All’inizio di marzo prese le sue cose e se ne andò di nascosto, una mattina di buon’ora, non appena aprirono le porte della città, con indosso una modesta giacca marrone acquistata il giorno prima al mercato degli abiti usati e un cappello logoro, che gli nascondeva metà del viso. Nessuno lo riconobbe, nessuno lo vide o lo notò, perché quel giorno aveva rinunciato di proposito a mettersi il suo profumo. E quando il marchese verso mezzogiorno intraprese ricerche, le guardie giurarono e spergiurarono che in verità avevano visto gente di qualsiasi specie lasciare la città, ma non quel famoso uomo della caverna, che sicuramente avrebbe richiamato la loro attenzione. Di conseguenza il marchese fece sapere che Grenouille aveva lasciato Montpellier col suo consenso e si era recato a Parigi per questioni familiari. Ma in cuor suo si irritò terribilmente, perché si era proposto di intraprendere una tournée con Grenouille per tutto il regno, al fine di reclutare proseliti per la sua teoria fluidale.
Dopo qualche tempo si tranquillizzò di nuovo, perché la sua fama si diffuse anche senza tournée, quasi senza il suo intervento. Comparvero lunghi articoli sul «fluidum letale Taillade» nel Journal des Savans e persino nel Courier de l’Europe, e da lontano arrivarono pazienti mortalmente infetti per farsi guarire da lui. Nell’estate del 1764 fondò la prima Loggia del Fluidum Vitale, che a Montpellier contava centoventi membri, e fondò succursali a Marsiglia e a Lione. Poi decise di arrischiare il gran salto a Parigi, per poter conquistare da là tutto il mondo civilizzato alla sua dottrina, ma prima, per sostenere la sua campagna con la propaganda, volle compiere un’altra grande impresa fluidale, che mettesse in ombra la guarigione dell’uomo della caverna come pure tutti gli altri esperimenti, e all’inizio di dicembre si fece accompagnare da un gruppo di intrepidi adepti al Pic du Canigou, che si trovava sullo stesso meridiano di Parigi ed era considerato il monte più alto dei Pirenei. Quell’uomo sulla soglia dell’età senile voleva farsi portare sulla cima alta 2800 metri e là restare esposto tre settimane alla più pura, più fresca aria vitale, per poi, annunciò, ridiscendere la vigilia di Natale come un giovane arzillo di vent’anni.
Gli adepti rinunciarono già poco prima di Vernet, l’ultimo insediamento umano ai piedi della terribile montagna. Ma il marchese non si lasciò intimorire. Liberandosi dei vestiti nel freddo gelido ed emettendo alte grida di giubilo, cominciò la salita da solo. L’ultima cosa che videro di lui fu la sua silhouette che scompariva cantando nella tempesta di neve con le braccia estaticamente levate al cielo.
La vigilia di Natale i discepoli attesero invano il ritorno del marchese de la Taillade-Espinasse. Non tornò né vecchio né giovane. Anche all’inizio dell’estate dell’anno seguente, quando i più temerari si misero alla sua ricerca e scalarono la cima del Pic du Canigou ancora innevata, non si trovò più nulla di lui, non un capo di vestiario, non una parte del corpo, non un ossicino.
Tutto questo naturalmente non danneggiò affatto la sua dottrina. Al contrario. Presto si diffuse la leggenda che si fosse unito in matrimonio sulla cima della montagna con il fluido vitale eterno, che si fosse dissolto in esso ed esso in lui, e che da allora in poi aleggiasse invisibile, ma in eterna giovinezza, sulla cima dei Pirenei: chi saliva fino a lui diventava parte di lui e per un anno era risparmiato dalla malattia e dal processo dell’invecchiamento. Fino al tardo diciannovesimo secolo la teoria fluidale di Taillade fu propugnata da parecchie cattedre di medicina e applicata come terapia in molte associazioni occulte. E ancora oggi ai due versanti dei Pirenei, cioé a Perpignan e a Figueras, esistono logge segrete di seguaci di Taillade, che s’incontrano una volta all’anno per scalare il Pic du Canigou.
Là accendono un grande fuoco: dicono in occasione del solstizio e in onore di san Giovanni, ma in realtà lo fanno per rendere omaggio al loro maestro Taillade-Espinasse e al suo grande «fluidum», e per ottenere la vita eterna.
Mentre Grenouille aveva impiegato sette anni per compiere la prima tappa del suo viaggio attraverso la Francia, portò a termine la seconda in meno di sette giorni. Non evitò più le strade animate e le città, non fece più deviazioni. Aveva un odore, aveva denaro, aveva fiducia in sé e aveva fretta.
La sera stessa del giorno in cui aveva lasciato Montpellier raggiunse Le Grau-du-Roi, un piccolo porto a sud-ovest di Aigues-Mortes, dove s’imbarcò per Marsiglia su un veliero da carico. A Marsiglia non lasciò neppure il porto, ma cercò subito una nave, che lo portò lungo la costa verso est. Dopo due giorni era a Tolone, dopo altri tre giorni a Cannes. Il resto del viaggio lo fece a piedi. Seguì un sentiero che portava a nord verso l’interno del paese, su per le colline.
Due ore dopo era in cima, e davanti a lui si stendeva un bacino di parecchie miglia, un paesaggio fatto come un’enorme conca, i cui confini tutt’attorno consistevano in colline dai morbidi pendii e in catene di montagne dirupate, mentre la vasta conca era coperta di campi appena coltivati, di giardini e di boschi di ulivi. Su questa conca c’era un clima del tutto particolare, stranamente intimo. Sebbene il mare fosse così vicino che si riusciva a vederlo dalla cima delle colline, lì non c’era nulla di marittimo, nulla di salato e sabbioso, nulla di aperto, bensì un quieto isolamento, come se la costa fosse distante molti giorni di viaggio. E sebbene verso nord si ergessero le grandi montagne, sulle quali rimaneva e sarebbe rimasta ancora a lungo la neve, lì non si avvertiva niente di rude o di stentato, e non c’erano correnti fredde. La primavera era molto più avanzata che a Montpellier. Una leggera foschia copriva i campi come una campana di vetro. Gli albicocchi e i mandorli erano in fiore, e il profumo dei narcisi si diffondeva nell’aria tiepida.
All’altro limite della grande conca, a forse due miglia di distanza, sulle ripide montagne, era adagiata, o per meglio dire incollata, una città. Vista da lontano non dava un’impressione di particolare grandiosità. Non c’era un duomo possente che svettasse al di sopra delle case, ma soltanto un piccolo cono di campanile, non c’era una rocca dominante né un edificio sfarzoso che colpisse l’attenzione. Le mura apparivano tutt’altro che imponenti, qua e là le case sporgevano fuori della loro cerchia, soprattutto in basso verso la pianura, e conferivano a tutto il circondario un aspetto un po’ logoro. Era come se quel luogo fosse stato già troppe volte conquistato e poi sbloccato dall’assedio, come se fosse stanco di continuare a opporre una vera e propria resistenza nei confronti di intrusi futuri… ma non per debolezza, bensì per indolenza o addirittura per un senso di potenza. Era come se non sentisse la necessità di far sfoggio di sé. Dominava la grande conca profumata ai suoi piedi, e questo sembrava bastargli.
Quel luogo insignificante e nel contempo consapevole di sé era la città di Grasse, da alcuni decenni incontestata metropoli della produzione e del commercio di sostanze odorose, articoli di profumeria, saponi e olii. Giuseppe Baldini aveva sempre pronunciato il suo nome con estasi rapita. Quella città era la Roma dei profumi, la terra promessa dei profumieri, e chi non si era guadagnato i galloni a Grasse non portava a buon diritto il nome di profumiere.
Grenouille guardò la città di Grasse con occhi spassionati. Non cercava la terra promessa della profumeria, non si sentiva allargare il cuore alla vista del nido incollato lassù sui pendii. Era venuto perché sapeva che lì si potevano imparare alcune tecniche per estrarre il profumo meglio che altrove. E di queste voleva impossessarsi, perché gli servivano per i suoi scopi. Prese dalla tasca il flacone con il suo profumo, se lo picchiettò addosso con parsimonia e si mise in cammino. Dopo un’ora e mezzo, verso mezzogiorno, era a Grasse.
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