«Io non adesco marinai», si adirò Zeboim. «Loro scelgono di adorarmi.»
I due rimasero a scrutarsi reciprocamente, pensando a come ottenere ciò che ciascuno di loro desiderava.
Mina sarà finalmente nelle mie mani, rifletté Zeboim. Dovrò cederla a Chemosh prima o poi, ma per un po’ potrò usarla a mio vantaggio.
Devo affidare Mina alla Strega del Mare? si domandava Chemosh, e poi pensò, rassicurato: Zeboim non oserà farle del male. Io terrò in ostaggio l’anima di suo figlio finché non faremo lo scambio.
Quanto a Krell, tormentarlo è diventato noioso, si rese conto Zeboim. Il mio monaco mi è assai più prezioso, per non dire divertente. Me lo terrò.
Majere è una minaccia ragguardevole, stava pensando Chemosh. Zeboim è un fastidio secondario. Se, come afferma lei, questo monaco impiccione ha trasferito la sua fedeltà dal Dio Mantide alla Strega del Mare, allora Rhys Mason non costituisce più una minaccia per me. Io so come Zeboim tratta i suoi fedeli. Quel poveretto sarà già fortunato a sopravvivere. E avere Krell disponibile per me anziché continuamente nascosto sotto il letto sarà un vantaggio considerevole.
Quanto a questa Torre... Zeboim passò al fastidio successivo. Non mi sorprendo di niente di ciò che fa quel mio fratellino dalla faccia di luna. Pagherà per questa impudenza, certo. Gli scrollerò la Torre fino a ridurla in rovine! Ma perché il Signore della Morte è interessato a una Torre dell’Alta Magia? Perché a Chemosh dovrebbe interessare in un modo o nell’altro? Qui c’è sotto qualcosa di più di quanto appaia a prima vista. Devo scoprire che cosa.
Così Zeboim non sapeva della Torre. Chemosh la riteneva una cosa interessante. Temevo che fratello e sorella fossero in combutta. A quanto pare no. Che farà lei? Che può fare? Nuitari non è tipo da farsi ostacolare neanche da una sorella.
Il mare ondeggiava, e le onde andavano e venivano mentre i due dèi esaminavano il patto sotto ogni angolazione.
Finalmente Zeboim disse cortesemente: «Prometto che Mina ti sarà restituita. So come trattare con mio fratello. Purché, naturalmente, tu in cambio liberi l’anima di mio figlio».
Chemosh fu altrettanto cortese: «Su questo sono d’accordo. Io voglio tenermi Krell. In cambio, ti do il monaco».
Chemosh ha in mente qualcosa. Si arrende troppo facilmente, pensò Zeboim, scrutandolo.
Si arrende troppo facilmente. Zeboim ha in mente qualcosa, pensò Chemosh, scrutandola.
Comunque, pensarono entrambi, da questo patto ci guadagno di più io.
Zeboim tese la mano.
Chemosh le prese la mano e stipularono il patto.
«Portami Mina e io invierò l’anima di tuo figlio nel viaggio verso la sua prossima conquista sanguinosa», disse il Signore della Morte.
«Ritornerò con Mina», disse Zeboim, «e ti farò sapere che cosa avrò scoperto su questa Torre. Sono sicura che debba esserci qualche errore. Mio fratello non mi ingannerebbe mai».
Bugiarda, pensò Chemosh.
«Te l’ho detto soltanto per cortesia», rispose lui con noncuranza, «Ciò che Nuitari fa o non fa con la sua Torre a me non interessa.»
Bugiardo, pensò Zeboim.
«Al prossimo incontro, mio caro amico», disse lei con espansività.
«Al prossimo incontro», disse Chemosh soavemente.
«Uh, come odio quel disgraziato!» disse fra sé Zeboim mentre percorreva a grandi passi il fondo del mare. «Gliela farò pagare!»
«Strega intrigante», mormorò Chemosh. «La sistemerò io.» Alzò la voce. «Krell! Adesso puoi venire fuori! Mina ci verrà presto restituita, e allora io voglio essere pronto ad agire.»
Ignaro del fatto che la sua vita fosse stata usata dalla sua dea come merce di scambio, Rhys rimaneva a Solace, come aveva promesso a Gerard. Trascorsero diversi giorni dopo la loro conversazione, e durante questo tempo Rhys vide ben poco lo sceriffo. Quando si imbatteva in lui, Gerard gli sfrecciava sempre accanto facendo un gesto con la mano e mormorando le parole: «Non posso parlare adesso, ma presto. Molto presto».
Rhys ritornò al suo lavoro alla taverna, dove la proprietaria gli rivolse un caloroso benvenuto.
«Sono contento che siate di ritorno, fratello», disse Laura, detergendosi le mani sul grembiule. «Ci siete mancato, e non solo per tagliare le patate, anche se qui in giro nessuno sa tagliarle in quei bei quadratini come fate voi.»
«Sono contento di essere di nuovo qui», disse Rhys.
«Voi avete un certo modo di fare, fratello», proseguì Laura, dandosi da fare in cucina. Sollevò un coperchio e da un bollitore fuoriuscì un getto di vapore speziato. Laura sbirciò nella pentola, infilò dentro un cucchiaio e scrollò il capo. «Serve ancora sale. Dov’ero rimasta? Ah, sì. Voi avete una sorta di calma che si diffonde in tutti quando ci siete voi, fratello, ed evapora quando non ci siete.»
Prendendo da una pentola di metallo una pallina di pasta di pane, prese a impastarla abilmente, mentre continuava a parlare.
«Il giorno in cui ve ne siete andato, il cuoco ha litigato con la sguattera, e questa è rimasta tanto sconvolta che ha rovesciato una pentola di prosciutto e fagioli e si è quasi ustionata. Per non parlare delle due scazzottate che abbiamo avuto in cortile, e poi c’è stato quel ragazzo a cui è venuto in mente di scivolare lungo tutta la balaustrata dal livello dell’albero fino a terra e ha finito col rompersi il braccio. Quando voi siete qui, fratello, non succede mai niente del genere. Tutto sembra andare liscio come un sedere di signora. Oh, santo cielo!» Laura si batté la mano sulla bocca e arrossì vividamente. «Chiedo perdono, fratello. Non intendevo parlare di un sedere di signora.»
Rhys sorrise. «Credo che sopravvalutiate la mia influenza, padrona Laura. Ora, poiché siamo vicini all’ora di cena, dovrei mettermi all’opera su quelle patate...»
Rhys affettò patate e cipolle, andò a prendere acqua e ascoltò con commiserazione le lamentele del cuoco riguardo alla sguattera, e poi consolò la sguattera, che non sapeva mai che cosa fare per compiacere il cuoco. A Rhys piaceva lavorare nella cucina della taverna. Gli piacevano i momenti frenetici, come il pranzo e la cena, quando spesso faceva tre cose insieme, lavorando con le maniche rimboccate sopra il gomito, correndo qua e là senza tempo per pensare a niente tranne preoccuparsi se le patate erano ancora poco cotte o se il cosciotto di carne che si arrostiva sullo spiedo sopra il fuoco scoperto stava cuocendo in maniera non uniforme.
Quando la folla se ne andava e le porte della taverna si chiudevano per la notte, Rhys si godeva la pace e la tranquillità, anche se vi erano montagne di stoviglie da lavare e bollitori e pentole da strofinare e il pavimento da spazzare e l’acqua da andare a prendere e la pasta di pane da miscelare in modo che potesse passare la notte a lievitare. Quei lavoretti semplici e senza pretese gli rammentavano la sua vita al monastero. Con le braccia immerse fino ai gomiti nell’acqua schiumosa, lavava i boccali per la birra e rifletteva su Majere e si domandava che cosa stesse facendo quel dio enigmatico e perché lo facesse.
Quando finì col rompere un boccale, Rhys si rese conto di essere ancora in collera con Majere e vide che la sua collera, lungi dal placarsi, veniva alimentata dalla presenza continua e ostinata di Majere nella sua vita. Come un bambino viziato e maleducato, i cui genitori insistono a coccolarlo per quanto lui si comporti male, Rhys non si meritava l’interesse del dio nei suoi confronti; si sentiva in colpa nell’accettarlo non potendo contraccambiarlo.
Giunse quasi a provare risentimento per l’emmide. Il giorno prima aveva cercato di abbandonarlo nella sua stanza, ma aveva scoperto di sentirsi goffo e a disagio senza il bastone, quasi stesse attraversando Solace nudo, e Atta fu tanto infastidita da quell’assenza (continuava a fermarsi per fissare Rhys con un’espressione perplessa) che lui alla fine si era arreso ed era ritornato indietro a prenderlo.
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