Nightshade scrollò il capo.
“Per favore!” implorò Mina.
Nightshade dovette ammettere di essere tentato. Peccato che Mina avesse menzionato i ragni…
“Non hai coraggio!” lo canzonò Mina.
Nightshade tentennò.
“Non hai coraggio, sei un fifone!” disse Mina.
Questo fu decisivo. Era in gioco l’onore di Nightshade. Nessun kender nella lunga e gloriosa storia dei kender si era mai tirato indietro in una sfida del genere.
“Arrivo prima io!” gridò, e sfrecciò via.
Caele non aveva mai visto effettivamente la Sala del Sacrilegio, ma era stato capace di visualizzarla con il suo incantesimo. Il drago, Midori, una volta gliel’aveva descritta. Caele all’epoca non aveva prestato grande attenzione alla descrizione; il drago aveva blaterato un po‘“in proposito semplicemente per tormentarlo. Midori sapeva che il mago era terrorizzato e lei trovava divertente tenerlo a distanza di spuntino.
Caele era stato male per la paura il giorno in cui il drago aveva trascorso un’orribile mezz’ora a blaterare del castello di sabbia e di come Nuitari fosse stato astuto nel costruirlo per ospitare gli oggetti sacri e di come fosse un peccato che lui (Caele) non potesse vederlo mai in vita sua. Caele non rammentava quasi nulla di quella conversazione, ma riuscì a recuperare dalla memoria le parole “castello di sabbia” e con questa immagine in mente fu trasportato dalla sua magia in quel luogo.
Comparve sulla soglia e subito si immobilizzò, non osando muoversi finché non avesse valutato la situazione. Il monaco era in ginocchio e piagnucolava. Il cane era accovacciato al suo fianco. Il kender e la monella erano andati a saccheggiare un altare. Nessuna traccia di Basalt.
Caele aveva progettato di uccidere subito il monaco, ma l’incantesimo micidiale che voleva lanciare gli uscì di mente mentre il suo sguardo sbalordito passava da un altare all’altro. Neanche nei suoi sogni più avidi aveva mai immaginato quelle ricchezze insondabili. Ed erano lì esposte, incustodite, imploravano semplicemente di essere portate via e vendute al miglior offerente. Caele era tanto commosso che si sarebbe messo a piagnucolare come il monaco.
Di scatto tornò alla realtà. Prima di tutto doveva sbarazzarsi della concorrenza. Caele conosceva un’infinità di incantesimi che uccidevano le persone in vari modi sgradevoli. Stava mettendo mano alla calamita magica che avrebbe disintegrato il monaco riducendolo in masse di carne grumose e grondanti quando colse un movimento vicino a uno degli altari.
Caele guardò fisso in quella direzione. Non sapeva bene a quale dio appartenesse quell’altare, e nemmeno gli importava. Uno degli oggetti che luccicavano sull’altare era un calice incastonato di gioielli. Caele aveva già notato che era particolarmente prezioso, e si rese conto che anche qualcun altro ne aveva intuito il valore. Una forma indistinta vi si avvicinò furtivamente: una forma indistinta e pelosa che allungava la mano.
“Basalt!” ringhiò Caele.
La cagna balzò in piedi abbaiando.
Nightshade se ne stava con le mani in tasca, concentrandosi intensamente per tenerle ferme lì. Mai prima d’allora aveva visto tanti oggetti interessanti, curiosi e meravigliosi, tutti raccolti insieme nello stesso posto. Tutto ciò che guardava pareva gridargli di voler essere toccato, raccolto, picchiettato, scosso, annusato, slegato, aperto, sganciato, stappato, srotolato o come minimo infilato in una sacca per un esame più approfondito.
Diverse volte le mani di Nightshade cercarono di balzare fuori dalle tasche e fare tutte le cose summenzionate. Con un grande sforzo di volontà il kender riuscì a tenerle sotto controllo, ma aveva la sensazione che la sua volontà si facesse sempre più debole e le mani si facessero sempre più forti.
Sperava che Mina si sbrigasse.
Inconsapevole della lotta in atto nelle tasche del kender, Mina vagava avanti e indietro fra i due altari, entrambi nell’ombra più fitta, guardando gli oggetti accatastati lì attorno. Aveva le labbra increspate, la fronte aggrottata. A quanto pareva stava cercando di decidersi, poiché talvolta allungava la mano su un oggetto, poi la ritirava e si spostava su qualcos’altro. Nightshade soffriva. Una mano era già scivolata fuori di tasca e lui aveva usato l’altra per afferrare la prima e ricacciarla dentro. Era sul punto di gridare a Mina di decidersi quando l’abbaiare di Atta (che risuonò innaturalmente forte nel silenzio assoluto della Sala) fece quasi sobbalzare il kender da sotto il ciuffo.
“Mina!” gridò Nightshade. “E uno di quei maghi cattivi! E qui!”
“Lo so”, disse Mina alzando le spalle. “Sono qui tutti e due. L’altro si aggira furtivamente attorno all’altare di Sargonnas.” Fece un sorriso scaltro. “Il nano pensa di essere furbo. Non sa che noi possiamo vederlo.”
Inizialmente Nightshade non vide nulla, ma poi, come previsto, scorse un nano che si muoveva di soppiatto attorno a uno degli altari. Aveva messo gli occhi su un calice tempestato di gemme che aveva un basamento a forma di testa di minotauro appoggiata sulle corna.
Atta abbaiava all’altro mago che stava in agguato sulla soglia. Rhys era in ginocchio, il suo intero essere era rivolto al suo dio. Caele aveva la mano in un borsellino, e Nightshade sapeva abbastanza dei maghi per ritenere improbabile che stesse cercando una mentina.
“Mina, credo che cercherà di uccidere Rhys!” disse con sollecitudine Nightshade.
“Sì, è probabile”, concordò Mina. Stava ancora rimuginando sulle sue scelte.
“Dobbiamo fare qualcosa!” disse stizzito Nightshade. “Fermarlo!”
Mina sospirò. “Non riesco a decidere quale possa piacere alla mamma. Non voglio commettere un errore. Tu che ne pensi?”
Nightshade non pensava niente. Caele stava puntando qualcosa contro Rhys e cantilenava.
Nightshade fece per urlare un avvertimento, ma l’urlo si trasformò in un gorgoglio di stupore. Una fune fatta di canapa e intrecciata di foglie di agrifoglio, che era attorcigliata sull’altare di Chislev, sfrecciò come un serpente nell’atto di colpire e si avvolse attorno alle braccia di Caele, inchiodandogliele sui fianchi. Le parole dell’incantesimo del mezzelfo si conclusero con uno strillo. Il mago cadde a terra, rotolando e cercando di liberarsi della fune che lo stringeva.
In quel momento Basalt afferrò il calice e (con stupore di Nightshade) lo usò per colpirsi sulla testa. Basalt ululò di dolore e cercò di sbarazzarsi del calice, ma finì col colpirsi di nuovo. Continuò a picchiarsi col calice, incapace di fermarsi. Il sangue gli colava sul viso. Il nano barcollò qua e là malfermo sulle gambe, gemendo per il dolore, quindi cadde a terra privo di sensi. Soltanto allora smise di picchiarsi.
Nightshade deglutì. Le sue mani, ancora nelle tasche, se ne stavano adesso lì comode, senza esprimere alcun desiderio di toccare alcunché.
“Penso che dovremmo andarcene da questo luogo”, disse Nightshade con voce bassa e ferma.
“Prenderò questo”, disse Mina, decidendosi finalmente.
“Non toccare niente!” avvertì Nightshade, ma Mina non gli prestò attenzione. Raccolse dall’altare di Paladine un piccolo cristallo intagliato a forma di piramide e rimase lì ad ammirarlo. Non avvenne nulla.
Tenendo in mano il piccolo cristallo, Mina andò all’altare di Takhisis e, dopo un attimo di indecisione, scelse una collana dall’aspetto indefinibile, fatta di perline luccicanti.
“Credo che alla mamma piaceranno queste cose”, annunciò.
“Che cosa sono?” domandò Nightshade. “Che cosa fanno? Lo sai, almeno?”
“Certo che lo so!” disse Mina, offesa. “Non sono mica scema. Io so tutto di tutto.”
Nightshade dimenticò per un attimo che Mina era una dea e probabilmente sapeva davvero tutto di tutto. Emise un sbuffo sgarbato, che esprimeva incredulità, e la sfidò: “Che cos’è la collana, allora?”.
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