Hermione lo guardò storto, ma per il resto ignorò l’accenno a Kreacher.
«Il problema» disse a Harry, «è che fino a quando V-Voldemort… — oh, per l’amor del cielo, Ron — …non esce allo scoperto, Sirius deve restare nascosto. Voglio dire, quegli stupidi del Ministero non capiranno che è innocente finché non crederanno a quello che ha sempre detto di lui Silente. E una volta che quegli scemi cominceranno a catturare i veri Mangiamorte, sarà chiaro che Sirius non lo è… insomma, non ha nemmeno il Marchio, per dirne una».
«Secondo me non è tanto stupido da farsi vedere» disse Ron deciso. «Silente andrebbe su tutte le furie, e Sirius lo ascolta sempre, anche se non gli piacciono i suoi ordini».
Visto che comunque Harry non si tranquillizzava, Hermione disse: «Senti, Ron e io abbiamo sondato il terreno con alcune persone che secondo noi potrebbero aver voglia di imparare un po’ di vera Difesa contro le Arti Oscure, e ce ne sono un paio che sembrano interessate. Ci siamo dati appuntamento a Hogsmeade».
«Bene» rispose distratto Harry, che pensava ancora a Sirius.
«Non ti preoccupare, Harry» disse piano Hermione. «Hai già abbastanza pensieri anche senza Sirius».
Aveva ragione, naturalmente: Harry riusciva a malapena a stare al passo con i compiti, anche se adesso che non doveva più trascorrere tutte le sere in punizione con la Umbridge le cose andavano molto meglio. Ron era ancora più indietro di lui perché, se entrambi avevano gli allenamenti di Quidditch due volte alla settimana, Ron aveva anche i suoi doveri di prefetto. Hermione, invece, che seguiva più materie di loro, non solo aveva finito tutti i compiti, ma trovava anche il tempo di sferruzzare altri indumenti da elfo. Harry doveva ammettere che stava migliorando: ormai si riusciva quasi sempre a distinguere i berretti dai calzini.
La mattina della gita a Hogsmeade era limpida ma ventosa. Dopo colazione si misero in fila davanti a Gazza, che controllava i loro nomi sulla lunga lista degli studenti che avevano ottenuto dai genitori o dai tutori il permesso di andare al villaggio. Con un piccolo tuffo al cuore, Harry ricordò che se non fosse stato per Sirius non ci sarebbe potuto andare affatto.
Quando arrivò davanti a Gazza, il custode lo annusò a fondo, quasi volesse sentire se aveva fumato. Poi fece un breve cenno che gli fece tremolare le guance, e Harry scese i gradini di pietra e uscì nella fredda giornata di sole.
«Perché Gazza ti annusava?» chiese Ron mentre si avviava con Harry e Hermione lungo l’ampio viale che portava ai cancelli.
«Immagino che stesse cercando una Caccabomba» rise Harry. «Ho dimenticato di dirvelo…»
Raccontò di quando aveva spedito la lettera a Sirius e Gazza era entrato qualche istante dopo, pretendendo di vedere la missiva. Con sua sorpresa, Hermione trovò la storia estremamente interessante, molto più di quanto pensasse lui.
«Ha detto che qualcuno gli aveva soffiato che stavi ordinando delle Caccabombe? Ma chi è stato?»
«Non lo so» rispose Harry con un’alzata di spalle. «Forse Malfoy, si diverte così».
Oltrepassarono le due alte colonne di pietra sormontate dai cinghiali alati e svoltarono a sinistra verso il villaggio, con i capelli negli occhi per il vento.
«Malfoy?» disse Hermione scettica. «Mah… sì, forse…»
Rimase pensierosa per tutto il tragitto fino a Hogsmeade.
«Dove andiamo, a proposito?» domandò Harry. «Ai Tre Manici di Scopa?»
«Oh… no» disse Hermione, riemergendo dalle sue fantasticherie, «no, è sempre pieno e c’è troppo rumore. Ho detto agli altri di incontrarci alla Testa di Porco, l’altro pub, non è nella via principale. È un po’… come dire… equivoco… ma gli studenti di solito non ci vanno, perciò non credo che saremo spiati».
Percorsero la strada principale e superarono l’Emporio degli Scherzi di Zonko, dove non furono sorpresi di trovare Fred, George e Lee Jordan; passarono davanti all’ufficio postale, dal quale i gufi partivano a intervalli regolari; infine svoltarono in una traversa in fondo alla quale c’era una piccola locanda. Una consunta insegna di legno pendeva da una staffa arrugginita sopra la porta, con l’effigie di una testa di cinghiale mozza che gocciolava sangue su un panno bianco. Il vento fece cigolare l’insegna. I tre esitarono sulla porta.
«Dài, andiamo» disse Hermione, con un briciolo di nervosismo. Harry entrò per primo.
Non era affatto come i Tre Manici di Scopa, la cui ampia sala dava un’impressione di calore e pulizia. La Testa di Porco era un locale piccolo, angusto e molto sporco, con un forte odore di qualcosa che poteva essere capra. Le finestre a bovindo erano così incrostate che ben poca luce filtrava nella stanza, illuminata da mozziconi di candela piantati su rozzi tavoli di legno. Il pavimento sembrava a prima vista fatto di terra battuta, ma quando Harry fece il primo passo si rese conto che c’era pietra sotto quello che doveva essere sudiciume accumulato da secoli.
Harry ricordò che Hagrid aveva nominato quel pub al primo anno: «C’è tanta gente bizzarra, alla Testa di Porco» aveva detto, spiegando come aveva vinto un uovo di drago a uno sconosciuto incappucciato. All’epoca Harry si era chiesto come mai Hagrid non avesse trovato strano che lo sconosciuto fosse rimasto a viso coperto durante il loro incontro; ma vide che nascondere la faccia andava di moda, alla Testa di Porco. Al bancone c’era un uomo con la testa completamente avvolta in sporche bende grigie, che riusciva comunque a ingollare infiniti bicchieri di una sostanza fumante e incandescente attraverso una fessura all’altezza della bocca; due figure incappucciate sedevano a un tavolo accanto a una finestra: Harry avrebbe detto che erano Dissennatori, se non fosse stato per il loro forte accento dello Yorkshire; e in un angolo in ombra accanto al camino sedeva una strega coperta da capo a piedi da un fitto velo nero. Si distingueva solo la punta del suo naso, che formava una piccola protuberanza nel velo.
«Non so, Hermione» mormorò Harry quando arrivarono al banco. Guardò in particolare la strega velata. «Non pensi che potrebbe esserci la Umbridge, là sotto?»
Hermione la studiò con un’occhiata.
«La Umbridge è più bassa» disse piano. «E comunque, se anche la Umbridge venisse qui non potrebbe fare nulla per fermarci, Harry. Ho controllato e ricontrollato il regolamento della scuola, non stiamo violando nulla; ho chiesto al professor Vitious se agli studenti fosse permesso venire alla Testa di Porco e lui mi ha detto di sì, anche se mi ha raccomandato caldamente di portarci i bicchieri. E ho controllato tutto il possibile sui gruppi di studio e di lavoro, e stiamo senza dubbio rispettando le regole. Credo solo che non sia il caso di sbandierare quello che facciamo».
«No» convenne Harry asciutto, «soprattutto perché non è proprio un gruppo di studio che hai in mente, giusto?»
Il barista uscì da una stanza sul retro e andò verso di loro. Era un vecchio dall’aspetto burbero, con una gran quantità di lunghi capelli grigi e la barba. Era alto, magro e aveva un’aria vagamente familiare per Harry.
«Che cosa volete?» borbottò.
«Tre Burrobirre» rispose Hermione.
L’uomo trasse da sotto il bancone tre bottiglie polverose e molto sporche, che sbatté con forza sul legno.
«Sei falci» disse.
«Faccio io» disse in fretta Harry, porgendogli le monete. Il barista lo squadrò, indugiando per una frazione di secondo sulla sua cicatrice. Poi si voltò e mise i soldi in un antiquato registratore di cassa di legno, il cui cassetto si aprì automaticamente. Harry, Ron e Hermione andarono a sedersi al tavolo più lontano dal bancone e si guardarono attorno. L’uomo con le sudicie bende grigie batté con le nocche sul banco e ricevette dal barista un altro beverone fumante.
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