La professoressa Umbridge lasciò Hogwarts il giorno prima della fine delle lezioni. Sgattaiolò fuori dall’infermeria all’ora di cena, nella chiara speranza di allontanarsi inosservata, ma purtroppo per lei incontrò Pix, che afferrò al volo l’ultima possibilità di obbedire a Fred e la inseguì allegramente fino al cancello, picchiandola un po’ con un bastone da passeggio, un po’ con una calza piena di gesso. Molti studenti corsero nella Sala d’Ingresso per assistere alla sua fuga, e i Direttori delle Case tentarono con scarsa convinzione di fermarli. Per la precisione, dopo qualche fiacca protesta la professoressa McGranitt tornò a sedersi al tavolo degli insegnanti esprimendo a gran voce il disappunto per non poterla inseguire personalmente dal momento che Pix le aveva preso il bastone.
Arrivò l’ultima sera: quasi tutti avevano finito di fare i bagagli e stavano scendendo per il banchetto di fine anno, ma Harry non aveva nemmeno cominciato a preparare il baule.
«Fallo domani!» disse Ron, in attesa accanto alla porta del dormitorio. «Muoviti. Muoio di fame».
«Non ci metterò molto, va’ avanti…»
Ma quando la porta del dormitorio si chiuse, Harry non si diede minimamente da fare. L’ultima cosa che desiderava era partecipare al Banchetto d’Addio. Temeva che nel discorso di fine anno Silente facesse qualche riferimento a lui. Di sicuro avrebbe parlato del ritorno di Voldemort, come già l’anno prima…
Estrasse dal baule alcune vesti spiegazzate per sostituirle con altre piegate, e così facendo notò in un angolo un pacchetto incartato alla meno peggio. Che cosa poteva essere? Lo sfilò da sotto le scarpe da ginnastica e se lo rigirò fra le mani.
Capì quasi subito che cos’era. Sirius gliel’aveva dato prima che lasciasse Grimmauld Place. « Voglio che lo usi se hai bisogno di me, intesi? »
Si sedette sul letto e lo aprì. Ne cadde uno specchietto quadrato. Sembrava antico; di sicuro era sporco. Harry lo sollevò davanti al viso, e il suo riflesso gli restituì lo sguardo. Lo voltò. Sul retro, Sirius aveva scarabocchiato:
Questo è uno specchio a doppio senso. Io ho l’altro. Se avessi bisogno di parlarmi, ti basterà pronunciare il mio nome: apparirai subito nel mio specchio, e io nel tuo. James e io li usavamo quando ci mettevano in punizione separati.
Il cuore di Harry batté più forte. Quattro anni prima aveva visto i genitori nello Specchio delle Brame. E ora avrebbe potuto parlare di nuovo con Sirius, lo sapeva…
Si guardò attorno per accertarsi di essere solo e risollevò lo specchio davanti al viso con mani tremanti. «Sirius» chiamò, con voce forte e chiara.
Il suo respiro appannò il vetro. Sentiva l’eccitazione scorrergli nelle vene. Avvicinò ancora di più lo specchio al volto… ma il vetro appannato gli restituì solo il riflesso dei suoi occhi.
Ripulì il cristallo e scandendo ogni sillaba ripeté: «Sirius Black!»
Niente. Il viso frustrato che compariva nello specchio era ancora e sempre il suo…
Sirius non aveva con sé lo specchio quando ha attraversato l’arco, sussurrò una vocina dentro la sua testa. Per questo non funziona…
Rimase immobile un istante, poi scaraventò lo specchio nel baule, dove si infranse. Per un intero, meraviglioso minuto era stato convinto che avrebbe rivisto Sirius, che gli avrebbe parlato di nuovo…
La delusione gli bruciava in gola; si alzò e prese a gettare alla rinfusa le sue cose nel baule, sopra lo specchio rotto…
E poi lo fulminò un’idea… un’idea migliore di uno specchio… più grande, più importante… come aveva fatto a non pensarci… perché non l’aveva mai chiesto?
Corse fuori dal dormitorio, giù per la scala a chiocciola, a stento si accorse di urtare contro i muri; attraversò di volata la sala comune vuota e il buco del ritratto, ignorando la Signora Grassa che gli gridò: «Il banchetto sta per cominciare, sai! Devi sbrigarti!»
Ma lui non aveva intenzione di andare al banchetto…
Com’era possibile che quel posto brulicasse di fantasmi tutte le volte che non ti servivano, e ora…
Per quanto si affannasse a cercare, non vide nessuno, né vivo né morto. A quanto pareva, erano tutti nella Sala Grande. Davanti all’aula d’Incantesimi si fermò ansante, pensando sconsolato che avrebbe dovuto aspettare come minimo la fine del banchetto…
Aveva ormai rinunciato a ogni speranza quando vide una forma trasparente fluttuare in fondo al corridoio.
«Ehi… ehi, Nick! NICK!»
Il fantasma si riaffacciò dal muro, e Harry vide lo stravagante cappello piumato e la testa pericolosamente dondolante di Sir Nicholas de Mimsy-Porpington.
«Buonasera» lo salutò sorridendo il fantasma, mentre finiva di estrarre il resto del corpo dalla pietra. «Non sono l’unico assente, dunque? Anche se» e sospirò, «in un senso piuttosto diverso, naturalmente…»
«Posso chiederti una cosa, Nick?»
Una strana espressione comparve sul viso di Nick-Quasi-Senza-Testa mentre s’infilava un dito nella gorgiera rigida e la strattonava, evidentemente per guadagnare tempo. Lasciò perdere solo quando il collo semistaccato parve sul punto di cedere del tutto.
«Ehm… proprio adesso, Harry?» chiese, sgomento. «Non potresti aspettare dopo il banchetto?»
«No… Nick… ti prego. Ho bisogno di parlarti. Possiamo entrare qui dentro?»
Aprì la porta dell’aula più vicina, e Nick-Quasi-Senza-Testa sospirò.
«Oh, d’accordo» si rassegnò. «Non posso far finta di non essermelo aspettato».
Harry tenne aperta la porta per lasciarlo passare, ma Nick preferì attraversare il muro.
«Cos’è che ti aspettavi?» gli chiese Harry chiudendo la porta.
«Che tu venissi a trovarmi» rispose Nick, fluttuando verso la finestra e guardando i prati sempre più bui. «Capita, a volte… quando qualcuno subisce una… perdita».
«Be’…» disse Harry, rifiutandosi di cambiare discorso. «Avevi ragione. Sono… sono venuto a parlarti».
Nick rimase in silenzio.
«Il fatto è…» Harry trovava più difficile del previsto fare quel discorso, «insomma… tu sei morto. Però sei ancora qui, giusto?»
Nick sospirò e continuò a guardare fuori.
«È così, no?» insisté Harry. «Sei morto, però sto parlando con te… puoi girare per Hogwarts e tutto, non è vero?»
«Sì» rispose a voce bassa Nick-Quasi-Senza-Testa. «Vado in giro e parlo, sì».
«Quindi sei tornato, giusto?» lo incalzò Harry. «Chi muore può tornare. Sotto forma di fantasma. Non è costretto a sparire del tutto. Allora ?» aggiunse impaziente, quando Nick continuò a tacere.
Finalmente, dopo una lunga esitazione, Nick-Quasi-Senza-Testa si decise a dire: «Non tutti possono tornare».
«Come sarebbe?»
«Solo… soltanto i maghi».
«Oh». Harry quasi rise di sollievo. «Allora è a posto… è di un mago che parlo. Quindi può tornare, no?»
Nick voltò le spalle alla finestra e fissò Harry con aria mesta.
«Non tornerà».
«Chi?»
«Sirius Black».
«Ma tu l’hai fatto!» disse Harry, rabbioso. «Sei tornato… sei morto, ma non sei scomparso…»
«Ai maghi è concesso di lasciare un’impronta di se stessi sulla terra, così che la loro ombra sbiadita continui a percorrere le stesse strade che calpestarono in vita. Ma solo pochissimi maghi scelgono di farlo».
«Perché?» chiese Harry. «Ma non importa… a Sirius non importa se è una cosa insolita, tornerà, so che lo farà!»
Ne era così convinto che si voltò verso la porta, certo, per un attimo, che avrebbe visto un Sirius perlaceo e trasparente, ma raggiante, attraversarla per venirgli incontro.
«Non tornerà» ripeté Nick. «Lui è… andato avanti».
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