Il giorno seguente si continuava con la macerazione, così si chiamava questa procedura: di nuovo si accendeva il fuoco sotto il paiolo, si faceva fondere il grasso e si gettavano dentro altri fiori freschi. Così per parecchi giorni, da mattina a sera. Il lavoro era faticoso. Grenouille aveva braccia di piombo, calli alle mani e dolori alla schiena, quando la sera tornava barcollando alla sua capanna. Druot, che era almeno tre volte più robusto di lui, non lo sostituiva neppure una volta nel rimestare, ma si limitava ad aggiungere i fiori quasi privi di peso e a badare al fuoco, e talvolta, a causa del calore, si allontanava per bere un goccio. Tuttavia Grenouille non si ribellava. Rimestava i fiori nel grasso senza lamentarsi, dalla mattina alla sera, e rimestando quasi non avvertiva la fatica, perché ogni volta era affascinato dal processo che si svolgeva sotto i suoi occhi e sotto il suo naso: il rapido appassire dei fiori e l’assorbimento del loro profumo.
Dopo un certo tempo Druot constatava che il grasso era saturo e non poteva più assorbire altro profumo. Spegnevano il fuoco, setacciavano la pesante poltiglia per l’ultima volta e la versavano in recipienti di terraglia, dove essa ben presto si solidificava in una pomata dall’aroma squisito.
Questo era il momento di Madame Arnulfi, che arrivava per esaminare il prezioso prodotto, per apporvi una scritta e per registrare nei suoi libri, con la massima precisione, il ricavato secondo qualità e quantità. Dopo aver chiuso personalmente i recipienti, averli sigillati e portati nei freschi recessi della cantina, indossava il suo abito nero, metteva il suo velo vedovile e iniziava il giro tra i commercianti e le ditte di profumo della città. Con parole toccanti descriveva ai compratori la sua situazione di donna sola, si faceva fare offerte, confrontava i prezzi, sospirava e infine vendeva… o non vendeva. Le pomate profumate, conservate al fresco, si mantenevano a lungo. E se ora i prezzi lasciavano a desiderare, chissà, forse d’inverno o nella prossima primavera sarebbero risaliti. C’era anche da riflettere se non convenisse, anziché vendere a quei bottegai, inviare per nave un carico di pomate a Genova assieme ad altri piccoli produttori, oppure associarsi a un convoglio diretto a Beaucaire per la fiera d’autunno: imprese rischiose, certo, ma estremamente redditizie in caso di successo. Madame Arnulfi soppesava con cura queste diverse possibilità, e talvolta anche le combinava, vendeva una parte dei suoi tesori, un’altra la conservava e con una terza trattava a proprio rischio. Quando comunque le sue informazioni le davano l’impressione che il mercato delle pomate fosse saturo e che il prossimo futuro non lasciasse presagire penurie di prodotto che avrebbero indotto i commercianti a ricorrere alle sue scorte, correva verso casa col velo fluttuante e incaricava Druot di sottoporre tutta la produzione a un lavaggio e di tramutarla in essence absolue.
E allora riprendevano la pomata dalla cantina, la riscaldavano con estrema cautela in recipienti chiusi, vi aggiungevano alcool etilico del più raffinato e, introducendo un agitatore che Grenouille manovrava, la rimescolavano e la sottoponevano a un lavaggio accurato. Una volta riportata in cantina, questa miscela si raffreddava rapidamente, l’alcool si separava dal grasso della pomata che via via si rapprendeva, ed era pronto per essere travasato in una bottiglia. Ora si presentava quasi come un profumo, ma estremamente intenso, mentre la rimanente pomata aveva perso la maggior parte del suo aroma. Così, ancora una volta, il profumo dei fiori si era trasmesso a un altro elemento. Tuttavia l’operazione non era ancora finita. Dopo un filtraggio accurato con garze che trattenevano anche i più piccoli grumi di grasso, Druot versava l’alcool profumato in un piccolo alambicco e lo distillava lentamente a fuoco molto moderato. Ciò che restava nella storta dopo la sublimazione dell’alcool era una quantità minima di liquido dal colore pallido, che a Grenouille era ben noto, ma di una qualità e purezza che il suo olfatto non aveva mai conosciuto né da Baldini né da Runel: l’olio puro dei fiori, il loro aroma netto, concentrato centomila volte in una piccola quantità di essence absolue. Quest’essenza non aveva più un odore gradevole. Aveva un odore quasi dolorosamente intenso, acuto e pungente. E tuttavia già solo una goccia, sciolta in un litro d’alcool, bastava a rianimare, a far risuscitare un intero campo di fiori senza profumo.
Il ricavato era minimo. Il liquido derivato dalla distillazione bastava giusto a riempire tre flaconi. Dell’aroma di centomila fiori non era rimasto altro se non tre piccoli flaconi. Ma valevano una fortuna, già lì a Grasse. E quanto più ancora, quando li spedivano a Parigi o a Lione, a Grenoble, a Genova o a Marsiglia! Alla vista di quei flaconcini Madame Arnulfi assumeva uno sguardo languido, li accarezzava con gli occhi, e quando li prendeva e li tappava con tappi di vetro debitamente smerigliato, tratteneva il respiro, per non disperdere nulla del prezioso contenuto. E affinché anche dopo la chiusura non sfuggisse neppure un atomo di profumo in esalazioni, sigillava i tappi con cera liquida e infilava una vescica di pesce sul collo della bottiglia, che poi legava saldamente con uno spago. Quindi deponeva i flaconi in una cassettina foderata d’ovatta e li metteva sotto chiave in cantina.
In aprile macerarono ginestre e fiori d’arancio, in maggio un mare di rose, il cui aroma immerse la città per un mese intero in una nebbia invisibile dolce come crema. Grenouille lavorava come un mulo. Eseguiva umilmente, con una disponibilità quasi da schiavo, tutti i lavori da subalterno che Druot gli accollava. Ma mentre con apparente ottusità rimestava, spatolava, lavava tinozze, puliva il laboratorio o andava a prendere la legna da ardere, alla sua attenzione non sfuggiva nulla dei processi fondamentali del mestiere, nulla della metamorfosi dei profumi. Con una precisione maggiore di quella che avrebbe potuto avere Druot, e cioé con il suo naso, Grenouille seguiva e sorvegliava la migrazione dei profumi dai petali dei fiori al grasso e all’alcool fino ai preziosi flaconcini. Molto prima che Druot se ne accorgesse, sentiva al fiuto quando il grasso si riscaldava troppo, sentiva quando i fiori erano esauriti, quando la poltiglia era satura di profumo, sentiva quello che succedeva dentro al recipiente di miscelatura e in quale preciso momento si doveva porre fine al processo di distillazione. E all’occasione si faceva capire, naturalmente con molto tatto e senza perdere il suo atteggiamento sottomesso. Aveva la sensazione, diceva, che ora il grasso potesse essersi scaldato troppo; pensava quasi che fra non molto si potesse filtrare; aveva un certo presentimento che ora l’alcool nell’alambicco fosse evaporato… E Druot, che a dire il vero non era proprio di un’intelligenza eccezionale, ma nemmeno del tutto stupido, con il tempo capì che le sue decisioni si dimostravano le più giuste allorché faceva o ordinava di fare appunto quello che Grenouille «pensava quasi» o di cui aveva «un certo presentimento». E poiché Grenouille non esprimeva mai in modo saputo o saccente quello che pensava o presentiva, e poiché mai — e soprattutto mai in presenza di Madame Arnulfi — avrebbe messo in dubbio anche solo con ironia l’autorità di Druot e la sua posizione preminente di primo garzone, Druot non aveva motivo di non seguire i consigli di Grenouille, anzi, con l’andar del tempo, di non affidargli sempre più potere decisionale.
Sempre più spesso Grenouille non soltanto rimestava, ma riforniva di fiori il paiolo, lo faceva scaldare e filtrava, mentre Druot spariva per fare un salto ai Quatre Dauphins a bere un bicchiere di vino o saliva da Madame per vedere se tutto era in ordine. Sapeva di potersi fidare di Grenouille. E a Grenouille, sebbene sbrigasse doppio lavoro, piaceva essere solo, perfezionarsi nella nuova arte e all’occasione eseguire piccoli esperimenti. E con immensa gioia constatò che la pomata preparata da lui era incomparabilmente più fine, che la sua essence absolue era più pura di grado di quelle che produceva assieme a Druot.
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