C'erano dati sufficienti per una ricerca nei computer della base. Non avevo accesso a tutti i file, non avevo il grado. Ma, per fortuna, i superiori non potevano neppure immaginare quante informazioni si ottenevano da una ricerca incrociata.
Naturalmente, se avessi davvero voluto scoprire l'identità di Ol'ga.
Versato il cognac nei bicchieri, mi misi in attesa. Ol'ga uscì dal bagno cinque minuti dopo, asciugandosi i capelli con la salvietta. Indossava i miei jeans e il mio maglione.
Non si può dire che si fosse trasformata del tutto… però era diventata più gradevole.
— Grazie, Anton. Non puoi immaginare con che piacere…
— Lo immagino.
— Immaginare non basta. L'odore, Anton… l'odore di bruciato. Io mi sono quasi abituata dopo mezzo secolo. — Ol'ga sedette goffamente sullo sgabello. Sospirò. — È brutto, ma sono felice dell'attuale crisi. Non importa che sia perdonata, purché abbia la possibilità di lavarmi…
— Puoi rimanere con queste sembianze? Esco a comprarti degli abiti adatti.
— Non è il caso. Ho solo mezz'ora al giorno.
Appallottolato l'asciugamano, Ol'ga lo gettò sul davanzale. Sospirò: — Potrei anche non riuscire a lavarmi la prossima volta. E neppure a bere il cognac… Alla tua salute, Anton!
— Alla tua!
Il cognac era buono, lo sorseggiai con piacere, malgrado la totale confusione nella mia testa. Ol'ga lo bevve d'un fiato, corrugò la fronte, ma commentò con cortesia: — Non è male.
— Perché il Capo non ti permette di assumere sembianze normali?
— Non è in suo potere.
Era chiaro. La punizione non arrivava dall'ufficio distrettuale, ma dai vertici superiori.
— Ti auguro buona fortuna, Ol'ga. Qualunque azione tu abbia commesso, sono certo che la tua colpa è già stata espiata da un pezzo.
La donna si strinse nelle spalle.
— Vorrei crederlo. Capisco che posso suscitare compassione, ma il castigo era giusto. Del resto… parliamone seriamente.
— Parliamone.
Ol'ga si allungò attraverso il tavolo verso di me. Disse con un misterioso sussurro: — Te lo dico con franchezza: mi sono stufata. Ho nervi saldi, ma così non si può vivere. La mia unica chance è quella di compiere una missione talmente importante che ai capi non resti altra via d'uscita che perdonarmi.
— E dove la troviamo una missione simile?
— L'abbiamo già. E consiste di tre tappe: proteggiamo il ragazzino e lo facciamo diventare un alleato delle Forze della Luce. La vampira la eliminiamo.
Ol'ga aveva un tono sicuro di sé e a un tratto le credetti. Proteggeremo lui ed elimineremo lei. Senza problemi.
— Solo che si tratta di inezie, Anton. A te un'azione simile consentirà di salire di grado, ma io non verrò salvata. L'importante è la ragazza col vortice malefico.
— Di lei si stanno già occupando, Ol'ga. Io… noi siamo stati esclusi dall'incarico.
— Non importa. Non se la caveranno da soli.
— Davvero? — chiesi con ironia.
— Non se la caveranno. Boris Ignat'evič è un mago potente. Ma in altri campi. — Ol'ga socchiuse gli occhi beffardamente. — E io è tutta la vita che mi occupo di catastrofi infernali.
— Ecco che cosa c'entrava la guerra! — esclamai.
— Naturalmente. Simili esplosioni d'odio in tempo di pace non avvengono. Quel bastardo di Adolf… ne aveva di seguaci, eppure l'avrebbero fatto fuori già nel primo anno di guerra. Insieme a tutta la Germania. Quella di Stalin era una situazione diversa: era circondato da un'adorazione abnorme… uno scudo potente. Anton, io sono una semplice donna russa… — un fugace sorriso sottolineò ciò che Ol'ga intendeva con la parola "semplice" — e ho trascorso tutta l'ultima guerra a proteggere i nemici del mio paese dalle maledizioni. Anche solo per questo mi meriterei il perdono, non credi?
— Sì, lo credo. — Avevo la sensazione che si fosse sbronzata.
— Un lavoro fetente… a tutti noi capita di dover andare contro la natura umana, ma giungere fino a tal punto… È così, Anton. Loro… non se la caveranno. Io… posso provarci. Anche se non ne ho la completa certezza.
— Ol'ga, se è una cosa così seria, devi fare rapporto…
La donna scosse la testa, aggiustandosi i capelli bagnati: — Non posso. Mi è proibito comunicare con chiunque, eccetto che con Boris Ignat'evič e il mio partner nell'incarico. A lui ho già detto tutto. Ora posso solo aspettare. E sperare di riuscire a cavarmela all'ultimo minuto.
— E il Capo non lo capisce questo?
— Al contrario, penso che lo capisca.
— E allora… — mormorai.
— Siamo stati amanti. Per molto tempo. E per di più siamo anche amici, il che succede assai di rado… E quindi, Anton, oggi risolviamo la questione del ragazzino e della vampira psicopatica. E domani aspetteremo. Aspetteremo finché non ci sarà una catastrofe infernale. Sei d'accordo?
— Devo riflettere, Ol'ga.
— Perfetto, pensaci. È ora, voltati.
Non feci in tempo. Forse non era stata colpa di Ol'ga. Non aveva calcolato bene il tempo che le era concesso.
Fu uno spettacolo disgustoso. Ol'ga prese a tremare, s'inarcò. Il corpo fu scosso da un'onda sussultoria: le ossa si piegarono, come fossero di gomma. La pelle cadde, mettendo a nudo i muscoli irrorati di sangue. Di lì a un istante la donna si trasformò in un ammasso di carne sgualcita, in una sfera informe. E la sfera si rattrappiva sempre di più, coprendosi di morbide piume bianche.
La civetta delle nevi spiccò il volo dallo sgabello con un grido un po' uccellesco e un po' umano. Si fiondò verso il suo posto prediletto sul frigorifero.
— Diavolo! — gridai, dimenticando ogni regola e insegnamento. — Ol'ga!
— Bello, eh? — La voce della donna era ansimante, ancora provata dal dolore.
— Perché, perché deve succedere proprio così?
— Fa parte del castigo, Anton.
Allungai la mano e sfiorai l'ala dispiegata e tremante.
— Ol'ga, sono d'accordo con te: risolviamo la questione del ragazzino e della vampira.
— Allora al lavoro, Anton!
Annuendo, uscii nel corridoio. Spalancai l'armadio con l'equipaggiamento, entrai nel Crepuscolo perché altrimenti non avrei visto nulla se non abiti e vecchia paccottiglia.
Un corpicino leggero si posò sulla mia spalla: — Che cos'hai?
— Ho esaurito l'amuleto di onice. Puoi ricaricarlo?
— No. mi hanno privato di quasi tutti i poteri. Mi è rimasto solo quello che serve per neutralizzare l'inferno. E anche la memoria, Anton… mi rimane ancora la memoria. Come pensi di uccidere la vampira?
— Non è registrata — dissi io. — Ho solo dei rimedi popolari.
La civetta ridacchiò.
— Il paletto di frassino si usa ancora?
— Io non ce l'ho.
— Capisco. E per via dei tuoi amici, vero?
— Sì. Non voglio che si spaventino, varcando la soglia.
— E allora che cosa usiamo?
Da un nascondiglio scavato tra i mattoni presi una pistola. Mi piegai sulla civetta. Ol'ga studiò attentamente l'arma.
— L'argento? Per i vampiri è molto nocivo, ma non letale.
— Dentro ci sono proiettili deflagranti. — Estrassi il caricatore dalla Desert Eagle. — Proiettili d'argento deflagranti. Calibro 044. Bastano tre colpi e si riempie di buchi, e il vampiro non è più in grado di reagire.
— E poi?
— Rimedi popolari.
— Non credo nella tecnica — mi fece eco Ol'ga. — Ho visto un lupo mannaro riprendersi dopo che era stato fatto a pezzi da una carica.
— E si è ripreso in fretta?
— Dopo tre giorni.
— E io che sto dicendo?
— D'accordo, Anton. Se non ti fidi dei miei poteri…
Era contrariata, lo capivo. Ma io non sono un operativo. Io sono un dipendente del quartier generale.
— Andrà tutto bene — la rassicurai. — Credimi. Su, concentriamoci sulla ricerca dell'esca.
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