Patrick Süskind - Il profumo

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Jean-Baptiste Grenouille, nato il 17 luglio 1783 nel luogo più puzzolente di Francia, il Cimetière des Innocents di Parigi, rifiutato dalla madre fin dal momento della nascita, rifiutato dalle balie perché non ha l'odore che dovrebbero avere i neonati, anzi perché "non ha nessun odore", rifiutato dagli istituti religiosi, riesce a sopravvivere a dispetto di tutto e di tutti. E, crescendo, scopre di possedere un dono inestimabile: una prodigiosa capacità di percepire e distinguere gli odori. Forte di questa facoltà, di quest'unica qualità, Grenouille decide di diventare il più grande profumiere del mondo, e il lettore lo segue nel suo peregrinare tra botteghe odorose, apprendista stregone che supera in breve ogni maestro passando dalla popolosa e fetida Parigi a Grasse, città dei profumieri nell'ariosa Provenza. L'ambizione di Grenouille non è quella di arricchirsi, né ha sete di gloria; persegue, invece, un suo folle sogno: dominare il cuore degli uomini creando un profumo capace di ingenerare l'amore in chiunque lo fiuti, e pur di ottenerlo non si fermerà davanti a nulla.

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Patrick Süskind

Il profumo

Parte prima

1

Nel diciottesimo secolo visse in Francia un uomo, tra le figure più geniali e scellerate di quell’epoca non povera di geniali e scellerate figure. Qui sarà raccontata la sua storia. Si chiamava Jean-Baptiste Grenouille, e se il suo nome, contrariamente al nome di altri mostri geniali quali de Sade, Saint-Just, Fouché, Bonaparte ecc, oggi è caduto nell’oblio, non è certo perché Grenouille stesse indietro a questi più noti figli delle tenebre per spavalderia, disprezzo degli altri, immoralità, empietà insomma, bensì perché il suo genio e unica ambizione rimase in un territorio che nella storia non lascia traccia: nel fugace regno degli odori.

Al tempo di cui parliamo, nella città regnava un puzzo a stento immaginabile per noi moderni. Le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone; le stanze non aerate puzzavano di polvere stantia, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell’umido dei piumini e dell’odore pungente e dolciastro di vasi da notte. Dai camini veniva puzzo di zolfo, dalle concerie veniva il puzzo di solventi, dai macelli puzzo di sangue rappreso. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Puzzavano i fiumi, puzzavano le piazze, puzzavano le chiese, c’era puzzo sotto i ponti e nei palazzi. Il contadino puzzava come il prete, l’apprendista come la moglie del maestro, puzzava tutta la nobiltà, perfino il re puzzava, puzzava come un animale feroce, e la regina come una vecchia capra, sia d’estate sia d’inverno. Infatti nel diciottesimo secolo non era stato ancora posto alcun limite all’azione disgregante dei batteri, e così non v’era attività umana, sia costruttiva sia distruttiva, o manifestazione di vita in ascesa o in declino, che non fosse accompagnata dal puzzo.

E naturalmente il puzzo più grande era a Parigi, perché Parigi era la più grande città della Francia. E all’interno di Parigi c’era poi un luogo dove il puzzo regnava più che mai infernale, tra Rue aux Fers e Rue de la Ferronnerie, e cioé il Cimetière des Innocents. Per ottocento anni si erano portati qui i morti dell’ospedale Hôtel-Dieu e delle parrocchie circostanti; per ottocento anni, giorno dopo giorno, dozzine di cadaveri erano stati portati qui coi carri e rovesciati in lunghe fosse; per ottocento anni in cripte e ossari si erano accumulati, strato su strato, ossa e ossicini. E solo più tardi, alla vigilia della Rivoluzione Francese, quando alcune fosse di cadaveri smottarono pericolosamente e il puzzo del cimitero straripante indusse i vicini non più a semplici proteste, bensì a vere e proprie insurrezioni, il cimitero fu definitivamente chiuso e abbandonato, e milioni di ossa e di teschi furono gettati a palate nelle catacombe di Montmartre, e al suo posto sorse una piazza con un mercato alimentare.

Qui dunque, nel luogo più puzzolente di tutto il regno, il 17 luglio 1738 nacque Jean-Baptiste Grenouille. Era uno dei giorni più caldi dell’anno. La calura pesava come piombo sul cimitero e spingeva i miasmi della putrefazione, un misto di meloni marci e di corno bruciato, nei vicoli circostanti. La madre di Grenouille, quando le presero le doglie, si trovava all’esterno di un bugigattolo di pescivendolo in Rue aux Fers e stava squamando dei pesci bianchi che aveva appena sventrato. I pesci, pescati presumibilmente nella Senna la mattina stessa, puzzavano già tanto che il loro odore copriva l’odore dei cadaveri. Ma la madre di Grenouille non percepiva né l’odore dei pesci né quello dei cadaveri, perché il suo naso era in larghissima misura insensibile agli odori e a parte questo il suo corpo era dolorante, e il dolore soffocava ogni capacità di ricevere impressioni dall’esterno. Voleva una cosa sola, che il dolore finisse, voleva liquidare il più presto possibile quel parto disgustoso. Era il suo quinto. I quattro precedenti li aveva sbrigati fuori del bugigattolo di pescivendolo e tutti e quattro i bambini erano nati morti o mezzo morti, perché la carne sanguinolenta che usciva da lei non era molto diversa dalle interiora del pesce là sul banco, e la sera tutto insieme veniva spalato via e trascinato col carro al cimitero o giù al fiume. Così sarebbe andata anche oggi, e la madre di Grenouille — che era ancora una giovane donna, giusto sui venticinque, che era ancora molto carina e aveva ancora quasi tutti i denti in bocca e un po’ di capelli in testa, e tranne la gotta e la sifilide e una leggera tisi non aveva nessuna malattia grave; che sperava ancora di vivere a lungo, forse cinque o dieci anni, e forse persino di arrivare a sposarsi e avere figli veri come moglie rispettabile di un artigiano vedovo o qualcosa di simile — la madre di Grenouille avrebbe voluto che tutto fosse già passato. E quando cominciarono le doglie, si accucciò sotto il banco da macello e partorì là, come le quattro volte precedenti, e con il coltello da pescivendolo troncò il cordone ombelicale alla cosa appena nata. Ma subito dopo, a causa della calura e del puzzo, che lei non percepiva in quanto tali, bensì soltanto come qualcosa di insopportabile, che la stordiva — come un campo di gigli o una camera angusta in cui ci siano troppi narcisi — perse i sensi, si rovesciò su un fianco, scivolò da sotto il banco in mezzo alla strada e là giacque, con il coltello in mano.

Grida, un gran correre di gente, la folla in cerchio con tanto d’occhi, si chiama la polizia. La donna con il coltello in mano è ancora là sulla strada, a poco a poco ritorna in sé.

Che cosa le è successo?

«Niente.»

Che cosa fa con il coltello?

«Niente.»

Da dove viene il sangue che ha sulle gonne?

«Dai pesci.»

La donna si alza, getta via il coltello e va a lavarsi.

In quel momento, inaspettatamente, là sotto il banco la cosa appena nata comincia a urlare. Vanno a vedere, sotto uno sciame di mosche e fra interiora e teste di pesci troncate scoprono il neonato, lo tirano fuori. Lo consegnano d’ufficio a una balia, la madre è arrestata. E poiché è rea confessa, e ammette senz’altro che avrebbe di certo lasciato crepar quella cosa, come del resto ha già fatto con le quattro precedenti, le fanno il processo, la condannano per infanticidio plurimo e qualche settimana dopo le tagliano la testa in Place de Grève.

A questo punto il bambino aveva già cambiato balia tre volte. Nessuna voleva tenerlo più di qualche giorno. Era troppo vorace, dicevano, succhiava per due, sottraeva il latte agli altri poppanti e con ciò il sostentamento a loro, le balie, dal momento che un solo poppante non poteva costituire un allattamento redditizio. L’ufficiale di polizia competente, un certo La Fosse, si stancò ben presto della faccenda, e aveva già l’intenzione di far portare il bambino al luogo di raccolta per trovatelli e orfani nella periferica Rue Saint-Antoine, da dove ogni giorno partivano trasporti di bambini diretti al Grande Brefotrofio statale di Rouen. Ma poiché questi trasporti erano eseguiti da facchini per mezzo di gerle di vimini in cui per motivi di funzionalità si ficcavano fino a quattro lattanti alla volta; poiché di conseguenza il tasso di mortalità per strada era straordinariamente alto; poiché per questo motivo gli uomini con le gerle erano tenuti a trasportare soltanto lattanti "battezzati e soltanto quelli muniti di una regolare bolla di trasporto, che doveva essere poi timbrata a Rouen; poiché il piccolo Grenouille non era stato battezzato, né ancora possedeva un nome che si potesse registrare come prescritto sulla bolla di trasporto, poiché infine sarebbe stato un po’ sconveniente per la polizia deporre in incognito un bambino davanti alla porta del luogo di raccolta — sola cosa che avrebbe reso superfluo l’adempimento delle restanti formalità… — per una serie di difficoltà di natura burocratica e tecnico-amministrativa dunque, che sembravano sorgere per il trasferimento del neonato, e poiché anche il tempo stringeva, l’ufficiale di polizia La Fosse pensò bene di desistere dal suo intendimento d’origine e diede ordine di consegnare il fanciullo a qualche istituto religioso, affinché là lo battezzassero e decidessero della sua sorte.

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