Patricia Mckillip - La citta di luce e d'ombra

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La citta di luce e d'ombra: краткое содержание, описание и аннотация

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Il principe del regno di Ombria giace sul letto di morte, e già sua zia — una donna spietata che sembra immune al trascorrere degli anni e che tutti chiamano la Perla Nera — assapora il gusto del potere. L’erede al trono, infatti, è ancora troppo giovane per opporsi al volere della zia, mentre il nipote del principe è un artista totalmente disinteressato alle sorti del regno: il suo unico obiettivo è ricreare sulla tela tutto il fascino decadente della città di Ombria. Nessun essere vivente può ostacolare l’ascesa al trono della malvagia Perla Nera… o così sembra.

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«Dunque, tu sostieni il cielo sopra la testa del giovane principe.»

«Ci provo.»

«Ed ecco perché oggi ti trovi quaggiù, alla ricerca del suo tutore senza scrupoli, per conto della perversa reggente.»

«Per ora devo fare ciò che vuole lei», disse Ducon.

«Per il bene di Kyel. E per il bene di chi adesso mi stai imbrogliando?» Lui la guardò, attonito per lo stupore. E gli occhi di lei divennero bruni come noccioline. «Io vedo la mia figlia di cera nella tua mente?»

«Io non ho intenzione di imbrogliarti», protestò lui, sorpreso dalla sua percettività. Concentrato su Camas Erl, aveva dimenticato Mag. Faey lo interrogò inarcando un sopracciglio, e lui ammise: «Avrei lasciato che fosse Mag a dirti che ci eravamo conosciuti. L’ho trovata negli alloggi della servitù. Stava cercando me». A quelle parole, entrambe le sopracciglia s’inarcarono. Ma lei lo lasciò finire. «Voleva che io disegnassi con quel carboncino che ha nel medaglione. Pensava che avrei potuto tirare fuori il volto di sua madre.»

«E l’hai fatto?»

«Non ne avevo il tempo. L’ho lasciata ad aspettarmi nella stanza di Lydea.»

La maga sbuffò rumorosamente. «Le avevo detto di stare fuori da quel palazzo.»

«Le ho raccomandato di non andare in giro.» Ducon guardò Faey e la sondò, cautamente: «Tu sai chi è sua madre?»

«Non ne ho la minima idea», rispose lei. «È una faccenda a cui non mi sono mai interessata molto.» Ma adesso t’interessa , pensò Ducon. Faey aveva corrugato le sopracciglia e studiava qualcosa d’invisibile nell’aria tra di loro. Poi studiò lui. La luce e l’intensità dei suoi poteri avevano una bellezza segreta che lo colpì; di nuovo gli fu impossibile distogliere lo sguardo. «Tu mi vedi», la sentì dire, «in un modo impossibile a qualsiasi altro umano. Salvo Mag. Io le ho nascosto certe cose fin da quand’era piccola, affinché lavorasse per me senza quelle distrazioni. Ma quando la trovai vidi nei suoi occhi il riflesso dei miei poteri. Mag cercherà di fare da sola la magia che ha visto fare a te. La persona che le ha lasciato quel carboncino sapeva che ci sarebbe riuscita.»

«Che stai dicendo?» Ducon si accorse di avere un tono strano, teso. «Che lei e io siamo in qualche modo legati?»

«Tu cosa pensi?»

«Non l’ho mai vista prima di questa mattina. Ma quando l’ho guardata ho sentito che apparteniamo entrambi allo stesso luogo, non so immaginare quale.»

«Forse è vero.»

Faey lo lasciò così bruscamente che fuori dalla sua magica corrente lui vacillò stordito, come un pesce fuori dall’acqua. Gli occhi di lei avevano ora un colore umano. Lo contemplò con distacco, come se esaminasse un punto fuori posto in un vasto e complesso arazzo. «M’interesserà molto vedere cosa verrà fuori da quel carboncino. Però Mag avrebbe dovuto chiedermi di chiamarti qui, invece di avventurarsi nel palazzo e rischiare di finire sotto il naso della Perla Nera. A volte vorrei averla incoraggiata a pensare.» Faey si alzò.

«Aspetta», la pregò lui. «Qual è il luogo al quale lei e io apparteniamo? Dov’è?»

«Come posso saperlo? Forse il carboncino te lo dirà. Domina Pearl ha ragione su una cosa», aggiunse. «Io ti aiuterò, se vuoi. Ma non chiedermi aiuto per Camas Erl. Di lui occupatene tu.» Si alzò e s’incamminò verso casa sua, sbadigliando. «Io me ne torno a letto.»

Ducon seguì la strada illuminata dai lampioni, lungo il fiume. Ogni tanto sulla facciata di una delle grandi case si accendeva la luce in una finestra, come a prendere nota del suo passaggio, per poi spegnersi subito dopo. Il fiume si fece più stretto e rapido, con una superficie pervasa da movimenti come gli occhi dei sognatori. Si alzò il sole. Polverosi e dorati raggi di luce spiovevano dall’alto, filtrando da finestre dimenticate, scarichi fognari, e pavimentazioni sfondate di edifici in rovina. Il fiume scorreva profondo, e nel risalirlo Ducon sentiva di avanzare verso un tempo sempre più lontano nel passato. Le case sulle sue rive erano più piccole, più strette una all’altra; vecchie strade s’intrecciavano in un labirinto impenetrabile. A un certo punto ebbe la sorpresa di sentire l’odore dolce dell’erba appena tagliata; più avanti percepì un profumo di lavanda.

Camminò finché vide quanto sarebbe dovuto andare lontano, per raggiungere l’inizio temporale della sottocittà. Le memorie effimere, frammentate, di mura ombrose e torri, dove il fiume andava a confondersi in un vasto mare nero, sembravano troppo distanti per essere raggiunte se non in sogno. Forse , pensò mentre si chinava sulla riva del fiume per raccogliere una manciata d’acqua, Camas è già arrivato là, oltre il confine della storia.

Ma l’anziano cortigiano non era ancora giunto alla fine del tempo, e finalmente Ducon lo vide, sopra un rozzo ponte di pietra che s’inarcava sul corso d’acqua. A capo chino per la concentrazione, con le braccia conserte, Camas stava ascoltando un individuo corpulento vestito di seta e di pellicce, con una testa di volpe bianca che gli pendeva da una spalla e stivali ornati di code di ermellino. Camas appariva pelle e ossa, e ciocche di capelli spettinati gli ricadevano davanti al viso. I suoi abiti erano bagnati e sporchi di fango, come se fosse caduto nell’acqua, e aveva perso una scarpa. Tuttavia discorreva animatamente con lo spettro, come se questi fosse entrato nella biblioteca del palazzo per aiutarlo nelle sue ricerche.

L’improvvisa comparsa di Ducon a un’estremità del ponte non fece nessuna impressione a Camas Erl. Il cortigiano gli gettò appena un’occhiata distratta, e continuò a chiacchierare col suo interlocutore, avviandosi verso la riva opposta. « … e tutto questo accadde durante il regno di Sisal Greve, il quale, come voi mi avete riferito, contrariamente a ogni nostra documentazione scritta, non avrebbe mai… »

Ciò che Sisal Greve non avrebbe mai fatto rimase non detto, perché Ducon girò davanti al suo ex tutore e gli sferrò un pugno alla mandibola. Camas sbandò contro la balaustra del ponte e cadde a sedere. La sua attenzione era adesso tutta sul nuovo venuto.

Lo spettro, vedendosi ignorato, svanì. Nessun’altra figura immateriale prese il suo posto, dal momento che il cortigiano era ormai costretto a guardare soltanto Ducon. Il giovane si massaggiò le nocche delle dita, poi afferrò Camas per il malridotto colletto della blusa e lo tirò in piedi.

«Ducon», ansimò l’altro, sbigottito. «Che stai facendo, qui?»

«Domina Pearl mi ha incaricato di riportarvi indietro.»

«Ma sono nel pieno di una ricerca storica. Ducon, se tu sapessi cos’ho scoperto non ci crederesti mai…» L’uomo s’interruppe, confuso, forse perché (suppose Ducon) non sapeva bene che bugia inventare. Il giovane non mollò la presa, e sempre strattonandolo per il colletto lo spinse davanti a sé sulla riva del fiume, verso la casa della maga.

Camas Erl girò a mezzo la testa. «Così non riesco a respirare!» si lamentò.

«Voi non mi avete sentito.»

«Ti ho sentito. Hai detto che Domina Pearl ti ha mandato qui.»

«Mi ha mostrato la sua stanza segreta, quella dove fa i veleni e le fatture, e mette a letto il suo corpo in disfacimento perché la notte ricresca. Ho dovuto aiutarla a girare certi enormi specchi, con i quali vi ha cercato. Mi ha detto che di solito siete voi a fare quel lavoro. Ora però io so…» La sua mano lasciò il colletto e si strinse con forza brutale alla gola del suo ex tutore. Camas Erl piegò le gambe, annaspando in cerca d’aria. «Tutti questi anni», ringhiò il giovane, a denti stretti. «Mi avete mentito!»

«Io non ti ho mentito… Sei tu che non mi hai mai domandato…»

«L’avete aiutata a uccidere mio zio?» Ducon vide l’altro restare senza fiato per qualche istante. «Avete fatto questo?»

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