— Dove sono? — domandò il mago. — Nel ventre di un drago? Il giovane si accovacciò e gli spinse sotto il naso una piccola scatola nera. Gli altri quattro si abbassarono.
— Che cos’è? — disse Scuotivento. — Una scatola a immagini? — Allungò una mano e la prese, con una mossa che sembrò sorprendere l’altro il quale gridò e cercò di strappargliela. Risuonò un altro grido, questa volta da uno degli uomini seduti. Solo che ora non era seduto, ma in piedi e puntava contro il giovane un piccolo oggetto metallico.
L’effetto fu sorprendente. L’uomo arretrò, con le mani alzate.
— Per piacere datemi la bomba, signore — disse l’uomo dall’oggetto metallico. — Con cautela, prego.
— Questo coso? Eccovelo! lo non lo voglio! — L’uomo lo prese con la massima precauzione e lo depose a terra. Gli altri tre si rilassarono e uno di loro cominciò a parlare con il muro in toni concitati. Il mago, sbalordito, lo contemplava.
— Non muovetevi! — scattò l’uomo dall’ogget… Un amuleto, decise Scuotivento, doveva essere un amuleto. L’uomo dalla carnagione scura si spostò in un angolo.
— È stato molto coraggioso da parte vostra — disse a Scuotivento il Detentore dell’Amuleto. — Lo sapete?
— Cosa?
— Che cos’ha il vostro amico?
— Amico?
Duefiori stava ancora dormendo tranquillo. Questa non era una sorpresa. Ciò che era realmente sorprendente era che indossava vestiti nuovi. Vestiti strani. Le brache gli arrivavano sopra le ginocchia e portava una specie di camiciola a righe vivaci; sulla testa un ridicolo cappeliuccio di paglia. Con una piuma.
Una strana sensazione a livello delle ginocchia fece abbassare gli occhi a Scuotivento. Anche i suoi vestiti erano cambiati. Invece della vecchia e comoda tunica, così meravigliosamente adatta all’azione veloce in ogni possibile circostanza, le sue gambe erano paludate in due tubi di stoffa. Indossava una giacchetta dello stesso tessuto grigio…
Fino a quel momento non aveva mai udito il linguaggio usato dall’uomo con l’amuleto. Era rozzo e ricordava vagamente quello della regione centrale, l’hublandico… quindi, come mai adesso ne capiva ogni parola?
Vediamo, erano improvvisamente apparsi in questo drago, si erano materializzati in questo dra… improvv… loro… loro… avevano intrecciato una conversazione nell’aeroporto così naturalmente che avevano deciso di sedere vicino nell’aeroplano, e lui aveva promesso di fare da cicerone a Jack Duefiori quando fossero tornati negli Stati Uniti. Sì, era proprio così. E poi Jack si era sentito male e lui si era messo paura ed era arrivato lì e aveva sorpreso il dirottatore. Naturalmente. Che diavolo mai era "Hublandico"?
Il dottore Rjinswand si stropicciò la fronte. Bere qualcosa gli avrebbe fatto bene.
Nel mare della causalità si allargarono le increspature del paradosso.
Forse il punto più importante che chiunque al di fuori della globalità del multiverso doveva tenere a mente, era il seguente: sebbene il mago e il turista fossero apparsi soltanto di recente in un aereo in volo, nello stesso preciso momento essi avevano viaggiato su quell’apparecchio ne! corso normale delle cose. E cioè: mentre era vero che essi erano appena apparsi in quel particolare insieme di dimensioni, era anche vero che ci erano vissuti da sempre. E a questo punto che il linguaggio normale si arrende, e va a bersi qualcosa.
Il punto è che si erano appena materializzati diversi quintilioni di atomi (tuttavia, così non era. Vedi più sotto) in un universo dove non avrebbero dovuto trovarsi. Normalmente ne risulta una grossa esplosione ma, dato che gli universi sono molto elastici, quel particolare universo si era salvato srotolando istantaneamente la sua sequenza spazio-tempo fin quando gli atomi eccedenti potevano essere sistemati senza pericolo, riavvolgendola poi rapidamente fino a quel cerchio luminoso che, per mancanza di un termine migliore, i suoi abitanti erano soliti chiamare il Presente. Ciò naturalmente aveva cambiato la storia: c’erano stati qualche guerra di meno, qualche dinosauro in più e così via… Ma, nell’insieme, l’episodio era trascorso molto tranquillamente.
Fuori di quel particolare universo, tuttavia, le ripercussioni dell’improvvisa reazione ritardata rimbalzarono avanti e indietro sulla superficie della Somma delle Cose, piegando intere dimensioni e affondando galassie senza lasciare traccia.
Tutto questo, comunque, era totalmente estraneo al Dottor Rjinswand, trentatré anni, scapolo, nato in Svezia, cresciuto nel New Jersey, specialista dei fenomeni di ossidazione da scollamento di certi reattori nucleari. In ogni modo, probabilmente lui non ne avrebbe creduto una parola.
Duefiori era ancora senza conoscenza. La hostess, che aveva accompagnato Rjinswand al suo posto tra gli applausi degli altri passeggeri, era china ansiosamente su di lui.
— Abbiamo comunicato via radio — informò Rjinswand. — Un’ambulanza ri aspetterà all’atterraggio. Sulla lista dei passeggeri figurate come un dottore…
— Non so cosa abbia — si affrettò a rispondere Rjinswand. — Certo, sarebbe diverso se lui fosse un reattore Magnox. Si tratta di uno shock?
— Io non ho mai…
La sua frase terminò in un tremendo fragore proveniente dal fondo dell’aereo. Alcuni passeggeri gridarono. Un improvviso soffio d’aria fece turbinare nella corsia giornali e riviste.
Qualcos’altro avanzava nel passaggio. Un oggetto grosso oblungo di legno cerchiato d’ottone. Aveva centinaia di gambette. Ed era ciò che sembrava. Una cassa che si muoveva, del tipo che compare nelle storie di pirati, zeppa di oro e gioielli guadagnati illecitamente… Poi, ciò che avrebbe dovuto essere il coperchio si spalancò d’improvviso.
Non c’erano gioielli. Ma c’era una quantità di grossi denti quadrati, bianchi come il sicomoro, e una lingua palpitante, rossa come il mogano.
Un vecchio bagaglio stava venendo a mangiarlo.
Rjinswand si strinse all’ignaro Duefiori per trovare conforto. Desiderò fervidamente di trovarsi altrove…
Una repentina oscurità.
Un lampo brillante.
L’improvvisa partenza di diversi quintilioni di atomi da un universo dove non avevano alcun diritto di essere causò un violento squilibrio nell’armonia della Globalità che essa cercò freneticamente di ristabilire e, così facendo, cancellò un certo numero di subrealtà. Ondate enormi di magia allo stato puro ribollirono incontrollate intorno alle fondamenta stesse del multiverso e fuoriuscirono da ogni crepaccio nelle dimensioni fino allora pacifiche, causando nove, supernove, collisioni stellari, voli impazziti di oche e l’affondamento di continenti immaginari. Mondi lontani quanto l’altro termine del tempo videro brillanti tramonti di corrusco ottarino mentre volteggiavano nell’atmosfera particelle cariche di magia. Nell’alone cometario che circonda il favoloso Sistema Ghiacciato di Zeret una nobile cometa si spegneva mentre un principe fiammeggiava nel cielo.
Tutto questo, però, andò perduto per Scuotivento: tenendo stretto alla vita l’inerte Duefiori, il mago precipitava verso il mare del Disco a parecchie centinaia di metri più in basso. Neppure le convulsioni di tutte le dimensioni potevano infrangere la ferrea Legge della Conservazione dell’Energia, e il breve viaggio in aereo di Rjinswand era bastato per trasportarlo di parecchie centinaia di chilometri in linea orizzontale e di oltre duemila in linea verticale.
La parola "aereo" risplendette e si spense nella mente di Scuotivento.
Era una nave quella laggiù?
Le fredde acque del Mare Circolare gli balzarono incontro e lo risucchiarono nel loro verde abbraccio soffocante. Un attimo dopo vi fu un altro tonfo e il bagagliaio, con ancora l’etichetta dalla potente scritta runica TWA, sprofondò anch’esso nel mare.
Читать дальше