Neil Gaiman - Coraline

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Coraline: краткое содержание, описание и аннотация

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In casa di Coraline ci sono tredici porte che permettono di entrare e uscire da stanze e corridoi. Ma ce n’è anche un’altra, la quattordicesima, che dà su un muro di mattoni. Cosa ci sarà oltre quella porta? Un giorno Coraline scopre che al di là della porta si apre un corridoio scuro, e alla fine del corridoio c’è una casa identica alla sua, con una donna identica a sua madre. O quasi.

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— Ah, ma lei ti terrà qui finché i giorni non diventeranno polvere, le foglie cadranno e gli anni passeranno uno dopo l’altro come il tic-tac tic-tac di un orologio.

— No — disse Coraline. — Non lo farà.

A quel punto, nella stanza dietro lo specchio cadde il silenzio.

— Se per caso — disse una voce nel buio — riuscirai a riprenderti la tua mamma e il tuo papà, potrai anche liberare le nostre anime.

— Le ha prese lei? — domandò Coraline, sconvolta.

— Sì. E le ha nascoste.

— Ecco perché non siamo potuti andare via di qui, quando siamo morti. Lei ci ha trattenuti e si è nutrita di noi finché non c’è rimasto niente, solo pelli di serpente e carcasse di ragno. Ritrova i nostri cuori segreti, giovane signora.

— E a voi cosa succederà, se ci riuscirò? — domandò Coraline.

Le voci non dissero nulla.

— E lei cosa mi farà? — aggiunse Coraline.

Le pallide figure pulsavano debolmente; Coraline immaginò che fossero solo immagini residue, come il bagliore che ti lascia negli occhi una luce sfolgorante, subito dopo che le luci si sono spente.

— Non fa male — sussurrò una flebile voce.

— Lei ti prenderà la vita, tutto quello che sei e tutto quello a cui tieni, e ti lascerà solo nebbia e foschia. Ti porterà via la gioia. E un giorno ti sveglierai e anche il tuo cuore e la tua anima non ci saranno più. Sarai solo un involucro, un fuscello, della consistenza di un sogno al risveglio, o del ricordo di qualcosa di dimenticato.

— Vuota — sussurrò la terza voce. — Vuota, vuota, vuota, vuota, vuota.

— Devi fuggire — sospirò una voce, debolmente.

— Non ci penso proprio — disse Coraline. — Ci ho provato a scappare, ma non ha funzionato. Lei si è presa i miei genitori. Mi potete dire come si fa a uscire da questo stanzino?

— Se lo sapessimo, te lo diremmo.

— Poverini — disse Coraline fra sé e sé.

Quindi si sedette. Si tolse il maglione, lo arrotolò e se lo mise dietro la testa, come cuscino. — Non mi terrà al buio per sempre — disse. — Mi ha portato qui perché giochi con lei. «Giochi e sfide» mi ha detto il gatto. Qui dentro, al buio, non sono un granché come sfida. — Cercò di mettersi comoda, contorcendosi per entrare meglio in quello spazio angusto. Il suo stomaco brontolava. Mangiò l’ultima mela a piccolissimi morsi, facendola durare il più a lungo possibile. Quando l’ebbe finita, aveva ancora fame. A quel punto le venne un’idea, e bisbigliò: — Quando lei verrà per farmi uscire, perché voi tre non venite con me?

— Magari fosse possibile — le risposero con un sospiro le voci appena percettibili. — Ma lei ha i nostri cuori. Adesso apparteniamo al buio e ai luoghi vuoti. La luce ci farebbe avvizzire, ci brucerebbe.

— Oh — esclamò Coraline.

Poi chiuse gli occhi, cosa che fece diventare l’oscurità ancora più scura, appoggiò la testa sul maglione arrotolato e cercò di addormentarsi. Mentre prendeva sonno, ebbe la sensazione di avvertire un tenero bacio fantasma sulla guancia, e una vocina che le sussurrava nell’orecchio, una voce talmente debole che era come se non ci fosse, un delicato e lieve nulla di voce, così sommesso che Coraline poteva quasi giurare di averlo immaginato.

— Guarda attraverso il sassolino — le disse la voce. E lei si addormentò.

VIII

L’altra madre sembrava più in forma che mai: aveva un lieve rossore sulle guance, e i capelli si muovevano come pigri serpenti in una giornata tiepida. I neri occhi-bottone sembravano lucidati di fresco.

Attraversò lo specchio come se non fosse più solido dell’acqua e abbasso lo sguardo su Coraline. Poi aprì la porta con la chiavetta d’argento. Prese in braccio Coralme, proprio come faceva la sua vera mamma quando lei era molto più piccola, cullando la bambina semiaddormentata come se fosse un bebè.

L’altra madre portò Coralme in cucina e la mise giù, molto delicatamente, sul ripiano.

Coraline fece fatica a risvegliarsi, cosciente solo per un istante di essere stata abbracciata e amata, ma non del tutto soddisfatta; poi capì dove si trovava, e in compagnia di chi.

— Ecco la mia dolce Coraline — disse la sua altra madre. — Sono venuta a tirarti fuori dall’armadio. Avevi bisogno di una bella lezione, ma qui noi stemperiamo la giustizia con la misericordia, amiamo il peccatore e odiamo il peccato. Ora, se tu sarai una brava bambina che vuole bene alla sua mamma, se sarai obbediente e non mi risponderai male, io e te ci capiremo alla perfezione e altrettanto alla perfezione ci vorremo bene.

Coraline si stropicciò gli occhi assonnati.

— Là dentro c’erano altri bambini — disse. — Vecchi, di tanto tempo fa.

— Ah, c’erano? — disse l’altra madre. Era indaffarata tra le pentole e il frigo, e stava tirando fuori uova e formaggi, burro e un pezzo di bacon rosa affettato.

— Sì — disse Coraline. — C’erano. Credo che tu avessi in mente di ridurmi come loro. Un guscio morto.

L’altra madre sorrise affettuosamente. Con una mano rompeva le uova nella terrina, con l’altra le sbatteva. Poi mise in una padella una noce di burro che sibilò e sfrigolò, mentre lei affettava dei pezzettini di formaggio. Versò poi sul burro fuso il formaggio e l’uovo sbattuto, e riprese a mescolare il composto.

— Credo che tu stia dicendo una sciocchezza, tesoro — disse l’altra madre. — Io ti voglio bene. E te ne vorrò sempre. E nessuno che sia minimamente ragionevole crede ai fantasmi. Sono tutti dei gran bugiardi. Senti che buon profumo ha la splendida colazione che sto preparando per te. — Versò il composto giallo in una padella. — Omelette al formaggio. La tua preferita.

A Coraline venne l’acquolina in bocca. — A te piacciono i giochi — le disse. — È così che mi hanno detto.

I neri occhi dell’altra madre brillarono. — A tutti piacciono i giochi — fu tutto ciò che disse.

— Eh già — disse Coraline. Scese giù dal ripiano e si sedette al tavolo della cucina.

Il bacon crepitava e sfrigolava sulla piastra. L’odore era fantastico.

— Non saresti contenta di batterti onestamente, rispettando le regole? — le domandò Coraline.

— Può darsi — replicò l’altra madre. La sua espressione sembrava indifferente, ma le dita si contorcevano e tamburellavano, e lei si leccava le labbra con quella sua lingua scarlatta. — Cosa mi stai offrendo, per la precisione?

— Me — disse Coraline, afferrandosi le ginocchia che le tremavano sotto il tavolo. — Se perdo, resterò qui per sempre e ti concederò di volermi bene. E sarò la più rispettosa e ubbidiente delle figlie. Mangerò quello che mi preparerai e giocherò a carte. E ti permetterò di cucirmi i bottoni sugli occhi.

L’altra madre la guardò fissamente, con i neri bottoni che non battevano ciglio. — Mi sembra ottimo — disse. — E se non perdi?

— Allora mi lascerai andare. Lascerai andare tutti: i miei veri genitori, i bambini morti, tutti quelli che tieni qui in trappola.

L’altra madre tolse il bacon dalla piastra e lo mise su un piatto. Quindi fece scivolare le uova dalla padella nel piatto, facendole saltare e dando al composto la forma perfetta di una omelette.

Mise la colazione davanti a Coraline, insieme a un bicchiere di spremuta d’arancia appena fatta e a una tazza di spumosa cioccolata calda.

— Sì — disse. — Credo che questo gioco mi piaccia. Ma come funziona? Saranno indovinelli? Una prova di conoscenza? O di abilità?

— Un gioco di esplorazione — suggerì Coraline. — Un gioco trova-tutto.

— E cosa credi di trovare in questo gioco a nascondino, Coraline Jones?

Coraline esitò. — I miei genitori — disse poi. — E le anime dei bambini che sono dietro io specchio.

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