Terry Pratchett - Il colore della magia

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In un angolo remoto dell’universo in una piega isolata del tempo, esiste l’incredibile mondo Disco la cui forma è perfettamente conforme al proprio nome: è infatti un gigantesco disco che le più recenti teorie astronomiche in voga sul pianeta vogliono sorretto da quattro magici elefanti ritti in piedi sul dorso di una cosmica tartaruga (il cui sesso è tuttavia ancora ignoto). La superficie superiore di Disco ospita numerosi regni e varie razze di abitanti, ma la leggenda vuole che anche sul lato inferiore del pianeta esistano terre abitate, ovvero il mitico continente Contrappeso. La leggenda diventa realtà quando nella città di Ankh-Morpork arriva un inatteso visitatore dal continente misterioso: è l’ingenuo e ricchissimo Duefiori, sempre seguito fedelmente dal suo forziere ricco di tesori e di decine di zampette, e ben deciso a godersi una meritata vacanza in veste di turista. Ma fra i troll e i tagliagole che abbondano in città un ricco forestiero può avere vita breve, e un incidente diplomatico va evitato in ogni modo. Al mago Rincewind tocca dunque il compito dì guidare e proteggere l’incauto turista… un’impresa alquanto pericolosa, per non dire disperata.

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— Guarda l’orizzonte — rispose Scuotivento con voce monotona.

Duefiori ubbidì. — A me pare a posto — replicò dopo un po’. — Ammetto che sia meno esteso di quanto dovrebbe, ma…

— È a causa del Rimfall. Siamo trascinati oltre il bordo del mondo.

Seguì un lungo silenzio, rotto soltanto dallo sciacquio delle onde, mentre la nave che affondava roteava lentamente nella corrente, che si era fatta molto forte.

— Probabilmente ecco la ragione per cui abbiamo urtato la scogliera — aggiunse il mago. — Siamo stati trascinati fuori rotta durante la notte.

— Vuoi mangiare qualcosa? — gli chiese l’ometto che cominciò a frugare nel fagotto che aveva legato al parapetto, per ripararlo dall’umidità.

— Non capisci? — scattò Scuotivento. — Stiamo andando oltre il Bordo , accidentaccio!

— Non possiamo farci niente?

— No.

— Allora non vedo che senso c’è a lasciarsi prendere dal panico.

— Lo sapevo che non avremmo dovuto spingerci tanto lontano in questa direzione — si lamentò Scuotivento con gli occhi rivolti al cielo. — Vorrei…

— Io vorrei avere la mia scatola a immagini — disse Duefiori — ma è rimasta su quella nave di schiavi con il resto del Bagaglio e…

— Dove stiamo andando non avrai bisogno di bagaglio. — Scuotivento, avvilito, contemplò una balena distante, che sbadatamente si era persa nella corrente e adesso stava lottando per non farsi trascinare oltre il bordo.

All’orizzonte raccorciato c’era una linea bianca e al mago parve di udire un rombo lontano.

— Che accade quando una nave oltrepassa il Rimfall? — chiese Duefiori.

— Chi lo sa?

— Be’, in questo caso forse veleggeremo nello spazio e approderemo in un altro mondo. — Negli occhi dell’ometto brillò uno sguardo nostalgico. — Mi piacerebbe — concluse.

Scuotivento si limitò a sbuffare.

Il sole salì alto nel cielo; così vicino al Bordo sembrava notevolmente più grande. I due compagni, con la schiena appoggiata all’albero maestro, erano immersi nei loro pensieri. Ogni tanto, l’uno o l’altro prendeva un bugliolo e, senza apparente ragione, aggottava svogliatamente.

Intorno a loro il mare si faceva affollato. Alla loro altezza fluttuavano numerosi tronchi d’albero e, proprio sotto la superficie, l’acqua pullulava di pesci di ogni tipo. Il che era naturale, dato che la corrente doveva abbondare di cibo spazzato via dai continenti prossimi al Centro. Scuotivento cercò d’immaginare che vita poteva essere, se costretti a nuotare tutto il tempo per restare esattamente nello stesso posto. Molto simile alla sua, decise. Scorse una piccola rana verde che annaspava disperatamente, nella morsa inesorabile della corrente. Davanti allo stupefatto Duefiori. trovò un remo e lo tese al piccolo anfibio, che ci si arrampicò, grato. Un attimo dopo, spuntarono dall’acqua due mandibole che scattarono impotenti verso il punto dove l’animale aveva nuotato.

La rana, che Scuotivento teneva in mano, lo guardò e gli azzannò un pollice, pensierosa. Duefiori ridacchiò. Il mago si ficcò la rana in tasca e finse di non avere udito.

— Molto umanitario, ma perché? — disse l’ometto. — Tra un’ora sarà tutto lo stesso.

— Perché — disse vagamente Scuotivento e si mise ad aggottare. Ora la corrente era così forte che le onde si rompevano tutto intorno a loro tra spruzzi di schiuma. Il caldo era innaturale e sul mare si stendeva una caligine dorata.

Il rombo si faceva più forte. Una seppia, più grande di quanto avesse mai visto prima Scuotivento, spuntò dall’acqua a qualche centinaio di metri, agitando frenetica i tentacoli prima di risprofondare. Un’altra creatura, grossa e fortunatamente non identificabile, ululò nella nebbia. Un’intera squadra di pesci volanti balzò su in una nuvola di goccioline iridate, riuscì a percorrere qualche metro prima di ricadere nell’acqua ed essere spazzata via in un vortice.

Stavano correndo fuori dal mondo. Scuotivento lasciò cadere il bugliolo e si aggrappò all’albero maestro. La fine ultima di tutto precipitava rombando incontro a loro.

Un oggetto duro e resistente urtò lo scafo che ruotò di novanta gradi e finì di lato all’invisibile ostacolo. Quindi si arrestò d’improvviso e una valanga d’acqua si abbatté sul ponte, tanto che per qualche secondo Scuotivento si trovò sommerso da parecchi centimetri di ribollente acqua verde. Si mise a gridare e poi il mondo sommerso divenne di color porpora acceso che prelude alla perdita dei sensi, perché fu in quel momento che Scuotivento cominciò ad affogare.

Si svegliò con la bocca piena di liquido bruciante e, quando lo ingoiò, il dolore lacerante nella gola lo fece rinvenire di colpo.

Sentiva la schiena premuta sull’orlo di una barca e vedeva Duefiori guardarlo con espressione preoccupata. Con un gemito si rizzò a sedere.

Questo si rivelò uno sbaglio: il bordo del mondo distava pochi centimetri.

Al di là, a un livello immediatamente sottostante all’orlo del Rimfall, c’era qualcosa di assolutamente magico.

A un centinaio di chilometri di distanza, bene al riparo dalla corrente e dalla sua spinta, un sambuco con le tipiche vele rosse della nave adibita al trasporto degli schiavi andava alla deriva nel crepuscolo vellutato. La ciurma, o quello che ne rimaneva, era radunata a prua intorno ai compagni che lavoravano febbrilmente a costruire una zattera.

Il capitano, un uomo tarchiato dal turbante tipico degli abitanti del Grande Nef, aveva molto viaggiato e aveva visto molti popoli strani e cose curiose, da lui poi rispettivamente fatti schiavi o rubate. La sua carriera era iniziata come marinaio sull’Oceano Disidratato, nel cuore del deserto più arido del Disco. (Sul Disco l’acqua possiede una insolita quarta proprietà, causata dal calore intenso combinato con gli strani effetti disseccanti della luce dell’ottarino: si disidrata, lasciando un residuo argenteo simile a sabbia fluida attraverso la quale uno scafo ben disegnato può scivolare agevolmente. L’Oceano Disidratato è un posto strano, ma non così strano come i suoi pesci). Ma prima il capitano aveva avuto realmente paura. Adesso era terrorizzato.

— Non sento nulla — borbottò rivolto al nostromo.

Il nostromo scrutò nella semioscurità.

— Forse è caduto in mare? — suggerì speranzoso. Quasi in risposta alla sua domanda, da sotto coperta venne il rumore di colpi furiosi e di legno spezzato. Gli uomini dell’equipaggio si strinsero timorosi gli uni agli altri e brandirono le accette e le torce.

Probabilmente non avrebbero osato servirsene, anche se il Mostro gli si fosse avventato contro. Prima di rendersi conto della sua terribile natura, diversi uomini lo avevano attaccato con le accette; dopodiché quello aveva smesso la sua ostinata perlustrazione della nave e li aveva inseguiti buttandoli a mare o li aveva… mangiati ? Il capitano non ne era sicuro. La Cosa aveva l’aspetto di un comune baule da marinaio. Un po’ più largo del solito, forse, ma nulla di sospetto. Ma mentre a volte sembrava contenere cose come vecchie calzette e oggetti vari, altre volte (il capitano rabbrividì) sembrava essere, sembrava avere… Cercò di non pensarci. Probabilmente gli uomini affogati erano stati più fortunati di quelli catturati. Il capitano cercò di non pensarci. Aveva visto dei denti , denti simili a bianche pietre tombali, e una lingua rossa come il mogano…

Cercò di non pensarci. Non ci riuscì. Ma a una cosa pensò con amarezza. Quella era l’ultima volta che lui salvava uomini ingrati sul punto di affogare, in circostanze misteriose. La schiavitù era meglio dei pescecani, no? Poi quelli erano scappati e quando i suoi marinai avevano ispezionato il loro grosso baule… Come mai erano apparsi in mezzo a un oceano calmo, seduti su un grosso baule… che aveva…? Cercò di non pensarci, ma senza volerlo si chiese che cosa sarebbe successo quando quella maledetta cosa si fosse resa conto che il suo proprietario non si trovava più a bordo.

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