Margaret Weis - Ambra e cenere

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La Guerra delle Anime si è finalmente conclusa. La lotta per la supremazia che gli dei hanno combattuto senza esclusione di colpi con le armi della magia ha lasciato il continente di Ansalon nella più completa desolazione e sovvertito i precedenti equilibri di potere. Mina, una misteriosa donna-guerriero, non si rassegna tuttavia alla propria sconfitta e stringe un patto con il diavolo. Mentre un culto satanico si diffonde e minaccia un mondo già fragile e provato, i nostri eroi, un eccentrico monaco e un kender in grado di comunicare con i defunti, si alleano per arginare le forze del maligno.

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«Io non voglio essere salvato», ribadì Ariakan. «Se ci provate, scatenerò un inferno. Nemmeno Krell potrà mancare di notarlo. Ho paura che abbiate sprecato il vostro tempo. E la vostra vita.»

«Decisamente ha preso da sua madre», mormorò Nightshade. «Povero Rhys», soggiunse, sobbalzando nell’udire l’amico trattenere il fiato. «Non può sopportarne molte di più. Oh, no! Eccolo che sta per muovere il pezzo sbagliato!»

Nightshade ebbe uno scatto violento col capo e roteò gli occhi e fortunatamente Rhys colse il suggerimento. La sua mano (adesso usava la sinistra) si spostò dalla regina a una torre. Nightshade emise un sospiro profondo e diede un’occhiata a Krell.

«Questa dovrebbe dargli da pensare», disse il kender con soddisfazione.

Il cavaliere della morte rimase impressionato dalla mossa. Krell si chinò sul tabellone, fece per muovere un pezzo, ci ripensò. Tamburellando con le dita guantate sul bracciolo di legno scolpito della sedia, si appoggiò all’indietro e fissò il tabellone.

Nightshade diede un’occhiata di nascosto a Rhys. Il monaco era pallidissimo, aveva il viso ricoperto da una patina di sudore. Sedeva con la mano destra avvolta nella sinistra. Aveva le vesti chiazzate di sangue. Non emetteva suoni, non gemeva, anche se il dolore doveva essere lancinante. Ogni tanto Nightshade udiva quell’inspirare lieve e rapido.

I kender sono per natura bonari, disposti a scordarsi il passato, a vivere e lasciar vivere, a porgere l’altra guancia, a non giudicare un libro dalla copertina e a non piangere sul latte versato. Ma qualche volta si incattiviscono. E chiunque su Krynn potrà confermare che non vi è nulla al mondo di più pericoloso di un kender che abbia perso le staffe.

«Eccoci qui», disse fra sé Nightshade, «a rischiare la vita per salvare questo cavaliere, solo per scoprire che questo somaro rivestito d’acciaio si rifiuta di essere salvato. Be’», affermò arcignamente, «lo vedremo!».

Non era necessario «prendere a prestito» niente alla maniera dei kender. Nessun abile gioco di prestigio, nessuna manovra astuta. Soltanto un rozzo arraffa-arraffa. Nightshade non aveva modo di avvertire Rhys del cambiamento di piano. Poteva solo sperare che il suo compagno seguisse il suggerimento, che, dopo tutto, sarebbe stato estremamente evidente.

Krell allungò la mano guantata per eseguire la mossa. Come Nightshade aveva previsto, il cavaliere della morte stava per prendere in mano il cavaliere nero. Stava per muovere Lord Ariakan.

Nightshade abbassò la testa come aveva visto fare a un toro a una fiera e attaccò.

10

Qualcosa in Rhys era consapevole del tabellone del khas e dei pezzi su di esso e di ciò che avveniva nella partita. Qualcos’altro in lui no. Questo qualcos’altro si trovava sul fianco della collina, coi piedi nudi freschi nell’erba verde spruzzata di rugiada, il sole caldo sulle spalle. Rhys trovava però sempre più difficile rimanere sulla collina.

Acute fitte di dolore gli scombussolavano lo stato meditativo. Ogni volta che Krell posava su Rhys la mano fredda e disincarnata, quel tocco orribile gli prosciugava ulteriormente le forze e la volontà.

Secondo il loro piano, doveva andare avanti ancora per diverse mosse. Avrebbe dovuto perdere altri pezzi.

Fuori era calata la notte. Attraverso la finestra Rhys vedeva il tremolio dei fulmini all’orizzonte; Zeboim attendeva notizie con impazienza.

Dentro non ardeva nessun fuoco, non era accesa nessuna candela. Il tabellone era illuminato dal bagliore rosso degli occhi di Krell. Rhys cercava di concentrarsi... ma trovava impossibile trarre un senso da una partita che non aveva mai avuto senso. Cercando di ricordare quale pezzo dovesse muovere, si allarmò nel vedere gli esagoni neri sollevarsi dal tabellone e librarsi a cinque centimetri buoni dalla superficie. Rhys sbatté gli occhi e inspirò profondamente, e gli esagoni neri ritornarono nella posizione normale.

Krell tamburellava con le dita sulla sedia. Si chinò in avanti, allungando la mano verso uno dei cavalieri neri. Quando Nightshade si mise all’improvviso a correre, Rhys temette che gli occhi lo stessero di nuovo ingannando. Fissò quel pezzo del khas, intimandogli di ritornare normale.

Krell emise un grugnito stupefatto e Rhys si rese conto che non aveva visioni. Nightshade aveva preso in mano la partita. La pedina stava muovendo da sola.

Scansando di qua e di là i pezzi del khas, Nightshade attraversò difilato il tabellone e si lanciò dritto contro il cavaliere nero. Il kender avvolse entrambe le braccia attorno alle gambe del drago azzurro e continuò a correre.

Pedina e cavaliere ruzzolarono fuori del tabellone.

«Ehi», rimproverò Krell con severità. «Questo è contro le regole.»

Rhys non vedeva i due pezzi del khas, ma li udì atterrare sul pavimento, uno con un rumore di ferraglia e l’altro con un urlo.

Krell emise un cupo rombo di collera. I suoi occhi rossi puntarono su Rhys.

Afferrando il bastone e reggendolo con entrambe le mani, Rhys si alzò dalla sedia e spinse il bastone con tutte le sue forze al centro dell’elmo del cavaliere della morte, colpendo Krell in mezzo agli occhi infuocati.

Rhys sperava che quel colpo di punta nel pesante elmo d’acciaio distraesse il cavaliere della morte, lo rallentasse abbastanza da permettergli di trovare Nightshade e Lord Ariakan. Rhys non prevedeva di causare alcun danno a Krell.

Ma il bastone era sacro, benedetto da Majere, ultimo dono del dio alla sua pecorella smarrita.

Agendo di propria iniziativa, il bastone volò via dalle mani di Rhys. Sotto il suo sguardo sbalordito, il bastone cambiò forma, diventando un’enorme mantide, l’insetto sacro al dio Majere.

La mantide era alta tre metri, con gli occhi tondeggianti e il corpo verde corazzato, e sei enormi zampe verdi. La gigantesca mantide religiosa afferrò con le zampe anteriori provviste di aculei la testa del cavaliere della morte. Le mandibole si serrarono sullo spirito rannicchiato di Krell e l’insetto prese a mangiarselo, con le mascelle del dio che laceravano l’armatura per raggiungere l’anima maledetta sottostante.

Stretto nella presa del gigantesco insetto, Krell urlò di orrore, mentre il suo cuore di codardo avvizziva.

Rhys sussurrò una rapida preghiera di ringraziamento al dio e si inginocchiò velocemente per recuperare il pezzo del khas e il kender. Li trovò con una certa facilità, poiché Nightshade stava saltellando su e giù e si sbracciava e strillava. Rhys raccolse Nightshade.

«Lui non vuole essere salvato!» gridò il kender.

Rhys infilò Nightshade nella bisaccia di cuoio, quindi raccolse il cavaliere nero del khas. Il peltro era incandescente al tatto, come fosse appena uscito dalla fusione nel fuoco.

Rhys guardò Krell, che lottava a corpo a corpo col dio, e immaginò che l’anima assetata di vendetta di Ariakan sarebbe rimasta legata a questo mondo ancora per molto tempo a venire.

A Zeboim interessava lo spirito di suo figlio. Rhys depositò il pezzo del khas nella bisaccia, sobbalzando all’urlo del kender quando Nightshade venne a contatto col metallo infuocato. Rhys non aveva tempo di aiutarlo. Krell incominciava a riprendersi dal primo orripilante colpo dell’attacco della mantide e adesso combatteva, colpendo forte con i pugni il corpo verde dell’insetto, scalciandolo selvaggiamente, cercando di scagliarselo via di dosso. Rhys doveva portare a termine la fuga mentre Krell e la mantide stavano ancora combattendo. Rhys sperava che la mantide annientasse Krell, ma non osò restare lì per vedere l’esito finale.

Si girò per scappare. Aveva compiuto appena pochi passi quando si rese conto che non sarebbe riuscito ad andare lontano. Era troppo debole.

Ansimante, in preda a nausee e capogiri, uscì barcollando nella notte. Le gambe gli tremavano, i piedi incespicavano sull’acciottolato irregolare e lui inciampò su una pietra spezzata. Era tanto debole che non riuscì a recuperare l’equilibrio. Cadde in avanti finendo a quattro zampe. Cercò di riprendere a correre. Tutto quello che riusciva a fare era ansimare. Stava male. Era esausto. Era finito. Gli mancava la forza di correre, e dietro di lui udiva dei passi pesanti e Krell che ruggiva di collera.

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