«Silente aveva detto di andarci molto piano» rispose Hagrid, «di farci vedere che mantenevamo le promesse. Torneremo domani con un altro regalo, e poi torniamo davvero con un altro regalo… fa una buona impressione, no? E a loro ci dà il tempo di provare il primo regalo e vedere che è buono, e ci fa venire voglia di un altro. In ogni caso, i giganti come Karkus, se ci dici troppe cose quelli ti ammazzano solo per farla più facile. Perciò ci siamo levati di torno e abbiamo trovato una bella caverna dove passare la notte, e il giorno dopo siamo tornati. Stavolta Karkus ci aspettava tutto contento».
«E gli avete parlato?»
«Oh, sì. Prima ci abbiamo dato un bell’elmo da battaglia, sai, fatto dai goblin, indistruttibile… ci siamo seduti e abbiamo parlato».
«Lui che cos’ha detto?»
«Non tanto» disse Hagrid. «Stava molto a sentire. Ma c’era qualche segno buono. Aveva sentito parlare di Silente, che era contrario a uccidere i giganti rimasti in Inghilterra. Insomma, sembrava interessato. E qualcuno degli altri, soprattutto quelli che ci capivano, si sono messi intorno e ascoltavano. Siamo andati via tutti speranzosi, quel giorno, e abbiamo promesso che tornavamo il giorno dopo con un altro regalo. Ma quella notte è andato tutto storto».
«In che senso?» chiese Ron.
«Be’, ve l’ho detto, non sono fatti per vivere insieme, i giganti» disse Hagrid, malinconico. «Non in gruppi così grossi. Non ci possono fare niente, si ammazzano tra di loro ogni mese. Gli uomini si combattono, le donne si combattono; i resti delle vecchie tribù si combattono, e poi ci sono le risse per il mangiare e per i posti migliori per dormire. A vedere come la loro razza sta per finire uno crede che magari ormai si lasciano in pace, ma invece…»
Hagrid sospirò.
«Quella notte è scoppiata una lite giù nella valle, l’abbiamo visto dalla nostra caverna. È andata avanti per ore, un rumore da non crederci. E quando il sole è sorto la mattina dopo la neve era rossa e la sua testa era in fondo al lago».
«La testa di chi?» chiese Hermione, trattenendo il respiro.
«Quella di Karkus» rispose Hagrid in tono grave. «Cera un nuovo Gurg, Golgomath». Sospirò. «Be’, non avevamo previsto che ci poteva essere un nuovo Gurg due giorni dopo che avevamo fatto amicizia col vecchio, e avevamo come l’impressione che Golgomath non era così felice di sentirci, ma dovevamo provare».
«Siete andati a parlargli?» chiese Ron incredulo. «Dopo che l’avevate visto staccare la testa a un altro gigante?»
«Certo» disse Hagrid. «Non avevamo mica fatto tutta quella strada per mollare dopo due giorni! Siamo scesi giù con l’altro regalo che volevamo dare a Karkus.
«Ma ho capito che non serviva a niente ancora prima di parlare. Lui era seduto lì con l’elmo di Karkus e ci guardava male. È enorme, uno dei più grossi. Capelli neri, denti neri e una collana di ossa. Certe sembravano umane. Insomma. Io ci provo, prendo una grande pelle di drago e dico “Un dono per il Gurg dei giganti…” nemmeno finisco e mi ritrovo appeso per i piedi: due dei suoi amici mi avevano preso».
Hermione si portò le mani alla bocca.
«E come ne sei uscito?» domandò Harry.
«È stata Olympe» disse Hagrid. «Ha preso la bacchetta e ha fatto gli incantesimi più veloci che ho mai visto. Una roba meravigliosa. Ha colpito i due che mi tenevano con l’Incantesimo Conjunctivitus e quelli mi hanno mollato di botto… ma eravamo nei guai, perché avevamo usato la magia contro di loro, e i giganti odiano questo. Ce la siamo squagliata. Non potevamo più tornarci, in quel campo».
«Accidenti, Hagrid» sussurrò Ron.
«Allora come mai ci hai messo tanto a tornare a casa se siete rimasti lì solo tre giorni?» domandò Hermione.
«Non ce ne siamo andati dopo tre giorni!» s’indignò Hagrid. «Silente ci aveva dato un compito!»
«Ma hai appena detto che non potevate più tornare al campo!»
«No, di giorno no. Ci abbiamo pensato un po’ su. Abbiamo passato due giorni nella caverna, a guardare giù. E quello che abbiamo visto non era niente di buono» .
«Ha strappato altre teste?» chiese Hermione, disgustata.
«No» disse Hagrid. «Magari».
«Che cosa vuoi dire?»
«Voglio dire che abbiamo scoperto che non ce l’aveva con tutti i maghi… solo con noi».
«Mangiamorte?» suggerì subito Harry.
«Sì» rispose cupo Hagrid. «Un paio andavano a trovarlo tutti i giorni e gli portavano dei regali, e a loro non li appendeva a testa in giù».
«Come fai a sapere che erano Mangiamorte?» chiese Ron.
«Perché ne ho riconosciuto uno» ruggì Hagrid. «Macnair, ve lo ricordate? Quello che hanno mandato a uccidere Fierobecco? È un fissato. Ci piace uccidere, come a Golgomath; per forza che andavano tanto d’accordo».
«E quindi Macnair ha convinto i giganti ad allearsi con Tu-Sai-Chi?»
«Ferma gli Ippogrifi, non ho ancora finito!» esclamò Hagrid indignato. Considerato che all’inizio non voleva raccontare nulla, sembrava che se la godesse un mondo. «Io e Olympe abbiamo parlato e abbiamo deciso che solo perché il Gurg preferiva Tu-Sai-Chi non voleva dire che tutti gli altri erano d’accordo. Dovevamo convincere gli altri, quelli che non avevano voluto Golgomath».
«Come avete fatto a capire quali erano?» domandò Ron.
«Be’, erano quelli che avevano preso le mazzate, no?» spiegò Hagrid, paziente. «Quelli con un po’ di sale in zucca si tenevano alla larga da Golgomath, stavano nascosti nelle caverne intorno al burrone, come noi. Così abbiamo deciso di fare un giro di notte nelle caverne per vedere se riuscivamo a convincere qualcuno».
«Siete andati in giro per caverne a cercare giganti?» chiese Ron, ammirato.
«Be’, non erano i giganti che ci preoccupavano» rispose Hagrid, «ma i Mangiamorte. Silente ci aveva detto di non mischiarci con loro se potevamo evitarlo, e il problema era che lo sapevano che noi eravamo lì… figurati se Golgomath non gliel’aveva detto. Di notte, quando i giganti dormivano e noi volevamo strisciare nelle caverne, Macnair e quell’altro giravano per le montagne a cercarci. È stata dura impedire a Olympe di saltarci addosso» disse Hagrid, con gli angoli della bocca che gli sollevavano la barba incolta, «aveva una gran voglia di attaccarli… è forte, quando si arrabbia, Olympe… una tosta, sapete… dev’essere perché è francese…»
Hagrid guardò il fuoco con lo sguardo annebbiato. Harry gli concesse trenta secondi di fantasticherie prima di schiarirsi sonoramente la voce.
«E poi che cosa è successo? Siete riusciti ad avvicinarvi agli altri giganti?»
«Cosa? Ah… Ah, sì, certo. La terza notte dopo la morte di Karkus siamo usciti dalla nostra caverna e siamo tornati giù nella valle, con gli occhi bene aperti per i Mangiamorte. Abbiamo girato un paio di caverne, niente… e poi, tipo alla sesta, abbiamo trovato tre giganti nascosti».
«Doveva essere bella piena» osservò Ron.
«Non c’entrava nemmeno uno Kneazle» confermò Hagrid.
«E non vi hanno attaccato?» domandò Hermione.
«Lo facevano sicuro, se potevano» disse Hagrid, «ma erano feriti di brutto, tutti e tre; la banda di Golgomath li aveva pestati fino a farli svenire; loro si erano svegliati ed erano strisciati nel primo nascondiglio. A ogni modo, uno di loro capiva un po’ la nostra lingua e ha tradotto e non l’hanno presa troppo male. Perciò siamo tornati a trovare i feriti… mi sa che a un certo punto ne avevamo convinti sei o sette».
«Sei o sette?» Ron s’infervorò. «Be’, niente male… verranno qui a combattere Tu-Sai-Chi insieme a noi?»
Ma Hermione intervenne: «Che cosa vuol dire “a un certo punto”, Hagrid?»
Hagrid le rivolse uno sguardo triste.
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