Terry Pratchett - L’arte della magia
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- Название:L’arte della magia
- Автор:
- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:1991
- Город:Milano
- ISBN:88-04-35085-7
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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I maghi, questo, non lo avrebbero mai saputo. Se gli capitava di entrare nella mente di un’altra creatura, lo facevano come un ladro; non per malvagità, ma semplicemente perché non contemplavano l’idea di farlo in un altro modo, scervellati buoni a nulla quali erano. E che vantaggio ci sarebbe stato ad assumere il corpo di un gufo? Volare era impossibile, ci sarebbe voluta una vita per impararlo. Il modo migliore era introdursi nella sua niente e guidarla con garbo, così come fa la brezza leggera con una foglia.
Il gufo si mosse, volò sul piccolo davanzale e scivolò silenzioso nella notte.
Le nuvole si erano diradate e uno spicchio di luna faceva risplendere le montagne. Guardando attraverso gli occhi del gufo, la Nonnina passava veloce attraverso le fila degli alberi. Una volta imparato, era quello l’unico modo di viaggiare! Lei amava più di tutti prendere a prestito gli uccelli e usarli per esplorare le alte valli nascoste dove nessuno andava, i laghi segreti tra i neri dirupi, i minuscoli campi recintati negli scampoli di terreno pianeggiante, incastonati sulle superfici rocciose, proprietà di esseri occulti e misteriosi. Una volta aveva volato con le oche che a primavera e in autunno attraversavano le montagne, e si era presa lo spavento più grande della sua vita quando aveva quasi oltrepassato il raggio consentito per ritornare.
Il gufo sbucò fuori della foresta e sorvolò i tetti del villaggio per andare a posarsi, sollevando uno spruzzo di neve, sul melo più grande nell’orto del fabbro. Il tronco era tutto ricoperto di vischio.
Seppe di essere nel posto giusto non appena le sue zampe toccarono la corteccia. L’albero era irritato per la sua presenza, lei sentiva che cercava di respingerla.
"Io non me ne vado" pensò.
Nel silenzio della notte l’albero disse: "Fai pure la prepotente, allora, solo perché sono un albero. Tipico di una donna".
"Almeno ti stai rendendo utile" pensò la Nonnina. "Meglio un albero di un mago, no?"
"Non è una brutta vita" pensò l’albero. "Sole. Aria fresca. Tempo per riflettere. In primavera anche le api."
Nel suo modo di pronunciare "api" c’era una nota lasciva che quasi indusse la Nonnina (la quale aveva diversi alveari) a rinunciare all’idea del miele. Era come ricordarsi che le uova erano pulcini non nati.
"Sono venuta per la bambina, Esk" sibilò.
"Una bambina promettente" pensò l’albero. "La osservo con interesse. Inoltre, le piacciono le mele."
"Bestia che non sei altro" esclamò scioccata la Nonnina.
"Che ho detto? Scusami se non mi esprimo bene."
La vecchia strega scivolò più vicina al tronco.
"Devi lasciarla andare" pensò. "La magia comincia a manifestarsi."
"Di già? Sono impressionato."
"È il genere di magia sbagliato!" protestò lei. "È la magia di un mago, non la magia delle donne! Lei ancora non sa di che si tratta, ma la sua magia stanotte ha fatto morire un branco di lupi!"
"Grandioso!", esclamò l’albero.
La Nonnina urlò furente: "Grandioso? Supponiamo che avesse discusso con i fratelli e fosse andata in collera, eh?"
L’albero si scrollò e dai suoi rami venne giù una cascata di fiocchi di neve.
"Allora devi insegnarle."
"Insegnarle? Che ne so io della formazione dei maghi."
"Allora mandala all’università."
"È una femmina" protestò la Nonnina, saltellando sul suo ramo.
"E con questo? Chi dice che le donne non possano diventare maghi?"
La vecchia esitò. Era come se l’albero avesse chiesto perché i pesci non possono essere uccelli. Tirò un gran respiro e fece per parlare. Ma si arrestò. Sapeva che la risposta esisteva, una risposta tagliente, incisiva, fulminante e soprattutto una risposta lapalissiana. Solo che, cosa estremamente irritante, non le riusciva di ricordarla.
"Le donne non sono mai state dei maghi. È contro natura. Tanto varrebbe affermare che le streghe possono essere degli uomini" dichiarò alla fine.
"Se si definisce strega una che adora l’impulso pancreativo, che venera, cioè, il fondamentale…" cominciò l’albero e andò avanti per parecchi minuti. Nonnina Weatherwax ascoltò con crescente impazienza frasi come "Dee Madri" e "culto primitivo della luna". Lei sapeva benissimo cosa significava essere una strega: conoscere tutto delle erbe e del malocchio, andarsene in giro di notte a volare e, più in generale, essere fedeli alla tradizione. Certamente non implicava avere a che fare con le dee, che fossero madri o no, le quali si dilettavano di certi giochetti assai dubbi. E quando l’albero si mise a parlare di "ballare nude", lei cercò di non ascoltarlo. Infatti, pur rendendosi conto che da qualche parte, sotto il suo complicato strato di gonne e sottogonne, ci doveva essere della pelle, ciò non voleva dire che lei approvasse la cosa.
L’albero terminò il suo monologo.
La Nonnina aspettò finché non fu sicura che quello non avrebbe aggiunto altro, e chiese: "Questa è arte magica, vero?".
"La sua base teorica, sì."
"Voi maghi vi fate di sicuro delle strane idee."
L’albero ribatté: "Non sono più un mago, soltanto un albero".
La Nonnina arruffò le penne. "Bene, stammi a sentire, signor Albero alias Base Teorica, se le donne fossero destinate a essere dei maghi allora sarebbero capaci di farsi crescere lunghe barbe bianche e lei non diventerà un mago, è chiaro?, l’arte dei maghi non è il modo giusto di usare la magia, mi senti?, consiste soltanto di luci e fuoco e pasticciare con le polveri e lei non farà niente del genere e buonanotte a te".
Il gufo abbandonò il ramo. Se la Nonnina non tremava dalla rabbia era soltanto perché il volo ne avrebbe risentito. Maghi! Parlavano troppo e appuntavano gli incantesimi nei libri come fossero state farfalle. Ma, quel che era peggio, erano convinti che la loro fosse l’unica magia degna di essere praticata.
Di una cosa lei era assolutamente certa. Mai le donne erano state maghi e non avrebbero cominciato a esserlo proprio ora.
Tornò al cottage che la notte cominciava a impallidire. Dopo il sonnellino nel fieno, almeno si sentiva il corpo riposato e aveva sperato di trascorrere qualche ora nella poltrona a dondolo a mettere in ordine i suoi pensieri. Era quello il momento, quando la notte non era ancora terminata ma il giorno non del tutto iniziato, che i pensieri si presentavano chiari e precisi, senza maschera. Lei…
La verga era appoggiata alla parete, vicino alla dispensa.
La Nonnina restò immobile.
— Capisco — disse alla fine. — Allora le cose stanno così, eh? E a casa mia, per di più?
Si mosse adagio e dal cantuccio presso il focolare prese un paio di ceppi che buttò sulla brace e pompò il mantice finché le fiamme non si levarono alte nel camino.
Allora si voltò, borbottò sottovoce per precauzione qualche incantesimo protettivo, e afferrò la verga. Che non oppose resistenza, tanto che lei per poco non perse l’equilibrio. Ma adesso che la teneva in mano, ne percepiva la vibrazione, il netto e possente crepitio della sua magia. E scoppiò a ridere.
Era tutto così semplice, allora. La verga adesso non opponeva più alcuna resistenza.
Invocando una maledizione sui maghi e le loro opere, la sollevò sopra la testa e la sbatté con violenza sui ceppi, là dove il fuoco ardeva più gagliardo.
Esk mandò un grido. Il suono rimbalzò attraverso le assi della camera da letto e fendette l’aria nel cottage semibuio.
La Nonnina era vecchia e stanca e aveva la mente confusa dopo una lunga giornata. Ma sopravvivere da strega richiede l’abilità di ricorrere a misure immediate. Stava fissando la verga nelle fiamme ma, non appena udì il grido, allungò le mani ad afferrare la grossa cuccuma nera e la versò sul fuoco. Tirò la verga fuori dalla nuvola di vapore e corse su per la scala, nel timore di ciò che avrebbe potuto vedere.
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