— Ha importanza? — chiese Lindsay.
— Puoi tornare. Credimi, adesso è diverso. Il Consiglio ha bisogno di gente come te. Ti appoggerò io. Unisciti a noi, Abelard. Siamo noi la tua gente, non quei rinnegati pieni di germi.
Lindsay allungò una mano. Nora si tirò indietro, i lunghi legacci delle sue maniche sussultarono in caduta libera.
— Vedi — disse Lindsay — sono sudicio come loro. — L’osservò con molta attenzione.
Era bellissima. Il clan dei Mavrides era una linea genetica che non aveva mai incontrato prima. Spalle ampie, occhi nocciola, con una traccia di piega epicantica, più amerinda che orientale. Zigomi alti, un naso dritto e aquilino, sopracciglia nere soffici come piume, che in caduta libera formavano una massa cespugliosa di viticci arricciati. I capelli di Nora erano racchiusi in una morbida cuffia da caduta libera, un turbante di plastica verde giada trattenuto dietro da una stringa cremisi e da un bordo ben stretto color verde foresta sopra la frangetta di capelli che le contornava la fronte. La sua pelle ramata era chiara e inumanamente liscia, con una spruzzata di rosso.
Erano sei. Si somigliavano tra loro, ma non erano cloni identici. Quei sei erano una minuscola percentuale della linea genetica dei Mavrides: Kleo, Paolo, Fazil, Ian, Agnes e Nora Mavrides. Kleo era il loro capo. Aveva quarant’anni. Nora ne aveva ventotto. Gli altri avevano tutti diciassette anni.
Lindsay li aveva visti. Provava pietà per loro. Il Consiglio dell’Anello non sperperava i propri investimenti. Un genio di diciassette anni era più che sufficiente per la missione, e costava poco. Loro l’avevano guardato con i gelidi occhi color nocciola, lo sguardo disgustato e guardingo che si riservava ai parassiti. Ardevano dal desiderio di ucciderlo, con un’ingordigia temperata soltanto dalla ripugnanza.
Adesso era troppo tardi per farlo. Avrebbero dovuto ucciderlo a grande distanza, quando ancora potevano tenersi puliti. Ora era troppo vicino. La sua pelle, il suo alito, i suoi denti, perfino il suo sangue ribolliva di corruzione.
— Non abbiamo antisettici — disse Nora. — Non abbiamo mai pensato che ne avremmo avuto bisogno. Non sarà piacevole per noi, Abelard. Vesciche, foruncoli, eruzioni cutanee. Dissenteria. Non c’è niente che possa aiutarci. Anche se ve ne andaste domani, l’aria della vostra nave… ha già strisciato dappertutto. — Allargò le mani. La sua camicetta aveva dei lacci scarlatti ai polsi, con maniche a sbuffo tagliate che mostravano la pelle dei suoi avambracci. La camicetta era un indumento awolgitutto, legata in basso con corti lacci a ciascun fianco e stretta alla vita da una cintura. L’aveva cucita lei stessa, ricamando i risvolti con un lavoro a griglia rosa e bianco. Sotto, portava un paio di calzoncini corti chiusi al ginocchio, e sandali rossi con lacci.
— Mi spiace — disse Lindsay — ma è meglio che morire. I Plasmatori sono bruciati, ormai, Nora. Finiti. Non ho nessun amore per i Mech, credimi. — Per la prima volta fece un gesto col braccio destro. — Lascia che ti dica qualcosa che negherò, se lo ripeterai. I Mech non esisterebbero, se non fosse per voi. La loro Unione di Cartelli è una farsa. È tenuta insieme soltanto dalla paura e dall’odio per i riplasmati. Una volta che avranno distrutto il Consiglio dell’Anello, cosa che devono fare, i Mech stessi andranno in pezzi.
“Per favore, Nora. Cerca di vedere la cosa dal mio punto di vista, almeno per un momento, soltanto per amor di discussione. So che sei impegnata, so che sei fedele alla tua linea genetica, alla tua gente che si trova a casa. Ma la tua morte non li salverà. Sono bruciati, condannati. Adesso siamo soltanto noi e voi. Diciotto persone. Sono vissuto con questi fortuniani. Sappiamo quello che sono. Sono canaglie, pirati, predoni. Falliti. Vittime, Nora. Vivono nel varco tra ciò che è giusto e ciò che è possibile.
“Ma se verrete non vi uccideranno. È la vostra occasione. Una occasione per i sei che si trovano qui… Una volta che vi avranno messo a tacere, torneranno ai cartelli. Se vi arrendete, vi porteranno con sé. Siete tutti giovani. Mascherate il vostro passato e fra un secolo potreste essere voi a dirigere quei cartelli. Mech, Plasmatori, queste sono soltanto etichette. Il punto è che viviamo .”
— Siete strumenti — ribatté la donna. — Vittime, certo, questo lo accetto. Noi stessi siamo vittime. Ma vittime per una causa migliore della vostra. Siamo venuti qui nudi, Abelard. Siamo stati spediti fin qui a bordo d’una tinozza a senso unico, e il solo motivo per cui non siamo stati distrutti durante il volo è che il Consiglio lancia cinquanta esche per ogni vera missione. Ai cartelli, ucciderci costerebbe più di quanto valiamo.
“È per questo che hanno assunto voi. I ricchi mech, quelli al potere, vi hanno rivolto contro di noi. E noi sopravviviamo. Abbiamo costruito questa base dal nulla, con le nostre mani, il nostro cervello, la nostra intrinseca sostanza organica. Siete stati voi a venire fin qui a ucciderci.”
— Ma adesso siamo qui — ribadì Lindsay. — A ciò che è ormai passato non si può porre rimedio. Ti sto pregando di lasciarmi vivere, e tu mi rispondi con dell’ideologia. Per favore, Nora, cedi un pochino, non ucciderci tutti.
— Voglio vivere — disse la donna. — Sei tu che dovresti unirti a noi, qui. Gli altri della vostra banda non ci servirebbero a molto, ma potremmo tollerare te. Non sarai mai un vero plasmatore, ma c’è spazio per l’imprevisto sotto la nostra egida. In un modo o nell’altro, siamo in grado di aggirare qualunque mossa i cartelli possano fare contro di noi.
— Siete assediati — disse Lindsay.
— Romperemo l’assedio. Non l’hai saputo? La Concatenazione si schiererà con noi. Abbiamo già un circumlunare dalla nostra: la Repubblica Corporativa Circumlunare del Mare della Serenità.
Perfino qui era toccato dall’ombra di Constantine. — E questo lo chiami un trionfo? — chiese. — Quei piccoli mondi decadenti. Quelle reliquie in rovina.
— Noi le ricostruiremo — disse la donna con raggelante fiducia. — Noi possediamo i loro giovani.
A bordo della Red Consensus
1-1-’17
— Benvenuta a bordo, dottor Mavrides — disse il Presidente. Le porse la mano. Nora la strinse senza esitazione. La sua pelle era protetta sotto la sottile plastica della tuta spaziale.
— Un ottimo inizio per un nuovo anno — commentò Lindsay. Si trovavano sul ponte di comando della Red Consensus. Lindsay si rese conto di quanto gli fossero mancati i familiari schiocchi e blip e cigolii degli strumenti. I suoni subito s’insediarono dentro di lui, allentando una tensione che non sapeva di aver avuto.
I negoziati erano vecchi di dodici giorni. Si era dimenticato del bruttissimo aspetto dei pirati, come apparissero degli inveterati sporcaccioni. Avevano i pori ostruiti, i capelli puzzolenti e unti, i denti bordati dalla placca batterica. Agli occhi di un plasmatore, erano animali selvaggi.
— Questo è il nostro terzo accordo — disse il Presidente in tono molto formale. — Prima l’Atto dei Canali Aperti, poi la Valutazione Tecnologica e il Consenso al Commercio, e adesso un autentico successo nella politica della giustizia sociale, l’Atto dell’Integrazione. Benvenuta sulla Red Consensus , dottore. Speriamo che vogliate considerare ogni singolo angstrom del vascello come parte del vostro retaggio nazionale.
Il Presidente fissò con una puntina il tabulato del trattato ad una paratia, e lo firmò con uno svolazzo. Lindsay v’impresse il sigillo del Segretario di Stato con la mano sinistra. La carta sottile s’increspò leggermente.
— Siamo tutti connazionali, qua dentro — dichiarò il Presidente. — Rilassiamoci un po’. Impariamo, uhm, a conoscerci.
Читать дальше