— Trudo, sieur? — Pareva abbastanza confuso.
— Sì. È un nome piuttosto comune.
— È vero, sieur, ma stavo pensando a qualcuno di mia conoscenza che porti quel nome e che appartenga alla tua illustre casta. Un armigero o…
— Chiunque — dissi. — Chiunque. Per esempio, non potrebbe essere il nome del cameriere che ci ha serviti?
— No, sieur, quello si chiama Ouen. Una volta avevo un vicino che si chiamava Trudo, molti anni fa, prima ancora che aprissi la locanda. Non penso che tu stia cercando lui. E poi c'è il mio mozzo di stalla… anche lui si chiama Trudo.
— Vorrei parlargli.
Il locandiere annuì, affondando il mento nel grasso che gli nascondeva il collo. — Come desideri, sieur. Ma credo che non potrà esserti di grande aiuto. — I gradini scricchiolarono sotto il suo peso. — Ti avviso, viene dall'estremo sud. — Si riferiva alle zone meridionali della città, non alle terre incolte e prive di vegetazione che si allungavano fino ai ghiacci. — E da oltre il fiume, per di più. Non credo che tu riuscirai a ottenere delle risposte sensate da lui, anche se è un bravo lavorante.
— Penso di sapere da quale parte della città arrivi — dissi.
— Davvero? Molto interessante, sieur. Molto. So che alcuni sono in grado di capirlo in base al modo di parlare e di vestire di una persona, ma non sapevo che avessi già visto Trudo. Stavamo per toccare terra quando il locandiere si mise a gridare: — Trudo! Trudo! — e poi: — REDINI!
Non apparve nessuno. Ai piedi della scala c'era una lastra di pietra grande quanto il piano di un tavolo, e ci fermammo lì.
Era l'ora in cui le ombre, allungandosi, cessano di essere ombre e diventano distese di oscurità, come se un liquido più scuro delle acque del Lago degli Uccelli salisse dal terreno. Centinaia di persone, da sole o in gruppi, si affrettavano sull'erba, in direzione della città. Parevano assorti, incitati da un'impazienza che gravava loro sulle spalle come uno zaino. A quanto vedevo, quasi nessuno era armato, ma alcuni indossavano custodie di fioretti e a una certa distanza scorsi il biancore di un avern, tenuto alto su un'asta o su un bastone come il mio.
— Purtroppo non si fermeranno qui — commentò il locandiere. — Alcuni verranno al ritorno, certo, ma le cene consumate prima sono le più redditizie. Ti parlo in tutta franchezza, perché vedo che nonostante la tua giovane età, sieur, hai troppo senno per non capire che ogni attività è creata per rendere. Io cerco di servire bene la gente e, come ho detto, la nostra cucina è famosa. Trudo! È necessario, perché non tollero un vitto che non sia ottimo… morirei di fame piuttosto di accontentarmi di quello che mangiano tanti. Trudo, Trudo, dove sei finito?
Un ragazzetto tutto sporco girò intorno al tronco, asciugandosi il naso sul braccio. — Lì dietro non c'è, Padrone.
— Allora dov'è? Vai a cercarlo.
Io continuavo a guardare la gente che passava. — Sono tutti diretti al Campo Sanguinario? — In quel momento mi resi finalmente conto che con ogni probabilità sarei morto entro il sorgere della luna. E d'un tratto mi apparve privo di senso affannarsi a spiegare l'enigma del biglietto.
— Non vanno tutti a battersi, chiaramente. Molti vogliono solo assistere, e alcuni lo fanno per la prima e unica volta, perché si deve battere qualcuno di loro conoscenza o perché ne hanno appena sentito parlare o ne hanno letto qualcosa al riguardo o hanno ascoltato una canzone che ne parla. Generalmente si sentono male e alla fine vengono da me a bere una bottiglia o due per riprendersi.
«Poi ci sono quelli che vengono tutte le sere, o almeno quattro o cinque volte alla settimana. Sono gli specialisti, e seguono solo un genere o due di combattimenti, fingendo di saperne di più di chi è in campo, e forse in qualche caso è vero. Quando avrai vinto, sieur, due o tre vorranno certamente offrirti da bere. Se glielo permetterai, ti spiegheranno dove hai sbagliato e dove ha sbagliato il tuo avversario: ma vedrai che non riusciranno a mettersi d'accordo fra di loro.
— Noi intendiamo cenare in privato — dissi. In quel momento, udii uno scalpiccio di piedi nudi sui gradini alle nostre spalle. Agia e Dorcas stavano scendendo. Agia sorreggeva l'avern, che nella luce morente pareva ancora più grande.
Ho già detto che provavo un foltissimo desiderio di possedere Agia. Quando parliamo alle donne, lo facciamo come se l'amore e il desiderio fossero due cose distinte; e le donne, che spesso ci amano e qualche volta ci desiderano, rispettano quella finzione. In realtà, si tratta di due aspetti della stessa cosa, come la parte nord e la parte sud dello stesso albero. Quando si desidera una donna, presto nasce anche l'amore, perché lei accondiscende a sottomettersi — e su queste basi era sorto il mio amore per Thecla. Del resto, se la si ama in breve la si desidera, poiché l'attrazione è una delle qualità che piacciono di più in una donna e gli uomini non ammettono che lei ne sia priva. In tal modo si arriva persino a volere donne paralizzate e le donne giungono ad amare uomini che invece cercano solo altri uomini.
Ma nessuno può spiegare cosa faccia nascere quello che, quasi a capriccio, chiamiamo amore o desiderio. Mentre Agia scendeva la scala, il suo volto era per metà illuminato dall'ultima luce del giorno e per metà in ombra; la gonna, strappata fino quasi alla cintura, lasciava intravvedere una coscia serica. Tutto il desiderio che si era spento alcuni momenti prima quando l'avevo respinta si riaccese più forte che mai. Lei me lo lesse in faccia, lo so, e Dorcas, che la seguiva di un passo, lo comprese a sua volta e distolse lo sguardo. Ma Agia era ancora adirata con me — e forse aveva anche ragione — perciò si sforzava di apparire distaccata, nonostante sorridesse diplomaticamente e fosse incapace di nascondere la smania che la pervadeva.
Penso che in questo si trovi la vera differenza fra una donna alla quale, se si vuole restare uomini, si può offrire la propria vita e una che invece conviene sopraffare e usare come non si userebbe nemmeno una bestia. Questo secondo genere di donna non permetterà mai a un uomo di darle tutto quello che potrebbe dare. Agia apprezzava la mia ammirazione nei suoi confronti, e sarebbe andata in estasi alle mie carezze, ma se anche l'avessi posseduta cento volte, ci saremmo staccati da estranei. Compresi tutto questo mentre lei scendeva gli ultimi scalini, sorreggendo il corpetto con una mano e sostenendo con l'altra l'avern come se si trattasse di un bastone. Eppure l'amavo ancora, o l'avrei amata se avessi potuto.
Il ragazzetto tornò correndo. — Trudo se ne è andato. Me l'ha detto la cuoca. Era uscita ad attingere l'acqua perché la sguattera era occupata e l'ha visto correre via. Ed è sparita anche la sua roba.
— Allora se ne è andato per sempre — disse il locandiere. — Ma quando? Proprio adesso?
Il ragazzetto annuì.
— Ha sentito che lo stavi cercando, sieur, ecco quello che credo. Qualcuno deve aver origliato quando mi facevi il suo nome e deve averglielo riferito. Ti ha rubato qualcosa?
Scossi il capo. — Non mi ha fatto niente di male, anzi, penso che cercasse di aiutare qualcuno. Sono spiacente di esserti costato un servitore.
Il locandiere allargò le braccia. — Dovevo pagarlo. Tutto risparmiato.
Mentre si allontanava, Dorcas mi bisbigliò: — Mi dispiace di aver interrotto il tuo piacere, di sopra. Non avrei dovuto farlo. Ma, Severian, io ti amo.
Non molto lontano, la voce argentea di una tromba si alzò verso le stelle nascenti.
Il Campo Sanguinario, del quale i miei lettori avranno già sentito parlare anche se mi auguro che molti di loro non lo debbano mai vedere, sorge a nord-ovest di Nessus, tra un'enclave residenziale di armigeri e le caserme e le stalle della Xenagia dei Dimarchi azzurri. È abbastanza vicino alle Mura da sembrarvi attaccato a chi, come me, non vi era mai stato prima, ma rimane separato da parecchie strade tortuose. Non so quanti combattimenti sia in grado di ospitare. Forse le ringhiere che delimitano i singoli pezzi di terreno e sulle quali si siedono gli spettatori si possono spostare e vengono predisposte di volta in volta a seconda delle necessità. Io ho visitato quel luogo in una sola occasione, e mi ha dato l'impressione di un posto molto strano e malinconico, soprattutto a causa dell'erba calpestata e degli spettatori languidi e silenziosi.
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