Patricia Mckillip - La citta di luce e d'ombra

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La citta di luce e d'ombra: краткое содержание, описание и аннотация

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Il principe del regno di Ombria giace sul letto di morte, e già sua zia — una donna spietata che sembra immune al trascorrere degli anni e che tutti chiamano la Perla Nera — assapora il gusto del potere. L’erede al trono, infatti, è ancora troppo giovane per opporsi al volere della zia, mentre il nipote del principe è un artista totalmente disinteressato alle sorti del regno: il suo unico obiettivo è ricreare sulla tela tutto il fascino decadente della città di Ombria. Nessun essere vivente può ostacolare l’ascesa al trono della malvagia Perla Nera… o così sembra.

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Nel corridoio sostenne senza batter ciglio gli sguardi inespressivi delle guardie che Domina Pearl aveva disposto dappertutto, mute e silenziose come pietre miliari. Nessuna di loro sprecò una parola per chiedere a quella serva dall’aria pigra e stanca dove stesse andando a far pulizia. Lei scese la scala che portava nel seminterrato e, quando fu nei quartieri non sorvegliati della servitù, sentì che avrebbe potuto perfino camminare al fianco di Ducon senza che lui si voltasse a guardarla.

Quel pensiero aveva appena attraversato la mente di Mag, che Ducon sbucò in tutta fretta da dietro un angolo e la urtò, facendole cadere il secchio di mano. Il giovanotto fu svelto a prenderla per un braccio perché non perdesse l’equilibrio, e subito si chinò a spazzolarsi il fondo dei calzoni, senza dire una parola. Lei rimase a guardare sbalordita i suoi capelli bianchi, mentre il secchio rotolava sul pavimento fino a fermarsi contro la base del muro.

Dopo un poco, Ducon si raddrizzò e lasciò andare il braccio della ragazza. Forse il silenzio di lei gli sembrò la timidezza di una serva, o la paura di essere punita per avergli impolverato i calzoni, perché le diede appena uno sguardo; poi si chinò distrattamente a raccogliere il secchio e glielo restituì, già pensando ai fatti suoi. Stava per proseguire, quando il ricordo di qualcosa nell’aspetto di lei lo fece fermare. Fu allora che la guardò con un po’ d’attenzione.

Ora il giovane non aveva più tanta fretta. La prese di nuovo per il braccio e la portò un paio di passi più vicino a una delle poche candele del seminterrato, per esaminarla meglio. «I capelli», mormorò infine. «Un mucchio di paglia pieno di spilloni. Occhi del colore delle nocciole…» La sua voce si spense. All’improvviso parve stupito, come se rammentasse di aver già visto il suo viso in un sogno, o in una luce diversa. Lei ebbe la stessa sensazione. Era stato proprio quel genere di ricordo a portarla lì.

«Sei Mag?» le chiese. Lei annuì.

«Perché ho l’impressione di conoscerti», si domandò Ducon, «quando non ti ho mai incontrata?»

«Non lo so.» Lei era rigida sotto il suo sguardo, ancora agitata dall’essere stata sorpresa lì e in quel modo. Oltre le candele più vicine, il corridoio era immerso nell’ombra e, a parte le loro voci soffocate, molto silenzioso. «Prova a dirmelo tu.»

«Stavi cercando me?»

«Sì.»

«Faey sa che sei qui?»

«No.»

Lui si guardò attorno, improvvisamente preoccupato che qualcuno potesse vederla. «Questo è l’ultimo posto dove dovresti essere.»

«Lo so.» Una mano di lei si chiuse sul medaglione, nascosto sotto la lana del vestito. «Ma nessuno a parte te potrebbe svelarmi il mistero del carboncino.»

Lui s’infilò una mano in tasca, come per rassicurarsi con un contatto familiare. «È stata Faey a farlo», le ricordò. «Forse dovresti domandare a lei.»

«Non parlavo del tuo carboncino. In ogni modo Faey non sa tutto. Lei dice che tu vedi più di quello che vedono gli occhi umani, ma non capisce perché. O forse non ricorda il perché. Credo che sia vecchia quanto Ombria.»

Lui taceva, scrutandola con i suoi occhi non umani. «Può darsi che sia perché tu hai vissuto nel sottosuolo e con la sua magia per tutta la vita», commentò, oscuramente.

«Cosa?»

«Anche in te c’è qualcosa di non umano.» D’impulso Ducon tolse di tasca il carboncino e lo considerò, con aria pensosa. Alla luce delle candele era pervaso di vaghi colori. «Mi piacerebbe avere il tempo di farti il ritratto. Forse, così, troverei la risposta a certe domande.»

«Me l’hai già fatto», disse lei, «ma non con quello.»

Il suo sguardo d’argento la scrutò ancora, sorpreso. «Tu credi? No, ti sbagli. Mi ricorderei di te.»

«Mi hai fatto uno schizzo, in una taverna, il giorno in cui Royce Greve fu sepolto. Avevo una spessa veletta nera che mi nascondeva il volto.»

«Eri tu?» Ducon la guardò con nuovo interesse. «La misteriosa, elegante donna in nero?»

«Ero io. Tu avevi attorno dei giovani nobili che stavano cercando di persuaderti quanto ti sarebbe convenuto uccidere Domina Pearl e Kyel, per salire sul trono.»

Lui s’irrigidì. «Ci stavi ascoltando?»

«Vi ho anche seguiti al molo.» Mag distolse lo sguardo improvvisamente a corto di parole. «Dovevo prendere una certa decisione. Su di te. Su me stessa.»

«Ah, ricordo», annuì lui, tornando impassibile. «Lydea mi ha detto che mi stavi spiando. Cercavi di decidere se io avrei dovuto vivere o morire.»

«Se aiutare o no Faey nell’incantesimo ai tuoi danni», lo corresse lei. «Poi, però, non ho potuto far niente. Pensavo di sabotare l’incantesimo mentre lo stava costruendo, ma lei non mi ha lasciato il modo di agire; ho tentato di rubarlo, ma lei lo aveva nascosto; ti ho cercato dappertutto per avvisarti, ma non sono riuscita a trovarti…»

«Perché?» la interrogò lui. «Dopo quello che avevi sentito nella taverna e sul molo, perché hai voluto aiutarmi?»

«Quella notte, dopo il funerale, quando tu sei stato chiamato per fare compagnia a Kyel che aveva avuto un incubo, io ero sotto il suo letto.» Ducon, stupito, cercò di parlare, ma nulla gli uscì di bocca. «Io non potevo andarmene, per causa delle guardie. Kyel aveva fiducia in te. E tu sei rimasto sveglio tutta la notte per rincuorarlo. Tu vai dappertutto a Ombria, non hai paura di niente.» Mag guardò il secchio che lui le aveva riconsegnato. «Neppur di essere gentile con una serva.»

Lui la guardò intensamente. «Tu vedi la mia vita con più chiarezza di me.»

«Alla fine non ha fatto differenza», disse lei. «Non ho potuto salvarti da Faey.»

«Ci ha pensato lei a salvarmi. Dopo aver cercato di uccidermi.»

«Per lei è solo una questione di affari.»

«Ma perché sciogliere l’incantesimo e lasciarmi vivo?».

«Faey è fatta così», sospirò Mag. «Neppure io la capisco, a volte.»

«Ambiguità», disse lui, pensierosamente. «Come il carboncino. Era così pieno di magia che non potevo metterlo giù. Sarebbe stata la morte per me, ma avrei lottato contro chi volesse togliermelo. E tu, che tentavi di salvarmi da una stregoneria quando non sapevo neppure che tu esistessi. Lydea dice che l’avrebbero uccisa, quella notte, se non fosse stato per te. Ma chi sei? Da dove vieni?»

«Speravo che questo potessi dirmelo tu.» Mag s’infilò un dito nella scollatura e ne trasse fuori la catenella d’oro. Aprì il medaglione e girò la sottile sfoglia di vetro per mostrargli il carboncino. «Appena nata, qualcuno mi ha abbandonata sulla soglia della casa di Faey, dentro un cestino. Lei mi ha detto che avevo questo al collo. Ho visto i disegni che tu hai fatto con quel carboncino magico. Speravo che anche in questo ci fosse della magia. Ho pensato… ho pensato che forse qui dentro c’è il viso di mia madre.»

Ducon prese il medaglione per guardarlo più da vicino e toccò il carboncino con un dito.

«Forse è così… Che strano. Sangue, un petalo di rosa e un carboncino da disegno. C’è tutta una storia.»

«Lo so. Ma quale? Per favore», lo pregò lei. «Disegna con questo. Adesso, se hai il tempo.»

«Il tempo è proprio quello che non ho, stamattina.» Ducon tacque, sentendo una porta aprirsi. Una donna corpulenta vestita di nero uscì in corridoio e si allontanò, facendo tintinnare delle chiavi a ogni passo. Richiuse con cura il medaglione e lo restituì a Mag. «La Perla Nera mi ha ordinato di andare nella sottocittà a prendere Camas Erl. Come ha fatto a trovare la strada per scendere? Faey sa che è laggiù?»

«Sì. L’ho portato io da lei.»

«Tu?»

«Stavo cercando te, nei passaggi segreti del palazzo, dopo che Faey ti aveva mandato il carboncino…»

«Com’eri riuscita a entrarci?»

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