Quando aveva l’età di Bran, come qualsiasi altro ragazzo, anche Jon aveva sognato di compiere grandi imprese. Di sogno in sogno, i dettagli di quelle imprese erano diversi, ma molte volte immaginava di salvare la vita di suo padre. Dopo di che, lord Eddard dichiarava che Jon aveva dato prova di essere un vero Stark e gli poneva Ghiaccio in pugno. Perfino a quei tempi, Jon sapeva che si trattava solo di una sciocca fantasia infantile: nessun bastardo avrebbe mai potuto sperare d’impugnare la spada del proprio padre. Ancora adesso, la sola memoria lo riempiva di vergogna. Quale sorta di uomo deprederebbe il proprio fratello dei suoi diritti di nascita? “Non ho mai avuto alcun diritto di avere Ghiaccio e neppure questa” pensò. Contrasse le dita bruciate e un sussulto di dolore lo scavò in profondità. «Mi rendi un grande onore, mio lord, ma…»
«Risparmiami i tuoi “ma”, ragazzo» tagliò corto lord Mormont. «Non sarei qui a parlarti se non fosse stato per te e per quella tua belva. Hai combattuto con valore, e, quello che più conta, con rapidità. Il fuoco! Ma certo, dannazione! Avremmo dovuto ricordare. La Lunga Notte è già stata su di noi. Ottomila anni sono tanti, è vero: ma se non sono i Guardiani della notte a ricordare, chi mai potrà farlo?»
«Farlo» sottolineò il suo loquace corvo. «Farlo. Farlo.»
Gli dei avevano ascoltato le preghiere di Jon Snow, quella notte. Il fuoco aveva incendiato gli abiti del morto e l’aveva consumato, quasi che la sua carne fosse stata cera e le sue ossa vecchio legno secco. Per rivedere tutto quel fuoco, Jon doveva solo chiudere gli occhi: la cosa trasformata in una torcia che barcolla nel solarium urtando contro i mobili, le braccia che si agitano tra le fiamme. Ma era il volto che lo terrorizzava di più: assediato da nembi di fuoco, i capelli che avvampano come paglia, la carne morta che si disgrega, che si liquefa, mettendo a nudo il teschio, portando in superficie il colore livido dell’ossatura.
Quale che fosse stata la forza demoniaca impossessatasi di Othor, il fuoco l’aveva costretta a disperdersi. La cosa contorta che avevano trovato tra le ceneri non era che carne annerita e ossa carbonizzate. Eppure, nell’incubo, Jon tornava ad affrontarla… solo che il cadavere in fiamme aveva le fattezze di lord Eddard. Era la pelle di suo padre a bruciare e annerire, erano gli occhi di suo padre a colare lungo le guance simili a lacrime gelatinose. Jon non capiva quale fosse il senso di tutto ciò, ma lo terrorizzava più di quanto avrebbe potuto esprimere.
«Una spada è una ben piccola ricompensa per la vita» concluse ruvidamente Mormont. «Adesso prendila. Non voglio più sentirne parlare, mi hai inteso?»
«Come comandi, mio signore.» Il soffice cuoio cedette nella presa delle sue dita, quasi stesse già adattandosi alla sua mano. Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi onorato, e lo era, eppure…
“Non sei mio padre.” Il pensiero gli venne spontaneo. “Eddard Stark è mio padre. E per quante spade mi diano, io non lo dimenticherò.” Ma in quale modo avrebbe potuto dire a lord Mormont che era la spada di un altro quella che sognava?…
«E non voglio nemmeno cortesie» continuò il Vecchio orso. «Per cui, mi ringrazi senza ringraziamenti. Rendi onore a questo acciaio con le azioni, non con le parole.»
Jon annuì. «Ha un nome, mio signore?»
«Lo aveva, un tempo: Lungo artiglio.»
«Artiglio» approvò il corvo. «Artiglio.»
«Lungo artiglio è un ottimo nome…» Jon tentò un fendente di prova. Si sentì goffo e a disagio con la sinistra, eppure l’acciaio parve volare nell’aria come per volontà propria. «I lupi hanno artigli, come gli orsi.»
Il Vecchio orso parve compiaciuto di quella considerazione. «Immagino di sì. La porterai di traverso sulla schiena, suppongo. È troppo lunga per la cintola, almeno finché non cresci di qualche pollice. E sarà bene che ti addestri alla presa a due mani. Una volta che la tua scottatura sarà guarita, ser Endrew ti mostrerà qualche valido colpo.»
«Ser Endrew?» Jon non conosceva quel nome.
«Ser Endrew Tarth, un valido uomo. Sta venendo qui dalla Torre delle ombre per assumere la carica di maestro d’armi. Ser Alliser Thorne è partito ieri mattina per il Forte orientale.»
Jon abbassò la spada. «Perché?» chiese stolidamente.
«Perché sono stato io a mandarcelo» borbottò Mormont. «Ecco perché. Si porta dietro la mano che il tuo Spettro ha staccato a Jafer Flowers. Gli ho comandato di imbarcarsi sul primo vascello diretto ad Approdo del Re e di andare a mettere quella mano sotto il naso del re ragazzino. Dovrebbe attirare l’attenzione del giovane Joffrey, credo… e ser Alliser, cavaliere, di alto lignaggio, con ancora amici a corte, è un personaggio ben difficile da ignorare, corvo impettito che non è altro.»
«Corvo» ripeté il corvo, quasi con indignazione.
«Inoltre» continuò il lord comandante ignorando la protesta dell’uccello «ciò metterà un migliaio di leghe tra lui e te senza che sembri una punizione.» Puntò l’indice in faccia a Jon. «Ma non ti fare illusioni: continuo a non approvare affatto la tua idiozia nella sala comune. Il valore può compensare la stupidità, d’accordo, ma solo fino a un certo punto. A dispetto della tua età, non sei più un ragazzo. Ora è la spada di un uomo che stringi in pugno e mi aspetto che da uomo ti comporti.»
«Mi rendo conto, mio signore.» Jon fece scivolare la spada nel fodero ornato d’argento. Forse non era la lama che lui avrebbe scelto, ma era comunque un nobile dono. E allontanare ser Alliser Thorne e i suoi veleni era un dono ancora più nobile.
«Mi ero scordato quale prurito generi lo spuntare della barba.» Mormont si grattò il mento. «Bah, nulla che ci si possa fare. La tua mano è guarita abbastanza da permetterti di riprendere i tuoi compiti?»
«Sì, mio signore.»
«Bene. Sarà una notte fredda. Voglio del vino caldo speziato. Trovami una caraffa di rosso, non troppo acido, è non lesinare sulle spezie. E di’ a Hobb che se mi manda su dell’altro montone bollito, metterò a bollire lui. La carne dell’ultimo pezzo era grigia.» Il Vecchio orso passò un dito sul capo del corvo, ottenendone un verso deliziato. «Nemmeno lui ha voluto beccarla. Ora vattene. Ho da fare.»
I due confratelli in nero che montavano la guardia dalle nicchie nelle pareti della stretta scala a spirale, rivolsero un sorriso a Jon che scendeva tenendo la spada nella mano sana. «Ottimo acciaio» disse uno.
«Te lo sei meritato, Snow» aggiunse l’altro. Jon si costrinse a sorridere in risposta; sapeva che avrebbe dovuto essere lieto, ma dentro, non aveva alcuna voglia di sorridere. La mano continuava a tormentarlo e in bocca aveva il gusto aspro della rabbia, anche se non capiva da dove provenisse, né verso chi, o cosa, fosse rivolta.
C’era una mezza dozzina dei suoi amici fuori dalla Torre del re, dove il lord comandante Mormont aveva spostato il proprio alloggio. Avevano appeso un bersaglio alla porta del granaio, in modo da far finta di addestrarsi al tiro con l’arco, ma Jon sapeva bene che non erano lì per quello. Nel momento in cui uscì dalla torre, Pyp gridò:«Vieni un po’ qui. Fa’ dare un’occhiata».
«A che cosa?» Jon si avvicinò.
«Al tuo bel culetto rosa, che altro?» Todder si aggiunse a loro.
«La spada» disse Grenn. «Vogliamo vedere la spada.»
Jon passò su tutti loro un’occhiata accusatoria. «Quindi sapete.»
Pyp sogghignò. «Non siamo mica tutti scemi come Grenn.»
«Certo che lo siete» esclamò Grenn. «E anche di più.»
Halder si strinse nelle spalle in una specie di scusa. «Ho aiutato Pate a scolpire la pietra del pomo ed è stato il tuo amico Samwell a comprare i granati a Città della Talpa.»
«Ma sapevamo tutto già da prima» disse Grenn. «Rudge aiutava Donal Noye nella forgia quando il Vecchio orso gli ha portato la lama bruciata.»
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