Camuffato con il suo profumo leggero che non dava nell’occhio, una sera si mescolò agli ospiti della locanda Quatre Dauphins, e attaccò piccoli brandelli di stoffa imbevuti di olio e di grasso sotto i banchi e i tavoli e in nicchie nascoste. Qualche giorno dopo li raccolse e li esaminò. In effetti, oltre a tutte le possibili esalazioni di cucina, odori di fumo, di tabacco e di vino, avevano assorbito anche un lieve odore umano. Ma esso restava molto vago e velato, era più il sentore di un’esalazione generica che non un odore personale. Una simile aura di massa, ma più pura e intensificata nel sublime-sudaticcio, si poteva trovare nella cattedrale, dove Grenouille il 24 dicembre attaccò sotto i banchi i suoi straccetti di prova, e li riprese il 26, dopo che non meno di sette messe vi si erano depositate sopra: un orribile conglomerato di odori di sudore anale, sangue mestruale, popliti umidicci e mani contratte, frammisto al respiro emesso da mille gole che avevano cantato in coro e snocciolato avemarie, e alle esalazioni opprimenti dell’incenso e della mirra, si era condensato sugli straccetti impregnati, orribile nel suo addensamento nebuloso, privo di contorni, nauseante, e tuttavia già inconfondibilmente umano.
Il primo odore individuale Grenouille se lo procurò all’ospizio della Charité. Riuscì a trafugare il lenzuolo, destinato a essere bruciato, di un garzone valigiaio appena morto di tisi, nel quale costui era stato avvolto per due mesi. Il lenzuolo era talmente impregnato dell’unto del valigiaio, che aveva assorbito le sue esalazioni come una pasta da enfleurage, e si poté sottoporre direttamente al lavaggio. Il risultato dette qualcosa di simile a uno spettro: dal punto di vista olfattivo, sotto il naso di Grenouille il valigiaio risuscitò dalla soluzione di alcool etilico, e fluttuò per la stanza, anche se spettralmente alterato dal singolare metodo della riproduzione e dai numerosi miasmi della sua malattia, ma tuttavia discretamente riconoscibile come immagine olfattiva individuale: un uomo piccolo di trent’anni, biondo, col naso tozzo, gli arti corti, i piedi piatti simili a cera, il membro enfiato, il temperamento bilioso e l’alito insipido: non certo un bell’uomo dal punta di vista olfattivo, questo valigiaio, non degno di essere conservato oltre come quel piccolo cane. E tuttavia Grenouille lo lasciò fluttuare come spirito odoroso per una notte intera nella sua capanna, e continuò a fiutarlo, felice e profondamente soddisfatto per il potere che aveva acquisito sull’aura di un altro uomo. Il giorno seguente lo gettò via.
In quei giorni d’inverno fece un’altra prova. A una mendicante muta, di passaggio in città, diede un franco affinché portasse per un giorno sulla pelle nuda straccetti trattati con diverse misture di grasso e d’olio. Risultò che una combinazione di grasso di reni di agnello e di sego di porco e di vacca depurati più volte in proporzione due/cinque/tre, con l’aggiunta di piccole dosi di olio vergine, era la più adatta ad assorbire l’odore umano.
Con ciò Grenouille si ritenne appagato. Rinunciò a impossessarsi di un essere umano vivo nella sua totalità e a utilizzarlo per carpirgli il profumo. Una cosa simile sarebbe sempre stata rischiosa e non avrebbe procurato cognizioni nuove. Ora sapeva di possedere le tecniche per carpire l’odore di un uomo, e non era necessario provarlo ancora a se stesso.
Inoltre, l’odore umano di per sé gli era indifferente. Con surrogati poteva imitare discretamente l’odore dell’uomo. Quello che voleva, era l’odore di certi esseri umani: e cioé le creature estremamente rare che ispirano l’amore. Queste erano le sue vittime.
In gennaio la vedova Arnulfi sposò il suo primo garzone Dominique Druot, che in tal modo fu promosso Maître gantier e parfumeur. Ci fu un gran pranzo per i maestri della corporazione e uno più modesto per i garzoni; Madame acquistò un materasso nuovo per il suo letto, che ora condivideva ufficialmente con Druot, e tirò fuori dall’armadio il suo guardaroba colorato. Per il resto tutto rimase come prima. Mantenne il buon vecchio nome di Arnulfi, mantenne il patrimonio indiviso, la conduzione finanziaria della ditta e le chiavi della cantina; Druot adempiva quotidianamente i suoi doveri sessuali e poi si rinfrescava col vino; e Grenouille, sebbene ora fosse primo e unico garzone, sbrigava il grosso del lavoro che sopravveniva con lo stesso salario esiguo, lo stesso vitto modesto e lo stesso misero alloggio.
L’anno cominciò con la marea gialla delle cassie, con i giacinti, con la fioritura delle violette e con i narcotici narcisi. Una domenica di marzo — era trascorso forse un anno dal suo arrivo a Grasse — Grenouille si mise in cammino per andare a controllare lo stato delle cose nel giardino dietro il muro all’altro limite della città. Questa volta era preparato al profumo, sapeva molto bene quello che l’aspettava… e tuttavia, quando lo fiutò, già alla Porte Neuve, appena a mezza strada da quel punto accanto al muro, il cuore gli batté più forte, e sentì che il sangue gli guizzava nelle vene dalla felicità: c’era ancora, la pianta incomparabilmente bella, aveva superato indenne l’inverno, era in succhio, cresceva, si espandeva, buttava splendide infiorescenze! Il suo profumo, come si era aspettato, era diventato più intenso senza perdere in finezza. Ciò che ancora un anno prima si era diffuso con delicatezza a spruzzi e a gocce, adesso si era quasi composto in un fiume d’aroma lievemente pastoso, che s’iridava di mille colori e tuttavia fissava ogni tonalità e non la lasciava più sfuggire. E questo fiume, constatò raggiante Grenouille, si alimentava da una fonte sempre più rigogliosa. Un anno ancora, soltanto un anno, soltanto dodici mesi ancora, e questa fonte sarebbe traboccata, e lui sarebbe tornato a catturare il getto impetuoso del suo profumo.
Corse lungo il muro fino al punto conosciuto dietro a cui si trovava il giardino. Sebbene la fanciulla non fosse evidentemente in giardino, bensì in casa, in una stanza dietro a finestre chiuse, il suo aroma spirava verso il basso come una lieve brezza ininterrotta. Grenouille stava completamente immobile. Non era inebriato o stordito come la prima volta che l’aveva sentito. Era colmo del sentimento di felicità dell’amante che spia o contempla la sua adorata da lontano e sa che verrà a prenderla tra un anno per portarla con sé. Invero Grenouille, la zecca solitaria, il bruto, il mostro Grenouille, che mai aveva provato amore e mai avrebbe potuto ispirare amore, quel giorno di marzo stava accanto alle mura della città di Grasse e amava, e il suo amore lo rendeva profondamente felice.
Non amava certo un essere umano, non certo la fanciulla della casa dietro il muro. Amava il profumo. Solo quello e nient’altro, e quello soltanto perché sarebbe stato il suo. Sarebbe tornato a prenderlo fra un anno, lo giurò sulla sua vita. E dopo aver fatto questo strano voto, o promessa di fidanzamento, dopo questa promessa di fedeltà a se stesso e al suo futuro profumo, lasciò il luogo con animo lieto e rientrò in città attraverso la Porte du Cours.
La notte, steso nella sua capanna, ancora una volta richiamò il profumo dalla memoria — non poté resistere alla tentazione — e s’immerse in esso, lo accarezzò e se ne lasciò accarezzare, così intimo, così favolosamente vicino, come se già lo possedesse realmente, il suo profumo, il suo profumo personale, e lo amò in sé e amò se stesso in lui in un prezioso momento d’ebbrezza. Voleva portarsi nel sonno questo sentimento, questo innamoramento di sé. Ma proprio nel momento in cui chiuse gli occhi e già al prossimo respiro si sarebbe assopito, esso lo abbandonò, d’un tratto era scomparso e in sua vece nella stanza c’era l’odore acre e freddo della stalla delle capre.
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