«La spada!» insisté Matt.
«La spada! La spada! La spada!…» fecero coro gli altri.
Jon sfoderò Lungo artiglio e la mostrò, ruotandola in modo che potessero ammirarla. La lama del bastardo scintillò scura e letale nella pallida luce del sole. «Acciaio di Valyria» annunciò con solennità, cercando di sembrare orgoglioso e compiaciuto quanto avrebbe dovuto sentirsi.
La lama del bastardo scintillò scura e letale nella pallida luce del sole.
«Una volta ho sentito la storia di uno che aveva un rasoio d’acciaio di Valyria» disse Todder. «È finita che nel radersi, si è tagliato la testa.»
«I Guardiani della notte hanno migliaia di anni» ironizzò Pyp. «Però scommetto che Jon Snow è il primo confratello decorato per aver appiccato il fuoco al maniero del lord comandante.»
Risata generale. Perfino Jon sorrise. In realtà, il fuoco che lui aveva appiccato non aveva distrutto la formidabile struttura di pietra. Aveva però devastato il suo interno e i due piani superiori, inclusi gli alloggi del Vecchio orso. Ma nessuno sembrava essersela presa troppo: con essi era stato distrutto anche il cadavere omicida di Othor.
L’altro mostro, la cosa con una mano sola che un tempo era stata il ranger Jafer Flowers, era stato a sua volta distrutto, fatto a pezzi da non meno di una dozzina di spade… Ma non prima di aver ucciso ser Jaremy Rykker e altri quattro uomini. Ser Jaremy era riuscito a decapitare il cadavere vivente, ma anche senza testa, il corpo aveva estratto una daga e l’aveva sventrato. Coraggio e determinazione non erano sufficienti per abbattere avversari che non volevano cadere in quanto già morti. E contro quegli avversari, perfino l’armatura era di scarsa protezione.
Quel cupo pensiero incrinò il già scarso buonumore di Jon. «Devo vedere Hobb per la cena del Vecchio orso» disse bruscamente, rimettendo Lungo artiglio nel fodero. Le intenzioni di quei ragazzi erano buone, ma non capivano. Non erano stati loro a trovarsi faccia a faccia con Othor, non avevano visto il sinistro lucore azzurro dei suoi occhi, non avevano provato il tocco freddo delle sue nere dita di cadavere. E non sapevano nemmeno della guerra in corso nelle terre dei fiumi. Come potevano sperare di capire? Jon si girò di scatto e se ne andò. Pyp lo chiamò, ma lui continuò a camminare.
Dopo l’incendio, avevano spostato di nuovo il suo alloggio nella torre di Hardin. Fu là che Jon fece ritorno. Spettro dormiva di fianco alla porta, ma alzò il muso udendo il suono degli stivali. Gli occhi rossi del meta-lupo erano più splendenti dei granati e più saggi degli occhi degli uomini. Jon s’inginocchiò a grattarlo dietro un orecchio e gli mostrò il pomello della spada. «Guarda: sei tu!»
Spettro annusò la propria immagine di pietra e tentò di leccarla. Jon sorrise. «È a te che va l’onore…» E d’un tratto gli tornò nella mente il giorno in cui l’aveva trovato, nella neve della tarda estate. Stavano già allontanandosi con gli altri cuccioli, ma Jon aveva udito un suono, così era tornato indietro, aveva notato la pelliccia bianca, quasi indistinguibile tra i cumuli di neve.
“Era solo, lontano dal resto della cucciolata” pensò. “Era diverso da loro… per questo l’avevano allontanato.”
«Jon?…» Samwell Tarly lo guardava spostando a disagio l’eccessivo peso del suo corpo da un piede all’altro. Aveva le guance arrossate. Chiuso nella spessa pelliccia, pareva pronto per essere ibernato.
«Sam.» Jon si raddrizzò. «Che succede? Vuoi vedere la spada?» Come gli altri, anche Sam sapeva.
«Ero l’erede dalla spada di mio padre, un tempo.» Il ragazzo grasso scosse il capo con aria sconsolata. «Veleno del cuore, questo era il suo nome. Lord Randyll me la fece tenere in pugno, qualche volta. Ma a me faceva sempre paura. Acciaio di Valyria. Splendida, ma così affilata che temevo avrei fatto del male a una delle mie sorelle. Ora sarà mio fratello Dickon ad averla.» Si asciugò le mani sudate sulla pelliccia. «Io… ah… maestro Aemon vuole vederti, Jon.»
«Perché?» Jon fu di colpo sospettoso. Non era l’ora di cambiare la medicazione alla mano. Sam ebbe un’espressione affranta: la più esauriente delle risposte. «Gliel’hai detto, non è così?» esclamò Jon con rabbia. «Gli hai confessato di avermelo detto.»
«Io… lui… Jon, non volevo… lui mi ha chiesto… voglio dire… io penso che lui sapesse già. Vede cose che nessun altro vede…»
«È cieco» esclamò Jon disgustato. «So trovare la strada da solo.» Lo piantò lì, a bocca aperta e tremante.
«Sam dice che vuoi vedermi.» Maestro Aemon era nell’uccelliera, intento a dare da mangiare ai corvi. Con lui c’era Clydas, il quale reggeva un secchio pieno di carne tritata che distribuivano da una gabbia all’altra.
«Sam dice il vero» annuì l’anziano sapiente. «Clydas, da’ il secchio a Jon. Forse lui vorrà essere tanto gentile da assistermi.» Il confratello gobbo, dagli occhi cisposi, fece come gli era stato detto e scese la scala in fretta. «Basta che tu getti la carne nelle gabbie» gli spiegò maestro Aemon. «Gli uccelli faranno il resto.»
Jon prese il secchio con la mano destra e affondò la sinistra nei bocconi sanguinolenti. I corvi si misero a gracchiare, a lanciarsi verso le sbarre delle gabbie battendo le ali nere contro il metallo. La carne era stata affettata in bocconi non più grossi della falange di un dito. Jon ne prese una manciata e li lanciò nella gabbia. Il gracchiare e lo sbattere d’ali crebbero d’intensità. Penne scure svolazzarono quando due degli uccelli più grossi si contesero un boccone. Jon gettò dentro una seconda manciata. «Al corvo di lord Mormont piacciono la frutta e il grano» rilevò.
«Un uccello molto raro» disse il maestro. «La maggior parte dei corvi si nutrano di granaglie, ma rimane la carne quella che preferiscono. La carne li rende forti, e temo che gradiscano il gusto del sangue. In questo, corvi e uomini sono molto simili… ma, come gli uomini, i corvi non sono tutti uguali.»
Jon non trovò nulla da rispondere. Continuò a gettare carne chiedendosi per quale motivo l’avesse chiamato. A tempo debito, gliel’avrebbe detto. Maestro Aemon non era uomo al quale si potesse mettere fretta.
«Anche colombe e piccioni possono venire addestrati a portare messaggi» riprese il maestro. «Tuttavia il corvo è un volatore più valido, più grosso, più coraggioso, e molto più astuto, meglio capace di difendersi dai falchi… Eppure, i corvi sono neri e mangiano i morti, così molti uomini timorati degli dei ne sono disgustati. Baelor Targaryen il Benedetto tentò di sostituire i corvi con le colombe, lo sapevi?» Con un sorriso, i bianchi occhi del sapiente si volsero verso di lui. «Ma i Guardiani della notte continuano a preferire i corvi.»
Jon aveva la mano affondata nel secchio, lorda di sangue fino al polso. «Dywen dice che i bruti chiamano noi corvi» disse, con una vaga incertezza.
«Strano destino, quello del colore nero. Un destino fatto d’odio, d’incomprensione.»
Jon avrebbe voluto capire di che cosa stessero parlando, in realtà, e perché. A chi importava dei corvi e delle colombe? Se quel vecchio aveva qualcosa da dirgli, perché non lo diceva e basta?
«Jon, ti sei mai chiesto per quale motivo gli uomini dei Guardiani della notte non prendono moglie e non generano figli?»
Jon alzò le spalle, gettando altra carne dentro le gabbie. «No.» Le dita della sua mano sinistra erano viscide di sangue e la sua mano destra pulsava dolorosamente a causa del peso del secchio.
«Lo fanno per non amare» spiegò maestro Aemon. «L’amore è il veleno dell’onore, la morte del dovere.»
A Jon Snow questo non parve un concerto valido ma rimase in silenzio. Maestro Aemon aveva oltre cent’anni ed era un alto ufficiale dei Guardiani della notte. Non era corretto che lui lo contraddicesse.
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