Qualcosa le punse il viso e le mani, come la sabbia che soffia sulla spiaggia in una giornata ventosa. Si coprì gli occhi e continuò ad avanzare.
Le punture peggiorarono e camminare diventò sempre più difficile, come se stesse procedendo controvento in una giornata di tramontana particolarmente impetuosa. Era un vento violento, e gelido.
Fece un passo indietro, verso il punto di partenza.
— Oh, va’ avanti — le sussurrò una voce spettrale nell’orecchio. — Perché la megera è arrabbiata.
Avanzò nel corridoio, affrontando un’altra folata di vento che le ferì le guance e il viso con una sabbia invisibile, pungente come spilli, tagliente come vetro.
— Gioca senza barare — gridò Coraline nel vento.
Non ci fu nessuna risposta, ma il vento capriccioso la sferzò ancora una volta, e poi diminuì e cessò del tutto. Passando davanti alla cucina, Coraline riuscì a sentire, nell’improvviso silenzio, l’acqua che continuava a gocciolare dal rubinetto che perdeva, o forse le lunghe unghie dell’altra madre che battevano impazienti sul tavole. Ma resistette alla tentazione di guardare.
Con due lunghe falcate, raggiunse la porta di casa e uscì fuori.
Scese le scale e girò intorno all’edificio finché non si trovò davanti alla porta delle altre Miss Spink e Miss Forcible. Le lampadine ormai si accendevano e spegnevano quasi a casaccio, componendo parole che Coraline non riusciva a decifrare. La porta era chiusa. Le venne il timore che fosse chiusa a chiave, così la spinse con tutta la forza che aveva in corpo. Al principio sembrava bloccata, poi di colpo cedette e, con uno scatto, Coraline incespicò nella stanza buia, oltre la soglia.
Strinse una mano intorno al sassolino con il buco e avanzo nell’oscurità. Si aspettava di trovare un’anticamera preceduta da una tenda, ma non c’era assolutamente niente. La stanza era buia. Il teatro era vuoto. Avanzò guardinga. Sentì un fruscio sopra di se. Alzo lo sguardo verso il buio pesto e inciampò in qualcosa. Si chinò, raccolse una torcia, la accese e fece oscillare il fascio di luce per la stanza.
Il teatro era fatiscente e in stato di abbandono. Le poltrone giacevano rotte sul pavimento e antiche e polverose ragnatele formavano drappeggi sulle pareti, pendendo dal legno marcio e dalla tappezzeria di velluto in decomposizione.
Sentì un altro fruscio. Indirizzò il fascio di luce verso l’alto, verso il soffitto. Lassù c’erano delle cose prive di peli e gelatinose. Pensò che forse un tempo avevano posseduto una faccia, che un tempo erano state dei cani; ma nessun cane aveva ali da pipistrello, o poteva restare appeso a testa in giù come i ragni, come i pipistrelli.
La luce spavento quelle creature e una di loro spiccò il volo, con un pesante frullo d’ali nella polvere. Coralme chinò la testa mentre le passava vicino. Andò a posarsi su una parete lontana e cominciò ad arrampicarsi di nuovo, sempre a testa in giù, verso il nido dei cani-pipistrello sul soffitto.
Coraline si portò il sassolino all’occhio e scandagliò la stanza attraverso il buco, alla ricerca di qualcosa che brillasse o scintillasse, un segno rivelatore che da qualche parte vi fosse un’altra anima nascosta. Accompagnò la ricerca con il fascio di luce della torcia, e la fitta polvere sospesa nell’aria sembrava quasi solida. Sulla parete in fondo al palcoscenico in rovina c’era qualcosa. Era di un bianco-grigiastro, grande il doppio di Coraline, appiccicata sul muro come una lumaca. La bambina fece un respiro profondo. Io non ho paura , si disse. Assolutamente no. Non ci credeva affatto, ma si arrampicò fin sopra il vecchio palcoscenico, le dita che affondavano nel legno marcio mentre cercava di issarsi.
Quando fu più vicina alla cosa sulla parete, vide che era una specie di sacca, come il guscio di un uovo di ragno. La cosa si contorse alla luce della torcia. All’interno della sacca c’era qualcosa che assomigliava a una persona, ma con due teste e il doppio delle braccia e delle gambe che avrebbe dovuto avere.
La creatura sembrava spaventosamente informe e incompleta, come se due figure di plastilina fossero state lavorate insieme e compresse in un’unica forma.
Coraline esitò. Non voleva avvicinarsi a quella cosa. I cani-pipistrello si staccarono dal soffitto a uno a uno e cominciarono a volteggiare in cerchio nella stanza, avvicinandosi a lei, ma senza mai sfiorarla.
Forse qui non ci sono anime nascoste , pensò. Forse potrei andarmene e provare da un’altra parte. Guardò per l’ultima volta attraverso il buco nel sassolino: il teatro abbandonato era ancora d’un tetro grigio, ma adesso c’era un bagliore marrone, intenso e luminoso come legno di ciliegio lucidato, che veniva dall’interno della sacca. Di qualunque cosa si trattasse, l’oggetto luminoso era stretto in una delle mani della figura con due teste.
Coraline attraversò lentamente il palcoscenico umido, mettendocela tutta per tare il minor rumore possibile, nel timore che, se avesse disturbato la cosa nella sacca, questa avrebbe aperto gli occhi, l’avrebbe vista e a quel punto…
Ma non le veniva in mente nulla che fosse più spaventoso di quella cosa che la guardava. Il cuore le batteva fortissimo nel petto. Fece un altro passo in avanti.
Non aveva mai avuto tanta paura, tuttavia continuò ad avanzare finché raggiunse la sacca. Quindi infilò la mano in quel biancore appiccicoso aggrappato al muro, che crepitò appena appena, come un focherello, e le si appiccicò sulla pelle e sui vestiti come una ragnatela, come candido zucchero filato. Affondò la mano fino a toccare dita gelide, che, lo sentiva benissimo, erano chiuse intorno a una biglia di vetro. La pelle della creatura era viscida, come ricoperta di gelatina. Coraline tirò forte la biglia.
All’inizio non accadde nulla; l’oggetto rimase ben saldo nella presa della creatura. Poi, un dito alla volta, la presa si allentò e la biglia scivolò nella mano di Coraline, che ritrasse il braccio liberandolo dalla membrana appiccicosa, sollevata dal fatto che la creatura non aveva aperto gli occhi. Puntò la luce della torcia sulle due facce: assomigliavano, pensò, a due versioni giovanili di Miss Spink e Miss Forcible, ma distorte e spiaccicate, come due grumi di cera che si fossero sciolti e fusi insieme, in un unico ripugnante oggetto.
Senza preavviso, una delle mani della creatura tentò di agguantare il braccio di Coraline. Le unghie le graffiarono la pelle, ma era troppo scivolosa per poter fare presa, e la bambina riuscì a ritrarsi in tempo. E poi gli occhi si aprirono — quattro bottoni neri che brillavano guardandola dall’alto — e due voci diverse da qualsiasi voce Coraline avesse mai sentito cominciarono a parlare. Una gemeva e sussurrava, l’altra ronzava come un grasso e arrabbiato moscone sul vetro di una finestra. E le voci dissero, come se fossero una sola: — Ladra! Restituiscila! Falla finita! Ladra!
L’aria venne smossa dai cani-pipistrello. Coraline cominciò a indietreggiare. Ormai si era resa conto che, per quanto quella cosa sulla parete (la cosa che una volta era stata le altre Miss Spink e Miss Forcible) fosse terrificante, era attaccata al muro tramite la tela, incapsulata nel suo bozzolo. Non poteva seguirla.
I cani-pipistrello battevano le ali e fluttuavano intorno a lei, ma non tentarono di farle del male. Lei scese giù dal palcoscenico e alla luce della torcia ispezionò il vecchio teatro, alla ricerca dell’uscita.
— Fuggi, signorina — disse la voce lamentosa di una ragazzina nella sua testa. — Fuggi, adesso. Hai trovato due di noi. Fuggi da questo luogo fintantoché il sangue ti scorre ancora nelle vene.
Coraline fece cadere la biglia nella sua tasca, accanto all’altra. Localizzò la porta, corse verso di essa e la tirò finché non si aprì.
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