Non fosse stato per le lezioni dell’ES, Harry avrebbe toccato il fondo dell’infelicità. Aveva l’impressione di vivere per le ore che passava nella Stanza delle Necessità, a lavorare sodo ma anche a divertirsi, e soprattutto a gonfiarsi d’orgoglio nel notare i miglioramenti ottenuti dai suoi compagni. A volte si chiedeva come avrebbe reagito la Umbridge quando tutti i membri dell’ES avessero preso “Eccezionale” nell’esame di Difesa contro le Arti Oscure.
Fra l’entusiasmo generale avevano finalmente cominciato a lavorare sui Patronus, anche se, come continuava a ricordare loro Harry, evocarne uno in tutta sicurezza e in un’aula illuminata a giorno era ben diverso dall’evocarlo di fronte a un Dissennatore.
«Non fare il guastafeste» lo rimproverò allegramente Cho, seguendo con lo sguardo il suo Patronus — un cigno argenteo — che svolazzava nella Stanza delle Necessità durante la loro ultima lezione prima delle vacanze pasquali. «Sono così carini!»
«Non devono essere carini, devono proteggerti» le spiegò Harry paziente. «Quello che ci servirebbe è un Molliccio o qualcosa del genere… è così che ho imparato: evocando un Patronus mentre il Molliccio faceva finta di essere un Dissennatore…»
«Ma sarebbe spaventoso!» disse Lavanda, dalla cui bacchetta uscivano solo sputacchianti sbuffi di vapore argenteo. «E a me… ancora… non riesce!» aggiunse stizzita.
Nemmeno Neville se la cavava troppo bene. Aveva il volto contratto in una smorfia di concentrazione, ma dalla punta della sua bacchetta uscivano solo sparuti ciuffi di fumo grigio.
«Devi pensare a qualcosa che ti renda felice» gli ricordò Harry.
«Ci provo» disse avvilito Neville, e in effetti s’impegnava tanto che aveva la faccia tonda lucida di sudore.
«Harry, forse ce l’ho fatta!» gridò Seamus. Era venuto insieme a Dean, e quella era la sua prima riunione dell’ES. «Guarda… ah… è sparito… ma era qualcosa di peloso, ne sono sicuro!»
«Però sono carini» disse Hermione, guardando con affetto il suo Patronus, una scintillante lontra argentea che continuava a saltellarle attorno.
All’improvviso, la porta della Stanza delle Necessità si aprì e si richiuse. Harry si voltò per vedere chi era entrato, ma non vide nessuno. Gli ci volle un momento prima di rendersi conto che i ragazzi più vicini alla porta erano ammutoliti. Un attimo dopo si sentì strattonare la veste all’altezza del ginocchio, e abbassando stupefatto lo sguardo vide Dobby l’elfo domestico che lo guardava da sotto i suoi otto berretti di lana.
«Ciao, Dobby!» disse. «Che cosa fai… Cosa succede?»
L’elfo aveva gli occhi sbarrati e tremava da capo a piedi. Gli studenti più vicini a Harry si erano zittiti, gli occhi fissi su Dobby. I pochi Patronus che erano riusciti a evocare svanirono in una nebbiolina perlacea, lasciando la stanza molto più buia di prima.
«Harry Potter, signore…» squittì l’elfo, senza smettere di tremare. «Harry Potter, signore… Dobby viene per avvertire… ma gli elfi domestici non possono parlare…»
Si lanciò a capofitto contro il muro. Harry, ormai abituato alle autopunizioni di Dobby, fece per agguantarlo, ma l’urto fu attutito dagli otto berretti e l’elfo si limitò a rimbalzare sulla pietra. Hermione e qualche altra ragazza emisero strilli di paura e compassione.
«Cos’è successo, Dobby?» chiese Harry, afferrandolo per un braccio sottile, per tenerlo alla larga da qualunque cosa potesse fargli del male.
«Harry Potter… lei… lei…»
Dobby si colpì con il pugno libero, e Harry si affrettò a bloccargli anche l’altro braccio.
«Chi è “lei”, Dobby?»
Ma sospettava di conoscere la risposta; soltanto una “lei” poteva terrorizzare Dobby fino a quel punto. L’elfo lo fissò strabuzzando gli occhi e mosse le labbra senza emettere suono.
«La Umbridge?» sussurrò Harry inorridito.
Dobby annuì, e subito tentò di sbattergli la testa sulle ginocchia, ma con pari prontezza Harry tese le braccia per tenerlo a distanza.
«La Umbridge che cosa? Dobby… non avrà per caso scoperto di noi… dell’ES?»
La risposta era scritta chiaramente sul viso sconvolto dell’elfo. Dato che aveva le braccia bloccate, Dobby tentò di prendersi a calci e cadde sulle ginocchia.
«Sta venendo qui?» chiese Harry piano.
Dobby lanciò un ululato e cominciò a pestare i piedi nudi sul pavimento.
«Sì, Harry Potter, sì!»
Harry si raddrizzò di scatto a fissare i compagni che assistevano paralizzati alle contorsioni dell’elfo.
«CHE COSA ASPETTATE?» urlò. «SCAPPATE!»
Si lanciarono tutti insieme verso l’uscita, accalcandosi sulla porta; poi cominciarono a riversarsi nel corridoio. Harry sentì i primi allontanarsi di corsa e si augurò che avessero il buonsenso di non andare verso i rispettivi dormitori. Mancavano ancora dieci minuti alle nove: se si fossero rifugiati in biblioteca o nella Guferia, tutt’e due più vicine…
«Vieni, Harry!» strillò Hermione dal centro della mischia.
Harry sollevò di peso Dobby, che ancora tentava di procurarsi qualche ferita grave, e si mise in coda ai fuggiaschi.
«Dobby…» disse. «Questo è un ordine: torna in cucina con gli altri elfi, e se lei ti chiede se mi hai avvertito, menti e rispondi di no! E ti proibisco di farti del male!» aggiunse. Lasciò andare l’elfo e uscì per ultimo dalla Stanza delle Necessità, sbattendosi la porta alle spalle.
«Grazie, Harry Potter!» squittì Dobby e filò via. Harry si guardò intorno: i suoi compagni se la stavano svignando così alla svelta che per un momento intravide solo un turbinio di piedi in fondo al corridoio, e poi più nulla. Si slanciò verso destra; più avanti c’era un bagno, se fosse riuscito a raggiungerlo poteva fingere di essere sempre stato lì…
«AAARGH!»
Qualcosa lo aveva afferrato alle caviglie, facendogli fare una caduta spettacolare… prima di fermarsi, scivolò in avanti per quasi due metri. Qualcuno rideva alle sue spalle. Rotolò sulla schiena e vide Malfoy nascosto in una nicchia, dietro un orrido vaso a forma di drago.
«Incantesimo d’Inciampo, Potter!» disse soddisfatto. «Ehi, professoressa… PROFESSORESSA! Ne ho preso uno!»
La Umbridge arrivò di gran carriera dall’altro capo del corridoio, col fiato corto e un sorriso deliziato.
«È lui!» esultò, vedendo Harry sul pavimento. «Eccellente, Draco, eccellente, oh, sì… cinquanta punti a Serpeverde! Adesso ci penso io… in piedi, Potter!»
Harry si rialzò, fulminandoli con gli occhi. Non aveva mai visto la Umbridge così soddisfatta. Gli strinse le dita come una morsa attorno al braccio e si voltò sorridendo verso Malfoy.
«Cerchi di acchiapparne qualcun altro, Draco. Dica agli altri di controllare in biblioteca… chiunque abbia il fiatone… e anche nei bagni, la signorina Parkinson può controllare quello delle ragazze… andate, svelti… Quanto a lei, Potter…» aggiunse con la sua voce più sommessa e più pericolosa, mentre Malfoy si allontanava, «verrà con me nell’ufficio del Preside».
Furono davanti al gargoyle di pietra nel giro di pochi minuti. Harry continuava a chiedersi se avevano catturato qualcun altro. Pensò a Ron — la signora Weasley lo avrebbe strozzato — e a come ci sarebbe rimasta male Hermione se l’avessero espulsa prima del G.U.F.O. E per Seamus quella era stata la prima riunione… e Neville era così migliorato…
«Ape Frizzola» cantilenò la Umbridge; il gargoyle si scostò, la parete si spalancò e i due salirono la scala mobile di pietra. Quando raggiunsero la lucida porta col batacchio a forma di grifone, la Umbridge, sempre tenendo stretto Harry, entrò senza nemmeno bussare.
L’ufficio era pieno. Silente era seduto dietro la scrivania, l’espressione serena, le lunghe dita unite in punta. La professoressa McGranitt gli stava accanto, irrigidita dalla tensione. Cornelius Caramell, il Ministro della Magia, si dondolava gongolante sulla punta dei piedi accanto al fuoco. Kingsley Shacklebolt e un mago dall’aria dura, con cortissimi capelli ispidi, che Harry non aveva mai visto, erano piazzati ai lati della porta come guardie; e l’occhialuto, lentigginoso Percy Weasley oscillava eccitato accanto a una parete, una penna d’oca e un rotolo di pergamena fra le mani, pronto a prendere appunti.
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