«Quelli di Golgomath hanno attaccato le caverne. I sopravvissuti non hanno più voluto avere a che fare con noi, dopo».
«E quindi… quindi non verrà nessun gigante?» disse Ron, deluso.
«No» sospirò Hagrid, rigirando la bistecca sul viso, «ma abbiamo fatto quello che dovevamo, ci abbiamo portato il messaggio di Silente e alcuni l’hanno sentito e speriamo che se lo ricordano. Forse, dico forse, quelli che non vogliono restare con Golgomath se ne andranno dalle montagne, e magari si ricorderanno che Silente è stato gentile con loro… può darsi che vengono».
La neve stava coprendo la finestra. Harry si rese conto di avere le ginocchia zuppe: Thor sbavava, con la testa nel suo grembo.
«Hagrid» sussurrò Hermione dopo un po’.
«Mmm?»
«Hai… c’era traccia di… hai saputo qualcosa di tua… tua… madre mentre eri là?»
L’occhio scoperto di Hagrid si posò su Hermione, che parve piuttosto spaventata.
«Scusa… io… lascia stare…»
«Morta» grugnì Hagrid. «Anni fa. Me l’hanno detto».
«Oh… mi dispiace» disse Hermione con voce flebile. Hagrid si strinse nelle enormi spalle.
«Fa niente» tagliò corto. «Non me la ricordo tanto. Non era una gran madre».
Cadde di nuovo il silenzio. Hermione lanciò un’occhiata nervosa a Harry e Ron, sperando che parlassero.
«Ma non ci hai ancora spiegato come ti sei ridotto così, Hagrid» disse Ron, indicando il volto insanguinato del guardiacaccia.
«O perché sei arrivato così in ritardo» aggiunse Harry. «Sirius ha detto che Madame Maxime è tornata a casa secoli fa…»
«Chi ti ha aggredito?» chiese Ron.
«Io non sono stato aggredito!» esclamò Hagrid con enfasi. «Io…»
Ma il resto delle sue parole fu sommerso da un’improvvisa serie di colpi alla porta. Hermione trasalì; la tazza le scivolò di mano e si frantumò a terra; Thor abbaiò. Tutti e quattro guardarono la finestra accanto alla porta. L’ombra di una persona bassa e tarchiata ondeggiava sulla tenda leggera.
«È lei!» sussurrò Ron.
«Qui sotto!» disse in fretta Harry; afferrò il Mantello dell’Invisibilità, lo fece roteare addosso a sé e a Hermione mentre Ron faceva il giro del tavolo per tuffarsi sotto il manto anche lui. Rannicchiati insieme, indietreggiarono in un angolo. Thor abbaiava furiosamente, rivolto alla porta. Hagrid aveva l’aria del tutto confusa.
«Hagrid, nascondi le nostre tazze!»
Hagrid afferrò le tazze di Harry e Ron e le ficcò sotto il cuscino della cuccia di Thor. Il cane balzò verso la maniglia; Hagrid lo allontanò con il piede e aprì.
La professoressa Umbridge era sulla soglia. Indossava il mantello di tweed verde e un cappello della stessa stoffa, con i paraorecchie. A labbra strette, fece un passo indietro per vedere Hagrid in faccia: gli arrivava a stento all’ombelico.
« Allora » scandì a voce alta, come se stesse parlando con un sordo. «Lei è Hagrid, vero?»
Senza aspettare la risposta, entrò nella stanza e guardò dappertutto con i suoi occhi sporgenti.
«Va’ via» sbottò, agitando la borsetta in direzione di Thor, che balzava tentando di leccarle la faccia.
«Ehm… mica per essere sgarbato» chiese Hagrid fissandola, «ma lei chi diavolo è?»
«Mi chiamo Dolores Umbridge».
I suoi occhi esaminavano la capanna. Due volte indugiarono nel punto in cui si trovava Harry, stretto a panino fra Ron e Hermione.
«Dolores Umbridge?» ripeté Hagrid, ancora più confuso. «Credevo che stava al Ministero… non lavora mica con Caramell?»
«Ero Sottosegretario Anziano del Ministro, sì» disse la Umbridge, che camminava per la capanna registrando ogni dettaglio, dallo zaino appoggiato alla parete al mantello da viaggio abbandonato. «Ora sono docente di Difesa contro le Arti Oscure…»
«Che coraggio» disse Hagrid, «non sono mica più tanti quelli che farebbero quel lavoro».
«…e Inquisitore Supremo di Hogwarts» concluse la Umbridge, senza dare segno di averlo sentito.
«E che roba è?» domandò Hagrid, accigliandosi.
«Precisamente quello che stavo per chiedere io» disse la Umbridge, indicando i frammenti della tazza di Hermione, per terra.
«Oh» disse Hagrid, con un pericoloso sguardo verso l’angolo dov’erano nascosti Harry, Ron e Hermione, «ah, quello… è stato Thor. Ha rotto una tazza. Perciò ho usato quella».
Hagrid indicò la tazza da cui stava bevendo, con una mano ancora premuta sulla bistecca di drago che reggeva sull’occhio. La Umbridge guardava lui, adesso, studiando ogni particolare del suo aspetto.
«Ho sentito delle voci» disse piano.
«Parlavo con Thor» spiegò impavido Hagrid.
«E lui le rispondeva?»
«Be’… in un certo senso» disse Hagrid, a disagio. «A volte Thor è quasi umano…»
«Ci sono tre serie di impronte nella neve che portano dal castello alla sua capanna» osservò melliflua la Umbridge.
Hermione esalò un gemito; Harry le tappò la bocca con la mano. Per fortuna Thor stava annusando sonoramente l’orlo del vestito della Umbridge e lei non parve aver sentito.
«Be’, sono appena tornato» disse Hagrid, agitando una mano enorme verso lo zaino. «Forse qualcuno è venuto a trovarmi prima e non l’ho incontrato».
«Non ci sono impronte che si allontanano dalla capanna».
«Ah… allora boh, non lo so…» disse Hagrid, tirandosi nervosamente la barba e lanciando un’altra occhiata verso l’angolo di Harry, Ron e Hermione, come in cerca di aiuto. «Ehm…»
La Umbridge girò sui tacchi e percorse tutta la lunghezza della capanna, guardandosi intorno con grande attenzione. Si chinò a sbirciare sotto il letto, aprì gli armadi. Passò a pochi centimetri dal punto in cui Harry, Ron e Hermione erano appiattiti contro il muro e Harry contrasse lo stomaco. Dopo aver esaminato con cura l’enorme calderone in cui Hagrid cucinava, la Umbridge si voltò e chiese: «Che cosa le è successo? Come si è procurato quelle ferite?»
Hagrid si tolse in fretta la bistecca di drago dall’occhio, e secondo Harry fu un errore, perché in quel modo si vedevano chiaramente i lividi neri e violacei, per non parlare della quantità di sangue sia fresco sia rappreso. «Oh… ho avuto un piccolo incidente» disse debolmente.
«Che tipo di incidente?»
«Io… sono inciampato».
«È inciampato» ripeté lei, gelida.
«Sì, proprio. Su… sulla scopa di un mio amico. Io non volo mica. Be’, guardi che stazza, secondo me non c’è una scopa che mi regge. Il mio amico alleva cavalli Abraxan, non so se li ha mai visti, bestie grosse, con le ali, sa com’è, ho fatto un giro su uno…»
«Dove è stato?» domandò la Umbridge, interrompendo con freddezza il balbettio di Hagrid.
«Dove sono…?»
«Stato, sì» insisté lei. «La scuola è cominciata due mesi fa. Un’altra insegnante ha dovuto coprire le sue lezioni. Nessuno dei suoi colleghi ha saputo darmi informazioni. Non ha lasciato un recapito. Dove è stato?»
Ci fu una pausa, durante la quale Hagrid la fissò con l’occhio appena scoperto. Harry riusciva quasi a sentire il suo cervello che lavorava furiosamente.
«Eh… sono stato via. Motivi di salute» rispose.
«Motivi di salute» ripeté la professoressa Umbridge. I suoi occhi vagarono sul volto pallido e gonfio di Hagrid; gocce di sangue di drago cadevano lente e silenziose sul suo panciotto. «Capisco».
«Sì» confermò Hagrid, «un po’ d’aria fresca, sa…»
«Sì, immagino che per un guardiacaccia l’aria fresca sia una cosa rara» disse melliflua la Umbridge. L’unica porzione della faccia di Hagrid che non era né nera né violacea arrossì.
«Ecco… un cambio di panorama, sa com’è…»
«Panorama di montagna?» chiese prontamente la Umbridge.
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