Patricia Mckillip - La citta di luce e d'ombra

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La citta di luce e d'ombra: краткое содержание, описание и аннотация

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Il principe del regno di Ombria giace sul letto di morte, e già sua zia — una donna spietata che sembra immune al trascorrere degli anni e che tutti chiamano la Perla Nera — assapora il gusto del potere. L’erede al trono, infatti, è ancora troppo giovane per opporsi al volere della zia, mentre il nipote del principe è un artista totalmente disinteressato alle sorti del regno: il suo unico obiettivo è ricreare sulla tela tutto il fascino decadente della città di Ombria. Nessun essere vivente può ostacolare l’ascesa al trono della malvagia Perla Nera… o così sembra.

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Mag non vide Domina Pearl muoversi, ma d’improvviso Ducon cadde in ginocchio dinanzi a lei, portandosi le mani alla gola come se soffocasse, bianco come un cencio.

«Stavolta quella sgualdrina non sarà così fortunata», disse sottovoce la reggente. «Morirà non appena la prenderanno, sotto gli occhi del bambino. E tu sarai ancora meno fortunato, perché ti lascerò vivere. Ma vivrai qui dentro, ubbidendomi come uno schiavo, senza mai poter lasciare questa stanza.» Gli diede le spalle, voltandosi verso il grande calderone, e saggiò la temperatura dell’acqua con un dito. «Per cominciare, adesso mi aiuterai a riportare questa bambola di cera al suo stato originale di cera informe.»

Ducon mandò un verso che stava tra un’imprecazione e un singhiozzo. Lei lo ignorò, e gettò uno sguardo al vecchio cortigiano che taceva, a capo chino. «E ora tu, sentiamo: fino a che punto conoscevi questa maestra Spina?» L’altro ebbe un gesto vago, incapace di difendersi da quell’accusa. «Non importa. Più tardi ti tirerò fuori la verità. Ora vai a cercare il principe, assicurati che i miei ordini siano eseguiti e torna qui col bambino. Tu dici che vuoi assistere agli sviluppi della storia: assisti a questo. E taglia i capelli a quella femmina, non appena l’avranno uccisa. Voglio usarli per la mia…»

All’improvviso si fermò, distratta dalla vista di una guardia apparsa in uno degli specchi. L’uomo mosse le labbra in silenzio, parlandole, con voce udibile soltanto a lei.

Ducon, momentaneamente libero dal potere che l’aveva attanagliato alla gola, si tirò in piedi, vacillando. Pallido e sudato guardò la donna, che dall’espressione sembrava piuttosto colpita dalle notizie che le venivano date. Mag la vide trattenere il fiato, ma neppure lei udì qualcosa. Domina Pearl sedette sul bordo del letto, accigliata. Per qualche istante, mentre si mordicchiava un labbro contemplando qualcosa che non aveva previsto, parve quasi umana.

Poi si voltò verso Ducon. «Il bambino è morto.»

Lui non riuscì a dire niente, come se quelle parole gli avessero intorpidito la mente. Scosse il capo, continuando a fissarla, e un tremito lo scosse.

«Lydea…» cominciò a dire la Perla Nera. Dovette tossire qualcosa di acido che aveva in gola. «Le guardie stavano per catturarla, all’ultimo piano del palazzo. Non avendo altro posto dove fuggire, si è gettata fuori da una porta aperta nel vuoto, col principe in braccio. Le guardie stanno cercando i loro corpi.» Ducon emise un suono inarticolato. Domina Pearl controllò un tremito nervoso all’angolo della bocca e si alzò. «Tu dovrai organizzare un altro funerale», disse a Camas Erl. «Qualcosa di adatto a un governante bambino. E consulta l’albero genealogico per sapere chi è in linea di successione dopo di lui. Non voglio dissapori o liti in questa casa.»

Ducon si appoggiò al bordo del calderone come per non perdere l’equilibrio, ma d’un tratto afferrò il massiccio oggetto e lo sollevò dalla grata, alzandolo sopra la sua testa. Per qualche momento barcollò sotto quel peso, poi girò su se stesso e lo scagliò. Il suo sforzo era stato così erculeo che perfino la Perla Nera rimase paralizzata dalla sorpresa, nel vedersi passare davanti quella massa annerita. E un attimo dopo il calderone piombò sul suo letto, che sotto l’urto devastante andò in mille pezzi; le ali di scarafaggio schizzarono dappertutto. Sbigottita dalla vista di quel disastro, Domina Pearl mandò un gemito lungo e acuto, come un gesso che strìdesse su una lavagna. Quel suono colpì Mag così sgradevolmente che dovette tapparsi le orecchie con le mani, facendo smorfie di dolore.

Ducon indietreggiò sotto l’impatto dello strano ululato, ma subito si afferrò all’albero di ferro degli specchi e lo rovesciò sui rottami del letto. Il suo volto contratto dalla rabbia apparve in tutti gli specchi, prima che si fracassassero al suolo.

Non contento di ciò, il giovane sollevò la grata, imbrattandosi le mani di cenere. Mag trattenne il respiro, perché la giara in cui svolazzava la falena dorata era giusto dietro la testa della Perla Nera. Ma la donna, sempre strillando come un’aquila, non diede a Ducon la possibilità di scaraventargliela addosso. Paralizzato dall’incantesimo feroce del suo sguardo, il giovane s’immobilizzò a metà del gesto e rimase lì, tremando sotto il peso della grata.

Lei gonfiò il petto per urlare ancora, o forse per sputargli in faccia la sua saliva corrosiva. Ma in quel momento, all’improvviso, la giara dietro la sua nuca si spaccò. Tutti si voltarono a guardare, salvo Ducon che sembrava, più che affatturato, intento a cercare la forza di gettare ancora qualcosa contro la donna. La falena volò via, e dopo aver spiraleggiato qua e là per la stanza trovò rifugio tra i capelli di Mag.

Lei sentì un senso di calore dietro gli occhi e in gola, per nessuna ragione salvo il fatto che la falena era libera ed era venuta da lei. La stanza però stava vibrando in modo strano, e il pavimento sussultava sotto i loro piedi. Oggetti d’ambra scintillarono e clicchettarono; le ossa ammucchiate in un angolo si mossero. Domina Pearl inciampò e si aggrappò all’albero di ferro, frugando selvaggiamente con lo sguardo tra i pezzi dei suoi specchi. I muri si scossero ancora, come se nelle viscere del palazzo o giù nelle fondamenta qualcosa di poderoso e inimmaginabile stesse muovendo i suoi primi enormi passi.

La grata sfuggì dalle mani di Ducon e con un angolo massiccio spaccò un mattone del pavimento. Le giare sugli scaffali sbattevano una contro l’altra, e il loro bizzarro contenuto oscillava. Uno scaffale gemette, quando i chiodi si piegarono nel legno; poi a un tratto si spaccò in due, facendo volare schegge di vetro e liquidi puzzolenti sulla schiena della Perla Nera. Lei sibilò un’imprecazione, guardando una fessura che si allungava sul soffitto.

«Lei ha detto che avrebbe fatto qualcosa», mormorò Camas Erl.

Domina Pearl lo fulminò con lo sguardo. La pelle del viso era tirata, come terracotta sul punto di sgretolarsi. La stanza intorno a loro si torceva e sussultava, dando a Mag l’impressione che i mattoni fossero denti vogliosi di masticarsi a vicenda. Seduta alle spalle della Perla Nera, la ragazza vide che Ducon e il vecchio cortigiano avevano alzato lo sguardo al piano di sopra, attraverso le crepe del soffitto, per vedere cosa stava succedendo.

«Che cos’è?» balbettò Camas Erl, allargando le braccia come per tenere lontani i confini della storia che gli si chiudevano attorno. «È lei? O è l’inizio?»

Domina Pearl scacciò con un gesto disgustato quelle farneticazioni, e nel movimento brusco perse un sopracciglio. «Perché, non lo sai? Non l’hai forse studiato per anni?»

«Sarà la fine?» ansimò lui, con espressione rapita sul volto pallido. I muri si scossero ancora, come se un gigante stesse cercando di aprire la stanza come una scatola. Una voce, più di vento che umana, o come il sibilo di un ciclopico rettile, echeggiò intorno a loro. Le sue parole sembravano quelle di un’antica lingua, solo per metà umana e del tutto incomprensibile.

Domina Pearl si chinò tra le schegge di vetro e d’ambra, e raccolse un frammento di specchio. Mentre lo girava inutilmente da una parte e dall’altra per vedere chi fosse a parlare, il suo orecchio raggrinzito si staccò e cadde. Con un grido si chinò a cercarlo, frugando tra le macerie. Camas Erl, i cui occhi gialli continuavano a correre da un muro all’altro, si scostò di un passo da lei.

La voce riempì di nuovo la stanza con la furiosa energia di una burrasca, ostile e minacciosa, pronunciando parole enigmatiche.

La Perla Nera sputò anche un dente o due, e se li mise in tasca. «Chi è quella donna?» domandò a Camas, con voce rauca. «Da che zona di Ombria viene?»

«Voi dovreste conoscerla», rispose lui, agitatissimo. «È sempre stata qui.»

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