Margaret Weis - Ambra e sangue

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La vita sul mondo di Krynn è in rapida evoluzione e persino gli dei ne rimangono sconcertati.
Che dire allora dei mortali?
Di fronte a forze apparentemente invincibili, una piccola ma determinata banda di avventurieri mette in atto un disperato tentativo di arrestare un’invasione.
Mina, enigmatica come sempre, riesce a fuggire dalla sua prigione sottomarina e parte per una ricerca che metterà a dura prova la sua forza di volontà, mentre il male sembra diffondersi inesorabilmente…
Mina scopre la terribile verità su se stessa, il che la conduce quasi alla follia. Il monaco Rhys, affiancato da Atta, la sua cagna, dal kender Nightshade, riceve il rischioso incarico di scortarla in un viaggio verso l’irraggiungibile località nota come Godshome, ove Mina spera di trovare una risposta al mistero che avvolge la sua vita. Ma il sentiero è irto di insidie, dal momento che i nonmorti vogliono eleggere Mina a loro capo, mentre il Cavaliere della Morte Krell è sulle sue tracce, e Galdar la cerca per insegnarla al più odiato dei suoi nemici.

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Nightshade non seppe mai con certezza che cosa accadde poi. O il suo buon senso decise di prendere armi e bagagli e andare in vacanza, oppure il suo lato kender emerse, assestò al buon senso un colpo in testa e lo lasciò lì stordito.

Non che questo facesse qualche differenza.

Il fatto era che lo smeraldo era il più grosso e più bello che Nightshade avesse mai visto, e più lui vi si avvicinava a nuoto più diventava grosso e bello, cosicché alla fine il suo lato kender, che c’era davvero, malgrado suo padre avesse sempre pensato il contrario, non doveva far altro che allungare la mano, afferrarlo e cercare di staccarlo.

Accaddero due cose, una delle quali fu spiacevole e l’altra ancora più spiacevole.

La cosa spiacevole fu che lo smeraldo non si mosse.

La cosa ancora più spiacevole fu che si mosse la porta.

La porta si spalancò. Tutto ciò che il kender ebbe il tempo di fare fu urlare un “ops!” di stupore e poi l’acqua marina precipitò dentro il castello di sabbia portandosi dietro Nightshade.

La porta si richiuse di scatto.

Nightshade fu scagliato rovinosamente nell’acqua in tumulto e per diversi attimi, teso com’era, non ebbe idea se si trovasse a testa in giù o in su, poi l’acqua lo depositò su una superficie solida e proseguì senza di lui. Il kender rimase lì fermo per un attimo, senza fiato per la rapidità con cui si era svolto il tutto. Quando superò lo choc, notò che respirava aria, non acqua, cosa di cui fu grato. Aveva rimuginato su ciò che sapeva dell’alimentazione di un pesce e aveva pensato con tristezza che sarebbe dovuto vivere di vermi.

Dopo avere inspirato qualche boccata profonda e rassicurante, decise di alzarsi e dare un’occhiata in giro.

Si guardò attorno diverse volte, con una strana sensazione di tremito nelle viscere, e più guardava e più era sicuro che questo fosse un luogo in cui lui non doveva restare, e c’era un’unica cosa che potesse fare un kender di buon senso, perfino un kender con le corna. “Rhys”, piagnucolò Nightshade, “aiuto!”.

Rhys si girò appena in tempo per vedere Nightshade venire risucchiato dentro la Sala del Sacrilegio e la porta chiudersi di scatto alle sue spalle. Mina stava ridendo e battendo le mani. “E adesso, signor monaco, dovrai proprio entrare. Vinco io.”

Sorrise e gli mostrò la lingua.

Rhys non era mai stato un genitore, e spesso si era domandato come un adulto potesse tollerare di sculacciare un bambino. Adesso cominciava a capire.

Mina nuotò fino alla porta e con la mano sfiorò lo smeraldo con la runa intagliata. Mentre la porta si apriva lentamente, l’acqua marina trasportò dentro Mina e Rhys e fece ruzzolare Nightshade, che stava picchiando sulla porta con i pugni.

Rhys si tirò su. Guardò dietro di sé attraverso la porta aperta verso il paesaggio desertico di sabbia umida increspata.

Atta si trovava fuori della porta sulla sabbia umida e si scrollava di dosso l’acqua, partendo dal didietro e procedendo in avanti. Quando Rhys la chiamò, Atta sgattaiolò con prudenza attraverso la porta. Chiaramente non voleva restare lì. Premendo il corpo contro quello di Rhys, si fermò tremante.

Nemmeno Nightshade voleva restare lì.

“Rhys”, disse con voce incerta, “è questa. Questa è quella Sala. È… è piuttosto spaventosa, Rhys. Non credo che dovremmo trovarci qui”.

Il Solio Febalas, la Sala del Sacrilegio: il ricettacolo della determinazione arrogante del Re-Sacerdote a sfidare gli dei. L’istinto di Nightshade (e di Atta) era giusto. Non era previsto che i mortali entrassero in questo luogo. La sala era sacra agli dei, alla loro ira. “Non sei arrabbiato con me perché ti ho fatto entrare, vero, signor monaco?” domandò malinconicamente Mina, facendo scivolare la mano in quella di Rhys.

Guardandola, Rhys non vedeva una dea. Vedeva una bambina con l’intelletto di una bambina: non ancora formato, con una conoscenza imperfetta del mondo; e si domandò all’improvviso se fosse ciò che gli dei vedevano quando guardavano l’umanità.

Rhys non percepiva più l’ira degli dei, tuttavia ne captava il dispiacere.

“No, Mina”, disse, “non sono arrabbiato con te”.

La Sala era immensa, di forma perfettamente rotonda, con un soffitto alto a cupola. Le pareti erano disseminate di nicchie intagliate nella pietra, ciascuna sacra a uno degli dei. Una singola runa ornava la parete di ciascuna nicchia. In certi casi le rune brillavano di luce. Vi erano la luce uniforme di Majere, la fiamma biancoazzurra di Mishakal, il bagliore argenteo quasi accecante di Kiri-Jolith.

Le nicchie sul lato opposto della sala erano buie e sembravano assorbire la luce. Il simbolo terrificante di Sargonnas, Dio della Vendetta, aggiungeva oscurità all’oscurità. La nicchia di Morgion era di un nero-verde ripugnante, quella di Chemosh di un bianco osseo agghiacciante.

Le nicchie intermedie, che separavano le tenebre dalla luce, sforzandosi di tenere a freno entrambe, appartenevano agli dei neutrali. Al centro vi era la nicchia sacra a Gilean. Sull’altare era posato un libro aperto. Una luce rossa illuminava una bilancia, in perfetto equilibrio, che si trovava al centro.

Sui due lati dell’altare di Gilean, una a sinistra e una a destra, vi erano due nicchie che non erano né buie né luminose, ma erano entrambe avvolte nell’ombra, come se su di loro fosse stato sospeso un velo. Un tempo, una era stata di un’oscurità impenetrabile, l’altra di una luminosità insopportabile. Entrambe ora erano vuote: gli altari di Takhisis, scacciata, e di Paladine, in esilio volontario.

La Sala era colma di oggetti sacri, accatastati sopra gli altari, ammucchiati in pile o gettati alla rinfusa sul pavimento. Portati qui dai soldati del Re-Sacerdote, erano stati gettati senza troppe cerimonie in questo magazzino della vergogna.

Rhys non riusciva a parlare. Non riusciva a vedere per via delle lacrime. Cadde in ginocchio e, deponendo con cura il bastone al suo fianco, congiunse le mani in preghiera.

“Signor monaco, vieni con me…” esordì Mina.

“Non credo che ti senta”, disse Nightshade.

Mina emise un breve sospiro. “Lo so come si sente. Io ho provato la stessa sensazione quando sono venuta qui… come se tutti gli dei si fossero riuniti attorno a me e mi stessero guardando. E io ero tanto piccola e sola.”

Fece una pausa, poi diede un’occhiata trepidante alle nicchie. “Ma devo comunque prendere il mio dono per Goldmoon e non voglio andarci da sola.” Si rivolse al kender. “Vieni tu con me.”

Nightshade lanciò un’occhiata bramosa agli altari, al vasto assortimento di oggetti strani e bellissimi, orribili e meravigliosi.

“Meglio di no”, disse alla fine, con rammarico. “Io sono un mistico, sai, e non sarebbe giusto.”

“Che cos’è un mistico?” domandò Mina.

“E un… ecco…” Nightshade era confuso. Prima di allora non gli era mai stato chiesto di definirsi. “Vuol dire che io non credo negli dei. Cioè, io credo negli dei: per forza, ho conosciuto Majere”, soggiunse con orgoglio. “Majere mi ha perfino aiutato a scassinare un lucchetto, anche se Rhys ha detto che un dio che scassina una serratura è un evento unico e io non devo aspettarmi che lo faccia ancora. Essere un mistico vuol dire che io non prego gli dei come fa Rhys. Come sta facendo adesso. Bè, immagino di avere effettivamente pregato Majere, ma quella preghiera non era per me. Era per Rhys, che non poteva pregare perché era quasi morto.”

Mina pareva confusa, e Nightshade decise di riassumere la sua spiegazione.

“Essere un mistico vuol dire che a me piace starmene per conto mio senza infastidire nessuno.”

“Ottimo”, disse Mina. “Puoi startene per conto tuo con me. Io non voglio tornare lì da sola. È un luogo buio e spettrale. E potrebbero esserci dei ragni.”

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