L’arte del profumo aveva una vecchia tradizione a Montpellier, e sebbene negli ultimi tempi fosse un po’ decaduta rispetto a Grasse, città concorrente, c’erano validi maestri profumieri e guantai in città. Il più stimato tra loro, un certo Runel, considerando le relazioni commerciali con la casa del marchese de la Taillade-Espinasse, al quale forniva saponi, olii e sostanze aromatiche, si dichiarò pronto alla concessione straordinaria di cedere per un’ora il suo laboratorio al singolare garzone profumiere parigino arrivato in portantina. Costui non si fece spiegare nulla, non volle sapere nulla su dove e come trovare le cose, se ne intendeva, disse, si sarebbe arrangiato: si chiuse in laboratorio e vi rimase per un’ora buona, mentre Runel con il maggiordomo del marchese si recò in un’osteria a bere un paio di bicchieri di vino, e là dovette apprendere il motivo per cui non era più possibile annusare il profumo della sua acqua di viole.
Il laboratorio e il negozio di Runel non erano certo riforniti con la dovizia di mezzi che caratterizzava a suo tempo il negozio di sostanze odorose di Baldini a Parigi. Con il poco che c’era di olii di fiori, di acque e di spezie, un profumiere medio non avrebbe potuto fare grandi cose. Tuttavia Grenouille, al primo fiuto, capì che le sostanze presenti erano più che sufficienti per i suoi scopi. Non voleva creare un grande profumo; non voleva miscelare un’acquetta di prestigio, come aveva fatto un tempo per Baldini, qualcosa che emergesse dal mare della mediocrità e ammansisse la gente. E neppure un semplice profumino di fiori d’arancio, come aveva promesso al marchese, era il suo vero scopo. Le comuni essenze di neroli, eucalipto e foglie di cipresso dovevano soltanto nascondere il vero profumo che si era proposto di creare: ed era il profumo dell’umano. Anche se per il momento sarebbe stato soltanto un cattivo surrogato, voleva appropriarsi dell’odore degli uomini, che lui stesso non possedeva. Certo non esisteva l ’odore degli uomini, così come non esisteva il volto umano. Ogni uomo aveva un odore diverso, nessuno lo sapeva meglio di Grenouille, che conosceva migliaia e migliaia di odori individuali e distingueva al fiuto gli esseri umani già dalla nascita. E tuttavia esisteva una nota fondamentale dell’odore umano, del resto abbastanza semplice: una nota fondamentale di sudore grasso, di formaggio acidulo, nell’insieme assolutamente disgustosa, ugualmente propria a tutti gli uomini, e al disopra della quale, più raffinate e più isolate, aleggiavano le nuvolette di un’aura individuale.
Ma quest’aura, la sigla estremamente complessa, inconfondibile dell’odore personale, era comunque impercettibile per la maggior parte degli uomini. I più non sapevano di possederla, oppure facevano di tutto per nasconderla sotto i vestiti o sotto odori artificiali alla moda. Conoscevano bene soltanto quell’aroma di fondo, quell’esalazione primitiva d’umano, in essa soltanto vivevano e si sentivano protetti, e chiunque emanasse quel nauseante effluvio comune era da essi considerato come un loro pari.
Fu uno strano profumo quello che Grenouille creò quel giorno. Fino allora non ce n’era stato mai uno più strano. Non aveva l’odore di un profumo, bensì di un uomo che ha un profumo. Se qualcuno avesse sentito questo profumo in una stanza buia, avrebbe creduto che nella stanza ci fosse un altro. E se un uomo con l’odore di un uomo l’avesse usato, all’olfatto avrebbe dato l’impressione di due uomini o, peggio ancora, di una mostruosa duplice creatura, come una figura che non si riesce più a fissare in modo netto, perché, sfocandosi, si presenta come un’immagine sulla superficie di un lago, su cui tremolano le onde.
Per imitare questo profumo umano — del tutto insufficiente, come ben sapeva, ma riuscito quel tanto da ingannare gli altri — Grenouille raccolse qua e là nel laboratorio di Runel gli ingredienti più stravaganti.
Dietro la soglia della porta che conduceva in cortile c’era un cumuletto di merda di gatto, ancora abbastanza fresca. Ne prese un mezzo cucchiaino e lo mise nella bottiglia per la miscela assieme ad alcune gocce d’aceto e a sale pestato. Sotto il tavolo da lavoro trovò un pezzetto di formaggio grande quanto l’unghia di un pollice, resto evidente di un pasto di Runel. Era già abbastanza vecchio, cominciava a decomporsi ed emanava un odore acre e pungente. Dal coperchio del barile delle sardine, che si trovava nel retrobottega, grattò via un qualche cosa che sapeva di pesce rancido, lo mescolò con uovo marcio e castoreo, ammoniaca, noce moscata, limatura di corno e cotenna di maiale ridotta in briciole minute. Vi aggiunse inoltre una porzione piuttosto consistente di zibetto, mescolò questi orridi ingredienti con alcool, fece macerare il tutto e lo filtrò in una seconda bottiglia. Il liquido emanava un odore spaventoso. Puzzava di cloaca, di putrescenza, e rimescolando la sua esalazione con una sventagliata d’aria pura, si aveva l’impressione di trovarsi in un caldo giorno d’estate in Rue aux Fers a Parigi, all’angolo con Rue de la Lingerie, dove s’incrociavano gli odori dei capannoni del mercato, del Cimetière des Innocents e delle case sovraffollate.
Su questa base atroce, che in sé aveva un odore più simile a quello di un cadavere che non di un uomo, Grenouille applicò uno strato di aromi oleosi freschi: menta, lavanda, trementina, limone acido, eucalipto, che moderò e mitigò gradevolmente con un bouquet di olii di fiori raffinati come geranio, rosa e fior d’arancio. Dopo un’ulteriore rarefazione con alcool e un po’ d’aceto, la base che costituiva tutta la miscela non aveva più un odore disgustoso. Con l’aggiunta di ingredienti freschi, il puzzo latente si era dileguato ed era divenuto impercettibile, la nota disgustosa era stata mitigata dall’aroma dei fiori, anzi era diventata quasi interessante, e, stranamente, non si percepiva più nulla della putrefazione, neppure la minima traccia. Al contrario, sembrava che il profumo emanasse un forte aroma pieno di slancio vitale.
Grenouille ne riempì due flaconi, che tappò e mise in tasca. Poi lavò accuratamente con acqua bottiglie, mortaio, imbuto e cucchiaio, li sfregò con olio di mandorle amare, per cancellare qualsiasi traccia di odore, e prese un’altra bottiglia. In essa miscelò rapidamente un altro profumo, una specie di copia del primo, anch’esso composto di elementi freschi e di parti di fiori, ma la cui base non conteneva più nulla del decotto stregonesco, bensì ingredienti convenzionali come muschio, ambra, un pizzico di zibetto e olio di legno di cedro. Preso a sé, aveva un odore totalmente diverso dal primo — più piatto, più integro, meno virulento — perché gli mancavano le componenti dell’odore imitato da quello dell’uomo. Ma quando un uomo comune lo usava ed esso si univa al suo odore personale, non era più possibile distinguerlo da quello che Grenouille aveva creato esclusivamente per sé.
Dopo aver versato anche il secondo profumo in flaconi, Grenouille si spogliò e cosparse i propri abiti con il primo profumo. Poi se lo picchiettò sotto le ascelle, tra le dita, sul sesso, sul petto, sul collo, sulle orecchie e sui capelli, si rivestì e lasciò il laboratorio.
Quando uscì per strada, fu colto da un’improvvisa paura, perché sapeva di emanare un odore umano per la prima volta in vita sua. A lui però sembrava di puzzare, di puzzare in modo assolutamente ripugnante. E non riusciva a figurarsi che altri non trovassero ugualmente ripugnante il suo odore, e non osò dirigersi subito verso l’osteria, dove Runel e il maggiordomo del marchese lo stavano aspettando. Gli sembrava meno rischioso sperimentare prima la nuova aura in un ambiente anonimo.
Scivolò per i vicoli più stretti e più bui giù verso il fiume, dove i conciatori e i tintori avevano i loro laboratori ed esercitavano il loro mestiere puzzolente. Quando incontrava qualcuno o quando passava accanto all’ingresso di una casa, dove stavano giocando bambini o erano sedute vecchie donne, si costringeva a rallentare il passo e a portarsi attorno in tal modo il proprio odore in una grande nuvola compatta.
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