— Non sei capace di lavarti da sola? — domandò Agia a Dorcas.
— Certo, ma non con voi che mi guardate.
— Severian volterà la testa dall'altra parte, se glielo chiedi. Anche questa mattina si è comportato bene con me.
— Anche tu, Madama — spiegò sottovoce Dorcas. — Vorrei che non mi guardassi nemmeno tu. Mi piacerebbe lavarmi in privato, se è possibile.
Agia sorrise, ma io richiamai la sguattera e le diedi un oricalco per farle portare un paravento. Poi promisi a Dorcas che le avrei comperato un vestito, se fosse stato possibile trovarne nella locanda.
— No — rispose lei. Sottovoce, domandai ad Agia se capiva quel comportamento.
— Evidentemente si piace vestita così. Io sono costretta a camminare sostenendo il corpetto con la mano per non dovermi vergognare. — Agia levò la mano e i seni alti e sodi brillarono nella luce morente del sole. — Ma lei ha in mostra solo le gambe e il petto. E ha anche uno strappo all'inguine, anche se sono sicura che tu non l'abbia notato.
Il locandiere ci interruppe, seguito da un cameriere che sorreggeva un piatto di pasticcini, una bottiglia e dei bicchieri. Gli dissi che avevo i vestiti bagnati e fece portare un braciere… e poi iniziò a scaldarsi, come se si trovasse nella sua camera. — È gradevole, in questa stagione — commentò. — Il sole è morto ma non lo sa ancora. Lo sappiamo solo noi. Se resterai ucciso, ti perderai il prossimo inverno, e se rimarrai gravemente ferito sarai costretto a restare in casa. È quello che dico sempre a tutti. Logicamente, la maggior parte dei duelli si svolgono alla vigilia del solstizio d'estate, e in quel periodo dell'anno le mie parole sono più appropriate, per così dire. Non so se sono di conforto, ma certo non fanno male.
Tolsi il mantello e la cappa della corporazione, appoggiai gli stivali su uno sgabello accanto al braciere e mi misi in piedi davanti al fuoco per far asciugare le brache e le calze, domandando se tutti quelli che dovevano combattere si fermassero da lui. Come ogni uomo che si sente a un passo dalla morte, sarei stato contento di sapere che facevo parte di una tradizione consacrata.
— Tutti? Oh, no — rispose il locandiere. — Che la modestia e sant'Amand ti benedicano, sieur. Se tutti quelli che vengono a duellare si fermassero alla mia locanda, non sarei più qui… l'avrei venduta e vivrei comodamente in una grande casa di pietra, con gli atrox alla porta e diversi giovani armati di coltello pronti a saldare i conti con i miei nemici. No, molti passano qui davanti senza nemmeno alzare lo sguardo e senza pensare che forse, quando ripasseranno, sarà troppo tardi per assaggiare il mio vino.
— A proposito — disse Agia, porgendomi un bicchiere. Era colmo fino all'orlo di un vino cremisi scuro. Non aveva un ottimo sapore, forse… pizzicava la lingua ed era un po' aspro. Ma era eccezionale per il palato di un uomo stanco e infreddolito. Agia se ne versò un bicchiere anche per sé, ma le sue guance in fiamme e gli occhi scintillanti mi rivelarono che ne aveva già bevuto almeno uno. Le dissi di lasciare un po' di vino per Dorcas e lei replicò: — Quella verginella latte e acqua? Non lo vorrà, e sei tu quello che ha bisogno di essere incoraggiato, non lei.
Mentendo almeno in parte le dissi che non avevo paura.
Il locandiere esclamò: — Così si fa! Non avere paura e non ti riempire la testa di nobili pensieri sulla morte e sull'ultimo giorno della tua vita. Quelli che lo fanno sono proprio quelli che non tornano più, stanne certo. Allora, avevi intenzione di ordinare un pasto per te e per le due giovani signore, esatto?
— L'abbiamo già fatto.
— Sì, ma non mi avete dato nemmeno un anticipo, ecco a cosa mi riferivo. E poi, ci sono il vino e questi dolci. Devi pagarli subito. Per quanto riguarda la cena, mi va benissimo un deposito di tre oricalchi, e altri due me li darai quando verrai a mangiare.
— E se non venissi?
— In tal caso non ci sarà altro da pagare, sieur. È in tal modo che riesco a offrire le cene a prezzo tanto conveniente.
La completa mancanza di sensibilità di quell'uomo mi disarmò; lo pagai e lui se ne andò. Agia sbirciò dal paravento oltre il quale Dorcas si stava lavando con l'aiuto della sguattera. Io mi sedetti di nuovo sul divano e presi un pasticcino.
— Se si potessero fermare i cardini del paravento, Severian, ci divertiremmo un po' senza il rischio di essere interrotti. Potremmo bloccarlo con una sedia, ma certamente quelle due sceglierebbero il momento meno indicato per strillare e rovesciare tutto.
Stavo per fare una battuta scherzosa quando mi avvidi di un foglio di carta ripiegato più volte che spuntava dal vassoio in modo tale da poter essere visto solo dalla mia parte. — Questo è veramente troppo — esclamai. — Prima una sfida, adesso un messaggio misterioso.
Agia venne a vedere. — Cosa stai dicendo? Sei già ubriaco?
Le posi la mano sul fianco tornito e, dal momento che lei non obiettò, la tirai verso di me, in modo che potesse vedere il foglio. Cosa pensi che dica? «La Repubblica ha bisogno di te… parti subito… Il tuo amico ti tradirà… Guardati dall'uomo dai capelli rosa…»
Agia entrò nello spirito del gioco e disse: — «Vieni quando sentirai tre sassolini colpire la finestra…» Io direi le «foglie.» «La rosa ha trafitto l'iris che offre il nettare.» Evidentemente si tratta del tuo avern che mi uccide. «Riconoscerai il tuo vero amore dal pagne rosso…» — Si chinò a baciarmi e si sedette sulle mie ginocchia. — Non guardi?
— Sto guardando. — Il corpetto lacero era caduto un'altra volta.
— Non questo. Coprilo con la mano e poi leggi il biglietto.
Ubbidii, ma lasciai perdere il messaggio. — È veramente troppo. Il misterioso Septentrion e la sua sfida, poi Hildegrin e ora questo. Ti ho parlato della Castellana Thecla, vero?
— Più di una volta.
— L'amavo. Lei leggeva molto… quando io non ero con lei, non aveva altro da fare che leggere, ricamare e dormire… e quando eravamo insieme ridevamo delle trame di alcuni di quei libri. Ai personaggi succedevano sempre cose del genere, ed erano sempre coinvolti in situazioni melodrammatiche che non erano pronti ad affrontare.
Agia rise e mi baciò nuovamente, a lungo. Quando le nostre labbra si separarono, disse: — Cosa c'era che non andava in Hildegrin? Mi era sembrato un tipo molto comune.
Presi un altro pasticcino e glielo misi in bocca. — Parecchio tempo fa, salvai la vita a un tale di nome Vodalus…
Agia si allontanò, sputacchiando le briciole. — Vodalus? Stai scherzando?
— No. La sua amica lo chiamava in quel modo. Ero ancora un ragazzo, ma fermai per un istante la scure che avrebbe potuto ucciderlo e lui mi regalò un crisio.
— Aspetta. E cosa c'entra Hildegrin in tutto questo?
— Quando incontrai Vodalus, con lui c'erano un uomo e una donna. I nemici li aggredirono e Vodalus restò a combattere mentre il suo compagno portava la donna al sicuro. — Decisi che sarebbe stato meglio non accennare al cadavere e al volontario armato di scure che avevo ucciso.
— Avrei combattuto anch'io, così saremmo stati in tre… vai avanti.
— Hildegrin era il compagno di Vodalus, ecco tutto. Se l'avessimo incontrato prima, avrei trovato una ragione per la sfida lanciatami dal Septentrion, e anche per il messaggio furtivo. Sai, con tutte le cose delle quali ridevamo io e la Castellana Thecla, le spie e gli intrighi, i convegni segreti e gli eredi perduti. Cosa c'è, Agia?
— Ti disgusto a tal punto? Sono tanto brutta?
— Al contrario, sei bella, ma sembri sul punto di vomitare. Penso che abbiamo bevuto troppo.
— Ecco… — Con un guizzo, Agia si lasciò cadere ai piedi la veste di broccato color pavone che si ammucchiò intorno alle sue caviglie impolverate come una montagnola di pietre preziose. L'avevo già vista nuda nella cattedrale delle pellegrine, ma lì nella locanda, in quel frangente, mi attraeva molto di più, forse perché la luce era più tenue, o forse per via della sua vergogna che le faceva coprire i seni e nascondere la sua femminilità fra le cosce. Mi sentivo intontito dal desiderio, stordito e impacciato mentre stringevo il suo calore contro il mio freddo.
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