna? — chiese dopo aver terminato di mangiare il frutto.
— Speriamo. Ho usato il tasp a bassa energia per agire sull’inconscio. L’effetto aumenterà ogni volta che mi vedrà. La facciamo innamorare di te, Louis?
— Lascia perdere. Lei crede che sia un nativo, magari un selvaggio. Ora che ci penso, lei che cos’è?
— Non posso ancora dirlo. Non abbiamo toccato l’argomento. Non conosco ancora abbastanza la lingua.
La ragazza si inginocchiò sull’orlo della piattaforma di osservazione, scrutandoli con freddezza. Lentamente, la sua espressione si addolcì. Gli occhi assunsero un’aria sognante.
Nessus si mise a parlare. La ragazza sembrò riflettere, poi pronunciò una frase: forse la risposta.
All’improvviso, il volociclo del burattinaio si sollevò, oscillando sul vuoto, e andò a battere contro lo spigolo della piattaforma. Nessus mise piede a riva, con grazia.
La ragazza si girò, imboccò le scale senza neppure voltarsi: sembrava sicura che Nessus la seguisse come un cagnolino. Il burattinaio, infatti, la seguì.
— Bravo — disse Louis sottovoce, — conquista la sua fiducia. — Ma non appena l’eco dei passi si fu dileguata, l’antro, la spirale con le celle, la volta invisibile e il buio lo angosciarono. Ebbe la sensazione di essere sepolto vivo.
Speaker era a dieci metri di distanza, in mezzo al Mare dei Sargassi di metallo. Quattro dita nere e un ciuffo di pelo arancione spuntavano tra i palloni di tela verde. Non c’era modo di avvicinarsi. Lo kzin poteva essere già morto.
In basso, fra le ossa biancheggianti, ci doveva essere almeno una dozzina di teschi. Ossa, secoli, metallo arrugginito e silenzio.
Era nel domiveglia quando poco dopo qualcosa cambiò. Cominciava a perdere l’equilibrio…
La sua vita era appesa a un filo e il disorientamento momentaneo lo riempì di panico. Si guardò disperatamente intorno, cercando di muovere solo gli occhi.
I veicoli intorno a lui erano immobili, eppure c’era qualcosa…
Una vecchia macchina urtò con gran fragore di metallo schiantato e cominciò a sollevarsi.
Cosa diavolo… ma no, non si sollevava; aveva urtato contro l’anello più alto delle celle. Era il Sargasso che stava sprofondando lentamente.
Una dopo l’altra le macchine e gli zaini-jet toccarono terra facendo un chiasso d’inferno. Il volociclo di Louis andò a sbattere contro qualcosa di duro dopo essere stato sballottato nello sconvolgimento delle forze elettromagnetiche, e si rovesciò. Louis lasciò andare la presa e se ne liberò con una capriola.
La prima cosa che fece fu quella di alzarsi. Ma non riuscì a stare diritto sui piedi. Aveva le mani inservibili, rattrappite nello sforzo. Si gettò su un fianco, ansimando, e pensò che era troppo tardi.
Il veicolo dello kzin era rovesciato su un fianco. C’era anche Speaker, ma non sotto il volociclo: i palloni lo avevano protetto. Louis lo raggiunse strisciando sul pavimento.
Era ancora vivo, e respirava, ma fuori conoscenza. Il peso del volociclo non gli aveva rotto il collo, forse perché lui un collo vero e proprio non l’aveva. Louis afferrò il laser dalla cintura dello kzin, e liberò Speaker dai palloni colpendoli col sottile raggio verde.
Louis si ricordò di colpo di avere una sete furibonda. Non gli girava più la testa e cercò di alzarsi in piedi con le gambe che gli tremavano.
Il volociclo di Nessus stava nella fila sotto a Speaker.
Louis scese per avvicinarvisi. A ogni scalino gli tremavano le caviglie. I muscoli erano ancora troppo tesi per poter assorbire gli urti.
Vide il cruscotto. Le leve e i pulsanti di guida erano talmente misteriosi che nessuno avrebbe potuto rubare il veicolo del burattinaio. Riuscì a individuare il beccuccio dell’acqua. Era calda, eppure deliziosa.
Riempì una scarpa, l’unico recipiente che gli era venuto in mente, per portare acqua a Speaker. La fece gocciolare nella bocca dello kzin che la inghiottì, sempre incosciente, e sorrise. Louis andò a prenderne dell’altra ma gli mancarono le forze prima di raggiungere il veicolo del burattinaio.
Allora si accucciò sulla plastica liscia del pavimento e chiuse gli occhi.
— Non è giusto — disse sottovoce. Si sentiva responsabile del benessere degli altri. Ormai la sua vita dipendeva solo dal modo in cui Nessus la dava a bere a quella pazza mezzo pelata che li teneva prigionieri.
Eppure…
Eccolo là, il suo volociclo, con i palloni sgonfiati che penzolavano, vicino a quello di Nessus. C’era anche il veicolo di Speaker e quell’altro col sellino da umani, senza palloni. Quattro in tutto.
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